Atac. E´ vero fallimento o è un pasticcio poco trasparente?
Dalle notizie in nostro possesso la
crisi di bilancio di Atac nasce interamente dall´evoluzione di poche voci straordinarie
di debito e credito una tantum. Si tratta di due partite che hanno come
controparte il socio unico Roma Capitale e che erano già scritte nei precedenti
bilanci. Una recente e nuova valutazione di queste voci crea una perdita di 220
milioni nel 2016.
Il conto economico dell´azienda produce
invece un MOL (margine operativo lordo) positivo e, al netto di queste novità
improvvise, presenterebbe una perdita contabile inferiore a 40 milioni,
confermando così il progressivo riequilibrio in corso da qualche anno (le
perdite sono state di 140 milioni nel 2014 e di 79 nel 2015).
L´equilibrio dei conti, ancorché
parziale, è stato raggiunto anche grazie alla manovra di agosto 2015, che
comprendeva una ricapitalizzazione di circa 180 milioni (40 di disponibilità
liquide e 140 di conferimenti) e il varo di un nuovo contratto di servizio, il
primo dopo quello precedente del 2005, successivamente sempre prorogato dopo la
scadenza (2011). Il nuovo contratto, basato sul criterio innovativo dei costi
standard e avente durata fino al dicembre 2019, è stato reso possibile grazie a
risorse aggiuntive provenienti dalla Regione Lazio (più 40 milioni per il 2016,
più 60 milioni per il 2017, così da arrivare a 240 milioni di trasferimenti
regionali) e ha raggiunto l´ammontare complessivo di 559 milioni per il 2016 e
565,8 per il 2017.
E´ sempre dell´agosto 2015 la
decisione, nel bilancio di assestamento del Campidoglio, di stanziare 58,3
milioni di euro per le manutenzioni straordinarie del materiale rotabile, degli
impianti e delle infrastrutture, una voce di investimento che era stata
azzerata nei precedenti quattro anni. Questa disponibilità è stata
inspiegabilmente cancellata dalla gestione commissariale e poi ripristinata
solo parzialmente (18 milioni).
Il miglioramento del risultato
d´esercizio su un conto economico, naturalmente, non è di per sé elemento
sufficiente a produrre un giudizio positivo sull´andamento complessivo delle
attività aziendali: il servizio è stato pesantemente ridotto, gli investimenti
sono crollati ormai da molti anni, lo stato manutentivo di flotte e reti è
gravemente peggiorato, la crescita dei ricavi tariffari è insoddisfacente. L´azienda
ha avuto difficoltà a impegnare e spendere sia gli stanziamenti appena citati
sia le ulteriori risorse ottenute nell´ambito del Giubileo straordinario, poco
più di 9 milioni di euro: i relativi investimenti risultano ad oggi ancora non
conclusi.
La crisi di bilancio, come detto,
è scoppiata alcune settimane fa in seguito al disconoscimento da parte di Roma
Capitale di due crediti vantati da Atac nei confronti del Comune. La cancellazione
di queste somme abbatte il capitale aziendale al di sotto delle soglie previste
dalla legge e implica quello che, giornalisticamente, viene definito come
obbligo a "portare i libri in tribunale".
E´ stata quindi a nostro giudizio
una recente decisione dell´amministrazione capitolina a generare la crisi.
Due considerazioni. Primo, i
crediti ripudiati nascevano da incrementi di costo verificatisi in anni
precedenti che, in passato, il Comune aveva autorizzato. Si tratta del cosiddetto
"lodo Tevere tpl", che dopo un lungo contenzioso arrivato alla conclusione in
Cassazione ha imposto ad Atac e Roma Capitale di riconoscere gli aumenti
contrattuali dovuti agli addetti della rete di servizi periferici di bus gestita
dall´operatore privato. Accanto a questa voce c´è la copertura, simmetrica, degli
analoghi aumenti contrattuali dovuti ai dipendenti dell´azienda pubblica.
Soprattutto nel primo caso, in
cui Atac agisce da stazione appaltante per conto dell´amministrazione e siamo
in presenza di una sentenza della Cassazione, è molto dubbio che il
disconoscimento possa considerarsi legittimo a fronte di un´attenta verifica
tecnico-giuridica. Atac però non sembra avere opposto resistenza a questa
discutibile decisione dell´amministrazione. C´è da chiedersi cosa ne pensano il
Consiglio di amministrazione e il Collegio sindacale di Atac. Se abbiano
verificato che tale comportamento sia in linea con i principi di corretta
amministrazione eventualmente segnalando al socio gli elementi di criticità. E´ chiaramente spiacevole per amministratori
di un´impresa con socio unico contrapporsi a quel socio, anche ricorrendo alle
vie legali, ma gli organi di amministrazione e di controllo di una SpA potrebbero,
alla luce delle responsabilità loro assegnate dalla legge, esercitare un
contrappeso che finora si è visto poco.
C´è anche da chiedersi se il
disconoscimento, deciso dal Campidoglio in beata solitudine, reggerà alle
verifiche a cui sarà certamente sottoposto in sedi giudiziali, nell´ambito del
processo di recupero delle somme dovute in base a sentenze già passate in
giudicato da parte del soggetto terzo che vanta il credito.
Secondo, anche in seguito alla
cancellazione di queste poste attive dal bilancio di Atac ci sarebbe stato forse
un altro modo per evitare la discesa del capitale aziendale al di sotto delle
soglie di legge. Atac ha un debito finanziario con le banche di circa 120
milioni (inferiore al passato, in conseguenza della drammatica riduzione degli
investimenti) e il programma di pagamento prevede esborsi consistenti nel
triennio 2017-2019. Non sarebbe stato preferibile, con il supporto negoziale
del Campidoglio, ricontrattare con le banche il piano di pagamento e diluirlo
su un numero più lungo di anni? Neppure questa linea è stata perseguita da Atac
e dall´amministrazione.
Sembra allora di poter concludere
che la crisi di bilancio di Atac sia stata, delle due l´una: o voluta
scientemente dal Campidoglio, che ha preferito scaricare su Atac le proprie
debolezze (mancanza di coperture; necessità di proporre un proprio bilancio
consolidato in apparenza "pulito"; preoccupazione di esercitare il ruolo di
pagatore di ultima istanza in un appalto − quello dei servizi periferici −
sotto l´attenzione dalla magistratura non solo contabile); oppure scoppiata
improvvisamente e preterintenzionalmente per effetto di una decisione − il
disconoscimento dei crediti − i cui effetti non erano stati valutati né
governati all´interno del complesso sistema di gestione che coinvolge il
Campidoglio e le sue partecipate.
Provocare una crisi per innestare
un "nuovo inizio" in un´azienda in difficoltà potrebbe essere stato l´obiettivo
di almeno una parte dell´amministrazione (non è chiaro se tutti lo sapessero o
fossero d´accordo: Mazzillo, evidentemente, non lo era). Ma il punto più
clamoroso e paradossale, che deriva dalle modalità con cui la crisi è stata
aperta, è che il principale soggetto che pagherà le conseguenze di questa crisi
è proprio il Comune di Roma. Nella massa dei debiti di Atac, che attraverso la
procedura del concordato preventivo dovrebbe essere falcidiata sulla base di un
piano di risanamento che dovrà ottenere una valutazione positiva da parte del
Tribunale e l´approvazione dei creditori, il principale creditore di Atac è,
appunto, il Campidoglio.
Gli altri principali creditori di
Atac sono i dipendenti (TFR), i fornitori, le banche, Trenitalia e Cotral
(questi ultimi due per i diritti vantati su quote Metrebus ancora non versate
da Atac). Ma quello più esposto è il bilancio di Roma Capitale, che vanta circa
500 milioni di crediti (477 per l´esattezza). La maggior parte deriva da partite
molto antiche, che Atac ha ereditato da Trambus e Metro in seguito alla fusione
realizzata nel 2009. Esse fanno riferimento ad anticipazioni e integrazioni del
contributo regionale versate dal Comune le quali, una volta ristorati i flussi
di pagamento regolari da parte della Regione, avrebbero dovuto o dovrebbero
essere restituite al Campidoglio.
Se in seguito al piano
concordatario la falcidia fosse per ipotesi del 50 per cento le casse
capitoline dovranno coprire la cancellazione di un attivo di circa 250 milioni.
Con le nuove regole di bilancio in vigore per gli enti locali la copertura
dovrà essere immediata. Considerato che circa 3 miliardi di spesa corrente
comunale sono rigidi (dipendenti e contratti di servizio), sarà necessario
tagliare circa il 25 per cento della restante spesa corrente (che vale poco più
di un miliardo). In alternativa bisognerà recuperare economie sulla spesa in
conto capitale, già adesso ridotta al lumicino.
Può darsi che l´inefficienza
dell´amministrazione pro-tempore attualmente responsabile del Campidoglio e il
sostanziale blocco di ogni attività complessa all´interno dell´ente stia
generando risparmi sulle spese in conto capitale: che esistano insomma risorse destinate
a investimenti non utilizzate. In entrambe i casi (e soprattutto nel secondo)
la scelta, non si sa se voluta o casuale, del concordato sarà pagata con la
riduzione di servizi e opere per la città.
Si potrebbe fare diversamente?
Certamente sì. Si potrebbe, ad esempio, programmare un piano pluriennale di
progressivo assorbimento del debito Atac verso il Comune, in modo da diluire
l´impatto sul bilancio capitolino della cancellazione di quel credito. Si
potrebbe aiutare Atac a ricontrattare il debito con le banche. Il Campidoglio
avrebbe potuto evitare di disconoscere i crediti vantati da Atac sul Comune.
Atac avrebbe potuto manifestare un atteggiamento meno passivo.
Si potrebbe ricorrere, piuttosto
che al concordato preventivo, all´amministrazione straordinaria prevista dalla
Prodi-Marzano per le grandi aziende in crisi (vedi caso Alitalia). Atac rientra
nei parametri per questa procedura, che permetterebbe una gestione della crisi
più consapevole dei profili politico-istituzionali e di allarme pubblico
derivanti dal pre-dissesto di un´azienda così grande e importante di servizio
pubblico, e più attenta altresì alla progettazione del futuro industriale dell´impresa
risanata, elementi questi che il Tribunale non è tenuto altrimenti a valutare
pienamente. L´amministrazione straordinaria implicherebbe l´apertura di un
tavolo al Ministero per lo sviluppo economico. Implicherebbe, insomma,
trasparenza.
La trasparenza, invece, manca del
tutto in questa vicenda. Il Consiglio comunale, che a Roma si chiama Assemblea
capitolina, è l´organo che la legge individua per decidere gli indirizzi sulla
costituzione di società partecipate comunali nonché su ogni altra operazione
straordinaria che le riguardi. La richiesta al Tribunale di concordato
preventivo è chiaramente un´operazione straordinaria, ma la giunta romana ha
deciso di procedere senza una formale deliberazione consiliare. Una decisione
che mette a forte rischio di illegittimità l´intero processo.
Il progetto di bilancio 2016 di
Atac non è stato reso pubblico. Non si conoscono le motivazioni del
disconoscimento da parte di Roma Capitale dei crediti vantati da Atac, cioè del
fattore che ha scatenato la crisi. Non si conoscono le valutazioni degli organi
indipendenti, e cioè del Collegio sindacale (pur interpellato dalla Presidente
del principale gruppo di opposizione in aula Giulio Cesare) e della società
incaricata della revisione contabile di Atac.
Io penso che siamo di fronte a un
pasticcio prodotto dall´incapacità di gestione della giunta capitolina
pro-tempore. Se così non fosse, attenzione, qualcuno potrebbe iniziare a
pensare che siamo di fronte a qualcosa di peggio, e cioè a un´ipotesi di mala gestio per cui il socio pubblico, nel
nostro caso il Comune, fa fallire la sua azienda per non pagare i creditori.
Il
pasticcio durerà ancora a lungo, con un carico di incertezze non
preventivabile. I costi, purtroppo, li pagherà la città.