Il senato ha approvato il disegno di legge delega che attua l´articolo 119 della costituzione, quello relativo all´assetto della finanza locale e regionale. E´ invalso l´uso di definirlo "federalismo fiscale", ma in realtà queste due parole non compaiono in costituzione, e sono più il frutto di un´interpretazione politica del processo di riforma dello stato che non il suo contenuto reale.
In ogni caso, il progetto esce dal senato modificato in più punti rispetto all´originario testo proposto dal governo Alla base della maggior parte delle modifiche c´è stata l´iniziativa politica del partito democratico, che partendo dalla sua proposta ha incalzato maggioranza e governo e ha ottenuto risultati non trascurabili. Tanto che ha deciso di esprimere un voto di astensione. Un voto sui contenuti, e in attesa di ulteriori modifiche su cui il PD solleciterà governo e maggioranza fin da lunedì prossimo, quando il provvedimento proseguirà il suo corso alla camera.
Sono del tutto campate per aria le interpretazioni "tatticiste" con cui alcuni commentatori (ad esempio, Giannini su Repubblica) hanno descritto questa scelta. La verità è un´altra, molto semplice ma anche molto nuova nel panorama politico italiano: per la prima volta da tanti anni il parlamento ha lavorato davvero su un provvedimento "di fondo" e ha raggiunto livelli di condivisione che non erano stati cercati né nel 2001, quando il centro-sinistra varò la riforma del Titolo V di cui l´articolo 119 fa parte, né nel 2005, quando il centro-destra varò la "devolution", approvati entrambi a colpi di maggioranza. Con la conseguenza che il primo ancora non è attuato, e la seconda è naufragata, lasciando l´azione dei pubblici poteri in tantissimi campi di estrema importanza avvolta in una nebbia di incertezza che ha contribuito a renderla sempre meno efficace nel corso degli anni, e sempre più insoddisfacente agli occhi dei cittadini.
Ecco, in sintesi, le modifiche apportate su iniziativa del partito democratico:
1. si supera il concetto di "territorialità" delle imposte, che oltre ad essere incostituzionale portava con sé, nel testo del governo, un insopportabile segno di egoismo territoriale;
2. si dà l´indirizzo per un´armonizzazione dei bilanci di tutti gli enti locali e regionali;
3. si introduce un principio di coordinamento della finanza pubblica "multilivello": insomma, autonomia sì, ma coordinamento stato-regioni-enti locali, ogni anno, con previsioni specifiche nel Dpef e nella legge finanziaria;
4. gli interventi speciali per le aree svantaggiate, che nel testo del governo erano annuali, vengono ancorate ad una programmazione pluriennale;
5. si introduce un principio di perequazione nella spesa per gli investimenti, a partire dagli squilibri delle dotazioni esistenti;
6. si chiarisce che i fondi perequativi che forniranno le risorse ai territori con minore capacità fiscale sono di tipo "verticale" (statale) e non "orizzontale" (regionale);
7. si introduce la novità (anche al confronto con i progetti di legge Prodi-Padoa Schioppa della precedente legislatura) di una valutazione, a regime, dei fabbisogni standard per il finanziamento dei servizi essenziali tramite i costi unitari standard (efficienti) e gli obiettivi di servizio che si intendono perseguire. Il processo di avvicinamento a questi standard viene chiamato "patto per la convergenza": convergenza verso standard uniformi di costo e di copertura dei servizi su tutto il territorio nazionale;
8. si introduce il principio di finanziamento integrale delle funzioni svolte dagli enti locali;
9. si delineano le materie imponibili di competenza di ciascun livello di governo, con particolare riguardo ai comuni (immobili) e alle province (mobilità);
10. si introduce un percorso per formare le città metropolitane;
11. si istituisce una commissione parlamentare bicamerale di controllo sull´esercizio di deleghe così complesse e vaste, come elemento di garanzia non solo del parlamento, ma dell´intero paese da un eccessivo potere conferito al governo;
12. si istituisce un segretariato tecnico condiviso fra stato, regioni ed enti locali per costruire le banche dati che saranno necessarie per accompagnare e monitorare l´intero processo, non solo in termini finanziari ma anche in termini di indicatori reali di efficacia e di qualità delle politiche di erogazione dei servizi pubblici.
Ed ecco, invece, le critiche che ancora il PD rivolge a questo testo, che giustificano il voto di astensione in attesa che la discussione si sposti alla camera:
1. il ministro dell´economia si è "chiamato fuori" da questo processo, come se non lo interessasse. Questo non va bene, perché è in primo luogo da quel ministero che devono venire valutazioni sull´impatto finanziario della riforma. Qui, c´è il rischio che il governo veda questa legge in modo ipocrita, e cioè non come l´attuazione della riforma dello stato scritta nel nuovo titolo V della costituzione, ma come semplice manovra tattica per concedere alla lega nord una vittoria di bandiera. Non va bene: i primi numeri, anche soltanto di tipo simulativo, devono cominciare ad uscire presto;
2. il governo non ha ancora presentato la contestuale proposta per l´attuazione dell´articolo 118 della costituzione, quello che riguarda le funzioni di regioni ed enti locali. Come si fa a discutere di risorse finanziarie fino a quando non si sa "chi fa cosa"? Calderoli ha però preso l´impegno che questa legge verrà portata in consiglio dei ministri entro tre settimane;
3. in questo contesto di incertezza, non è stato chiarito quali sono le funzioni fondamentali di comuni e province che vanno ricomprese nel metodo dei "fabbisogni standard";
4. non è stato introdotto il principio − non negoziabile per il partito democratico − che gli obiettivi di servizio su cui calcolare i fabbisogni standard devono fare riferimento a quelli che la costituzione chiama i "livelli essenziali delle prestazioni" connessi ai diritti civili, su cui lo stesso parlamento deve essere chiamato ad esprimersi (quanti asili nido, quanta assistenza agli anziani, quanto trasporto pubblico, ecc.);
5. la manovrabilità dell´Irpef a vantaggio delle regioni rischia di compromettere l´essenza di quella che resta la principale imposta del sistema tributario italiano. Non solo si rischia di intaccare il principio di progressività, ma inoltre si rischia un universo spaventoso di complicazioni burocratiche per i sostituti d´imposta, che potrebbero dover calcolare decine (se non centinaia) di Irpef diverse, a seconda delle addizionali, delle sovraimposte, delle deduzioni e delle detrazioni decise a livello locale;
6. il processo di riforma non è sufficientemente rigoroso nei confronti delle regioni a statuto speciale, che secondo il PD non devono essere lasciate fuori dagli aspetti positivi e modernizzatori del nuovo assetto.