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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



21/10/2017 M.Causi
I referendum in Lombardia e in Veneto sono inutili. Sul federalismo l´Italia è più avanti della Spagna

I referendum in Lombardia e in Veneto sono inutili. Sul federalismo l´Italia è più avanti della Spagna


I referendum consultivi convocati dalle Regioni Lombardia e Veneto per domenica 23 ottobre sono sostanzialmente inutili: una perdita di tempo e di risorse pubbliche.

Al tempo stesso sono una buona notizia. Non sembri, questa, una contraddizione con quanto ho appena affermato: si tratta di un segnale − insieme a quelli che vengono dall´economia, con crescite del Pil e dell´occupazione superiori alle attese − che stiamo uscendo dalla fase più acuta della peggiore crisi economica che ha travolto l´Italia negli ultimi settanta anni e che possiamo tornare a occuparci di temi che erano stati derubricati dall´agenda politica.

È stata la crisi a fermare la riforma della finanza locale scritta nella riforma costituzionale del 2001 e attuata nel 2009 con la legge 42 sul federalismo fiscale. Un progetto che aveva, e mantiene, l´ambizione di valorizzare una delle più importanti ricchezze che l´Italia ha ricevuto dalla sua storia, un asset competitivo eccezionale che non ha eguali al mondo: un vasto universo di istituzioni locali e municipali riconosciute dai cittadini, con radici storiche stratificate, base della democrazia repubblicana, front office quotidiano con i problemi reali delle famiglie e delle imprese. Un progetto, si badi bene, fissato dalle norme costituzionali dentro un quadro di sostenibilità e di solidarietà, in cui l´autonomia è strumento per un rapporto più stretto, e valutabile, fra cittadini e amministratori e lo Stato esercita funzioni di coordinamento e di perequazione.

Sul nucleo fondante di questo progetto le proposte di riforma costituzionale sottoposte al voto il 4 dicembre 2016 non intervenivano: non era modificato il terzo comma dell´articolo 116 sull´autonomia differenziata (oggetto del referendum lombardo-veneto), né l´articolo 119 sulla finanza locale. La riforma (purtroppo) bocciata il 4 dicembre interveniva sull´articolo 117, riorganizzando in modo più efficiente la ripartizione delle funzioni fra Stato e Regioni e introducendo un quadro uniforme di regole per il funzionamento degli enti regionali (statuti, organizzazione delle assemblee elettive, costi di autoamministrazione).

La crisi ha bloccato il processo di riforma della finanza locale, ha prodotto un aumento di centralizzazione, ha chiesto agli enti locali e regionali un contributo importante all´aggiustamento di finanza pubblica: 18 miliardi di riduzione di spesa fra 2009 e 2015, in base ai dati della Corte dei Conti. Un´inversione di tendenza è emersa negli ultimi due anni con il superamento del patto di stabilità interno, che ha permesso un aumento di spesa di 2,5 miliardi, di cui 1,5 per investimenti. Il vecchio patto di stabilità obbligava enti locali e regionali a raggiungere un attivo: può sembrare paradossale ma la regola dell´equilibrio di bilancio ha consentito al comparto di liberare risorse che prima tornavano allo Stato.

Tornando a parlare di federalismo però non dobbiamo fare l´errore di ripartire da zero. Come direbbe Massimo Troisi ripartiamo almeno da tre. Grazie alla legge 42 e al lavoro di institutional building degli anni successivi oggi conosciamo costi e fabbisogni standard dei servizi essenziali e delle funzioni fondamentali di Regioni e Comuni. Siamo in grado di misurare le capacità fiscali standard dei territori. Queste conoscenze sono condivise fra Stato, Regioni e Comuni e hanno permesso di mettere in campo strumenti di coordinamento della finanza pubblica multilivello in passato inesistenti, come i piani di rientro dei deficit sanitari delle Regioni o i fondi perequativi comunali.

Rispetto a dieci anni fa abbiamo fatto passi da gigante, anche in confronto ad altri paesi europei e non solo europei. Non è un caso che la Commissione Europea consideri la metodologia di stima di costi e fabbosogni standard elaborata in Italia come una best practice e ne consigli la diffusione.

E´ da qui che dobbiamo ripartire, se le condizioni macro-finanziarie lo permetteranno. Non dagli slogan che ci ributtano indietro nel tempo. Né dagli slogan sudisti, né da quelli nordisti.

Non è vero, ad esempio, che il nuovo Fondo perequativo di solidarietà comunale abbia penalizzato il Sud. La verità è che l´introduzione dei fabbisogni standard ha evidenziato forti distanze fra livelli di servizio esistenti e fabbisogni in tutte le grandi città, sia nel Nord che nel Sud. Nelle aree urbane più grandi, da Milano a Roma a Napoli, dove le amministrazioni civiche devono sostenere i costi di servizi che in città più piccole non esistono (ad esempio il trasporto su ferro) le risorse sono insufficienti al confronto con i fabbisogni. La questione prioritaria è quella delle grandi aree urbane, che oggi chiamiamo Città metropolitane. Non mi è chiaro se la Sindaca pro tempore ne sia a conoscenza, ma Roma è stata beneficiata dai nuovi meccanismi di perequazione sia nel 2016 che nel 2017.

Anche i referendum di Lombardia e Veneto rischiano di riportarci indietro nel tempo. Fanno riferimento all´autonomia differenziata, e cioè alla possibilità che lo Stato trasferisca a singole Regioni ordinarie nuove competenze insieme alle risorse necessarie per gestirle. Maroni e Zaia però non dicono con chiarezza cosa vorrebbero portare dalla gestione statale a quella regionale: l´istruzione? i beni culturali? Se davvero questo fosse il punto penso che nessun governo potrebbe rifiutare una trattativa di merito, come disse dieci anni fa da Presidente del Consiglio Romano Prodi (prima della crisi). Io non avrei alcuna contrarietà a decentrare a Regioni e Comuni la gestione e valorizzazione (non la tutela) dei beni culturali e anche alcune funzioni nel settore dell´istruzione, ferma restando - come nella sanità - una disciplina quadro di regolazione statale del sistema nazionale.

Ma la verità è che il messaggio politico dei referendum è sulle tasse. Ciò rende queste consultazioni sostanzialmente inutili. I costituenti lo sapevano bene e nell´articolo 75 della nostra Costituzione vietarono referendum su leggi tributarie e di bilancio. Alla domanda "vuoi pagare meno tasse e avere più servizi?" la risposta è ovvia. Quindi, soldi e risorse sprecate.

E´ un passo indietro sul piano politico da parte della Lega: la legge 42, che ha prodotto le innovazioni prima descritte, porta la firma di Roberto Calderoli. Maroni e Zaia invece sembrano fare riferimento alla proposta avanzata da Lega e Pdl durante la campagna elettorale del 2013, di trattenere il 75 per cento dei tributi nei territori dove risiedono i contribuenti che li hanno generati. Dato che Lega e Forza Italia si apprestano a una trattativa per formulare il programma con cui presentarsi alle imminenti elezioni politiche, il pericolo è che possano ripescare quell´idea.

Si tratta di una proposta incostituzionale, dannosa per la finanza pubblica italiana e pericolosa sul piano economico e politico per i cittadini delle regioni del Nord. Le tasse non sono dei territori, sono dei cittadini e delle imprese che le pagano in base al principio di capacità contributiva per ottenere in cambio beni e servizi pubblici. Un contribuente milanese che dichiara 35 mila euro l´anno paga, a parità di altre condizioni (detrazioni, ecc.) esattamente la stessa Irpef di un contribuente napoletano che guadagna la stessa cifra. Il napoletano anzi, come molti cittadini del Sud, paga più del milanese la componente locale dell´Irpef, perché le addizionali regionali e comunali sono più alte nel Sud rispetto al Nord. Il Nord versa più tasse perché ha più contribuenti (più cittadini che lavorano) e con redditi mediamente più alti. E riceve più spesa pubblica del Sud, grazie a pensioni mediamente più alte e a più elevata spesa locale.

C´è da dire qualcosa di più, e molte vicende degli ultimi anni nelle Regioni del Nord ne sono testimonianza. L´autosufficienza fiscale di un territorio non riduce la responsabilità e gli obblighi delle sue istituzioni locali. Non può diventare un alibi per spese inutili, per costi fuori standard, per sprechi. Anche le Regioni o i Comuni autosufficienti devono essere assoggettati a controllo e monitoraggio e devono corrispondere a regole (nella redazione dei bilanci, nella valutazione dell´efficienza della spesa) omogenee per l´intero territorio nazionale, a garanzia dei contribuenti di quei territori che pagano le imposte e a garanzia, più in generale, del corretto funzionamento del sistema democratico.

Le risorse impegnate per organizzare i referendum in Lombardia e Veneto sono prive di giustificazione? Nella fase iniziale dello scontro il governo di Madrid ha puntato su questo, sul danno erariale, per costruire un quadro giuridico che sostenesse il durissimo attacco alla Generalitat della Catalogna. Lo scontro è poi andato molto oltre. Io non invoco questa strada, anche perché il quadro costituzionale italiano è molto più garantista di quello spagnolo sulle prerogative delle Regioni, e però sono convinto che siano davvero soldi buttati. Risorse sprecate nella discussione pubblica, nell´attenzione dei cittadini, nel lavoro dei media. Risorse che potrebbero essere meglio utilizzate per parlare davvero di cosa sono i governi di prossimità, come contribuiscono alla coesione sociale, come potrebbero migliorare le loro prestazioni.

L´ultima cosa che possiamo permetterci è di litigare fra noi, di introdurre fratture nella coesione nazionale in uno scenario mondiale ed europeo già colmo di rischi e pericoli. Nella legge 42 e nelle norme successive, così come nel terzo comma dell´articolo 116 della Costituzione, l´Italia si è dotata di istituti avanzati e sostenibili per un federalismo efficiente e solidale. Usiamoli.

 

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