Il prestito vitalizio ipotecario due anni dopo
Ringrazio i colleghi della LUMSA per l´invito e ringrazio
per l´interessante introduzione del professor Murro. Vorrei raccontarvi come
siamo arrivati a questa legge. È un caso virtuoso, è vero: ma la virtuosità di questo
caso risiede nel fatto che hanno funzionato i corpi intermedi. Si discute molto
sul ruolo dei corpi intermedi nel processo democratico di decisione pubblica, e
alcuni sono arrivati a porsi la domanda se essi servano o siano addirittura
nocivi. Ebbene, se prendiamo il Prestito Ipotecario Vitalizio (piv) come caso di studio, si tratta di
un caso che dimostra che i corpi intermedi sono capaci di svolgere una funzione
importante. Sono stati i corpi intermedi, l´ABI e numerose Associazioni dei consumatori,
a lavorare sul tema e a siglare un protocollo d´intesa contenente una serie di
proposte di modifica alla vigente normativa. Io e Antonio Misiani ci
siamo semplicemente presi la briga di prendere questo protocollo d´intesa e
trasformarlo in legge. Per fortuna c´è stata una stagione parlamentare abbastanza
tranquilla, fra 2014 e 2015, e questo lavoro - che io definisco un lavoro di
riforme fatte con il "cacciavite", che entrano cioè anche su
questioni molto puntuali e specifiche - ha avuto la possibilità di diventare legge. Un
elemento importante è che nella normativa precedente il piv non beneficiava dell´imposta sostitutiva favorevole che si
applica ai prestiti a medio e lungo termine, mentre con questa nuova legge il piv gode di un trattamento fiscale uguale
a quello dei prestiti a medio lungo termine.
Già durante la discussione della legge in
Parlamento era emersa la possibilità di estendere il meccanismo del piv alla previdenza integrativa, andando
oltre il protocollo d´intesa fra ABI e associazioni dei consumatori. Non lo
abbiamo fatto per motivi di prudenza: quel testo aveva legittimità politica
perché nasceva da quel protocollo. Abbiamo preferito fare il primo passo senza
discostarci dal protocollo ABI-consumatori. Ad ogni modo io mi dichiaro
disponibile ad aprire la discussione sulla previdenza integrativa, anche se
temo che lo spezzone di legislatura che abbiamo di fronte non ci permetterà di
chiudere a breve termine. E´ comunque possibile depositare una proposta di
legge, lasciandola eventualmente per le successive legislature.
Il mio parere, che esprimo a livello personale
senza impegnare la mia parte politica, è che l´estensione del piv alla previdenza integrativa presenta
punti di forza, punti di debolezza e punti di incertezza.
Il punto di forza è evidente: se il mutuatario
non riceve tutto e subito ma riceve poco a poco ogni mese, l´esposizione
finanziaria è più bassa sia per il lender
sia per il borrower, e quindi i rischi
e i costi sono inferiori.
Qual è invece il punto non convincente? Il fatto
di guardare al piv come strumento che
trova giustificazione nella scelta razionale di risparmio dell´individuo dentro
l´ipotesi di life cycle, e cioè come strumento
finanziario che esercita una funzione di smoothing
fra fase di accumulazione, o fase della vita adulta, e fase di
de-cumulazione, o fase della pensione. L´evidenza internazionale disponibile
non sembra coerente con questa interpretazione, anche in paesi come US e
UK che hanno lunga esperienza nell´uso
di strumenti del tipo piv. La
letteratura internazionale ci dice che la domanda di reverse-mortgage (mutuo inverso), piuttosto che essere spiegata dall´ipotesi
di life cycle, è correlata ad altre esigenze
di scelta razionale del risparmiatore: far fronte a spese impreviste, pagare debiti,
sostenere consumi, ma soprattutto investimenti, nell´ambito di scelte
intergenerazionali a carattere familiare. Quest´ultimo punto è argomentato da
Merton: se gli eredi oggi hanno bisogno di uno start up di lavoro o di comprare la prima casa, è più razionale e
meno costoso per la famiglia, cioè per entrambe le generazioni, liquidare e
utilizzare subito gli asset familiari
piuttosto che aspettare la morte dei genitori.
Così però siamo fuori dal life cycle, usciamo da un modello di scelta individuale ed entriamo
in modelli di scelte familiari intergenerazionali, oppure in contesti in cui il
risparmio "nascosto" nell´immobile di proprietà dell´anziano assume una natura
precauzionale a fronte di spese impreviste.
In Parlamento i critici a questa proposta di
legge hanno usato un argomento che io non condivido, un argomento di tipo
paternalistico: "noi non possiamo dare alle persone anziane la possibilità
di spendere tutto e subito magari spendendo male i loro soldi". Da
convinto liberale, io penso che se una persona anziana decide di liquidare la
sua casa e girare il mondo in crociera, lo Stato, con le sue leggi, non può
sostituirsi ad una libera scelta dell´individuo. Non può essere il Parlamento a
decidere come la persona anziana debba utilizzare il risparmio implicitamente
nascosto nella sua casa di proprietà. Detto questo però, l´evidenza empirica
disponibile dimostra che le persone anziane non sono in questa logica di
decisione, perché molto spesso ragionano in un contesto intergenerazionale.
Passiamo a quelli che ho definito i punti di
incertezza. Noi dobbiamo cercare di capire come si stanno evolvendo
effettivamente i bisogni delle persone anziane. La mia impressione è che si
stanno configurando nuovi bisogni a fronte dei quali ci sono domande e offerte
di mercato da attivare con articolazioni più complesse di quelle del semplice
reddito integrativo. A fronte di una aspettativa di vita più lunga e, dunque,
di aumento del rischio di situazioni di parziale o totale non autosufficienza, si
configurano dei bisogni delle persone anziane che non sono risolvibili solo con
il rafforzamento della previdenza complementare. Ad esempio, per l´anziano house rich-cash poor può essere
importante vendere una casa grande e passare ad una piccola, oppure frazionare
il suo appartamento grande, e collegare le scelte di housing con adeguati servizi di assistenza .
C´è insomma da sviluppare il ragionamento sul modello
di assistenza sociale, un punto su cui sappiamo bene che in Italia siamo molto
arretrati, facciamo fatica a realizzare modelli al tempo stesso efficienti e soddisfacenti.
Un modello efficiente di assistenza per gli anziani, che impariamo da altri paesi,
è che si organizzino appartamenti più piccoli per più individui e coppie di
anziani vicini l´uno all´altro, quello che chiamiamo casa famiglia. Se nello
stesso stabile ci sono diverse coppie di anziani, l´infermiere, l´assistente
sociale, il tecnico sanitario che vanno da loro ogni giorno ottimizzano il
costo di produzione.
Si capisce bene che una delle possibili evoluzioni
di questa riflessione è come mettere insieme finanza, housing e offerta di assistenza. La liquidazione della casa grande
per ottenerne una più piccola, dentro un modello di assistenza sociale più
efficiente, meno costoso e con maggiore qualità della vita, configura un
prodotto più complesso della previdenza integrativa. Certamente c´è una leva finanziaria
da attivare: nell´offerta di mercato, o nell´offerta no profit (come nella
finanza etica), ci potrebbe essere un servizio misto di finanza immobiliare,
sostegno al reddito e offerta di assistenza sociale. Come ha detto Franco Locatelli,
stiamo discutendo di cose complicate, e però di vitale importanza come prossima
frontiera delle politiche di risposta a bisogni sociali sempre più rilevanti.
C´è poi un altro elemento da prendere in
considerazione, e sarebbe molto interessante introdurlo anche analizzando le
diverse esperienze europee. Nella dimensione della scelta intergenerazionale,
cioè familiare, il tax design è
decisivo. Io penso che si possa ipotizzare che nei paesi dove ci sono delle
vere imposte di successione, esentare da questa imposta le operazioni di finanza,
chiamiamola così, "immobiliare-assistenziale" potrebbe introdurre una
significativa leva di incentivo. Che vale meno, invece, nei paesi come
l´Italia, dove l´imposta di successione è moderata.
Nel ringraziare Murro per una
presentazione interessante e completa, vorrei ricordare che, mentre la volatilità
nel tempo dei prezzi immobiliari in Italia è bassa, la loro variabilità territoriale
è grandissima. Il problema italiano non è la volatilità ma la variabilità
territoriale, non soltanto fra nord e sud, ma anche micro-territoriale, fra
città grandi e piccole, fra diverse zone di una grande città.
Questo ha determinato effetti anche nella prima
fase di attuazione del nuovo piv,
perché il sistema bancario, per sperimentare il nuovo prodotto, ha deciso di
renderlo disponibile solo nei comuni di una certa ampiezza, con motivazioni che
mi sembrano derivare non solo dal costo della procedura ma anche dal "rischio
variabilità" nei prezzi degli immobili. E´ necessario capire come superare
questa limitazione, anche perché la proprietà della casa di abitazione è più
diffusa proprio nelle città più piccole al confronto con le grandi.
Io vi devo
ringraziare, e si tratta di ringraziamenti veri e sinceri, perché non è affatto
usuale, anzi direi che è rarissimo, che una persona come me, che ha lavorato
sul fronte della legislazione, possa a due anni di distanza essere messo in
condizione di valutare e monitorare in modo scientifico e professionale lo stato
di attuazione delle norme che aveva visto nascere. E questo è uno dei problemi
di mal funzionamento delle nostre istituzioni: da un lato ipertrofia normativa,
dall´altro scarsissima capacità di monitoraggio e valutazione dei risultati.
Grazie a tutti voi oggi torno a casa felice, perché i dati che sono stati
esposti oggi pomeriggio mi fanno capire che il mio piccolo contributo in sede
legislativa sta mostrando efficacia e potrà acquistarne ancora di più se il
nuovo piv verrà migliorato con i tanti suggerimenti che sono emersi.
Per esempio quello che diceva Ferri è interessante, perché se si può utilizzare
il piv come una linea di credito, anche
se non è previdenza integrativa facciamo comunque un passo avanti.
Visto che tutti avete
detto che il cuore del problema è la financial
education degli italiani, mi sembra opportuno informarvi del lavoro in
corso in Commissione finanze a Montecitorio su un testo di legge che riguarda
proprio questo argomento, assumendo come riferimento il modello Ocse, e quindi
una strategia nazionale attuata con il coordinamento di tutti i soggetti in
campo. L´iter si è bloccato su un punto, e cioè la richiesta da parte della
Commissione istruzione di introdurre l´educazione finanziaria nei programmi
ordinari dell´istruzione nazionale. Questo però ha creato una preoccupazione,
devo dire legittima, da parte della Ragioneria Generale dello Stato, la quale
ha bloccato tutto perché una cosa è l´educazione finanziaria modello Ocse, ma se
si creano le condizioni legali per attivare migliaia di nuove cattedre nelle
scuole emergono ovviamente costi importanti.
Quindici giorni fa il
Ministro dell ´Economia Padoan, presentando il decreto sulla ricapitalizzazione
delle banche al Senato, ha rilanciato il tema dell´educazione finanziaria. Ha ´ringraziato
il Parlamento per questo progetto di legge´ e ha ipotizzato di introdurre le
nuove norme sull´educazione finanziaria attraverso appositi emendamenti al
decreto, fermo che dalle norme non devono derivare modifiche alla struttura
degli insegnamenti nel sistema nazionale dell´istruzione. Insomma, siamo molto
vicini a raggiungere il risultato di cancellare l´Italia dalle tabelle Ocse in
cui il nostro paese è rimasto uno dei pochi a non essere dotato di una strategia
nazionale per l´educazione finanziaria.
Mi sia permesso di rimandare, per un esame
della letteratura, a A. Baldini e M. Causi, "Il nuovo prestito vitalizio ipotecario: si
svilupperà anche in Italia un mercato di strumenti finanziari per gli
anziani?", Bancaria, vol. 72, n. 7-8, 2016, pp. 68-72.
Il risultato è stato raggiunto qualche
settimana dopo lo svolgimento della tavola rotonda i cui atti sono qui
raccolti. Nel decreto-legge
23 dicembre 2016, n. 237, recante disposizioni urgenti per la tutela del
risparmio nel settore creditizio, l´articolo
24-bis contiene le nuove norme relative alle disposizioni generali concernenti
l´educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale. Viene allo scopo
prevista l´adozione di un programma per una Strategia nazionale per
l´educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale. Per l´attuazione della
predetta Strategia si istituisce e si disciplina presso il Ministero
dell´economia e delle finanze un Comitato nazionale per la diffusione
dell´educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale. Esso opera attraverso
riunioni periodiche; in seno al Comitato possono essere costituiti specifici
gruppi di ricerca cui potranno partecipare accademici e esperti della materia.
Agli oneri derivanti dall´attività del Comitato si provvede, nel limite di un
milione di euro l´anno a decorrere dal 2017, mediante la corrispondente
riduzione del Fondo speciale di parte corrente relativo al Ministero
dell´economia e delle finanze. L´otto settembre 2017 è stato ufficialmente costituito il Comitato per la programmazione e
il coordinamento delle attività di educazione finanziaria, istituito con
decreto del Mef (di concerto con Miur e Mise) con l´obiettivo di promuovere e
programmare iniziative di sensibilizzazione ed educazione dei risparmiatori.