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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



14/09/2017 M.Causi
Atac. E´ vero fallimento o è un pasticcio poco trasparente?

Atac. E´ vero fallimento o è un pasticcio poco trasparente?

Dalle notizie in nostro possesso la crisi di bilancio di Atac nasce interamente dall´evoluzione di poche voci straordinarie di debito e credito una tantum. Si tratta di due partite che hanno come controparte il socio unico Roma Capitale e che erano già scritte nei precedenti bilanci. Una recente e nuova valutazione di queste voci crea una perdita di 220 milioni nel 2016. 

Il conto economico dell´azienda produce invece un MOL (margine operativo lordo) positivo e, al netto di queste novità improvvise, presenterebbe una perdita contabile inferiore a 40 milioni, confermando così il progressivo riequilibrio in corso da qualche anno (le perdite sono state di 140 milioni nel 2014 e di 79 nel 2015).

L´equilibrio dei conti, ancorché parziale, è stato raggiunto anche grazie alla manovra di agosto 2015, che comprendeva una ricapitalizzazione di circa 180 milioni (40 di disponibilità liquide e 140 di conferimenti) e il varo di un nuovo contratto di servizio, il primo dopo quello precedente del 2005, successivamente sempre prorogato dopo la scadenza (2011). Il nuovo contratto, basato sul criterio innovativo dei costi standard e avente durata fino al dicembre 2019, è stato reso possibile grazie a risorse aggiuntive provenienti dalla Regione Lazio (più 40 milioni per il 2016, più 60 milioni per il 2017, così da arrivare a 240 milioni di trasferimenti regionali) e ha raggiunto l´ammontare complessivo di 559 milioni per il 2016 e 565,8 per il 2017.

E´ sempre dell´agosto 2015 la decisione, nel bilancio di assestamento del Campidoglio, di stanziare 58,3 milioni di euro per le manutenzioni straordinarie del materiale rotabile, degli impianti e delle infrastrutture, una voce di investimento che era stata azzerata nei precedenti quattro anni. Questa disponibilità è stata inspiegabilmente cancellata dalla gestione commissariale e poi ripristinata solo parzialmente (18 milioni).

Il miglioramento del risultato d´esercizio su un conto economico, naturalmente, non è di per sé elemento sufficiente a produrre un giudizio positivo sull´andamento complessivo delle attività aziendali: il servizio è stato pesantemente ridotto, gli investimenti sono crollati ormai da molti anni, lo stato manutentivo di flotte e reti è gravemente peggiorato, la crescita dei ricavi tariffari è insoddisfacente. L´azienda ha avuto difficoltà a impegnare e spendere sia gli stanziamenti appena citati sia le ulteriori risorse ottenute nell´ambito del Giubileo straordinario, poco più di 9 milioni di euro: i relativi investimenti risultano ad oggi ancora non conclusi.

La crisi di bilancio, come detto, è scoppiata alcune settimane fa in seguito al disconoscimento da parte di Roma Capitale di due crediti vantati da Atac nei confronti del Comune. La cancellazione di queste somme abbatte il capitale aziendale al di sotto delle soglie previste dalla legge e implica quello che, giornalisticamente, viene definito come obbligo a "portare i libri in tribunale".

E´ stata quindi a nostro giudizio una recente decisione dell´amministrazione capitolina a generare la crisi.

Due considerazioni. Primo, i crediti ripudiati nascevano da incrementi di costo verificatisi in anni precedenti che, in passato, il Comune aveva autorizzato. Si tratta del cosiddetto "lodo Tevere tpl", che dopo un lungo contenzioso arrivato alla conclusione in Cassazione ha imposto ad Atac e Roma Capitale di riconoscere gli aumenti contrattuali dovuti agli addetti della rete di servizi periferici di bus gestita dall´operatore privato. Accanto a questa voce c´è la copertura, simmetrica, degli analoghi aumenti contrattuali dovuti ai dipendenti dell´azienda pubblica.

Soprattutto nel primo caso, in cui Atac agisce da stazione appaltante per conto dell´amministrazione e siamo in presenza di una sentenza della Cassazione, è molto dubbio che il disconoscimento possa considerarsi legittimo a fronte di un´attenta verifica tecnico-giuridica. Atac però non sembra avere opposto resistenza a questa discutibile decisione dell´amministrazione. C´è da chiedersi cosa ne pensano il Consiglio di amministrazione e il Collegio sindacale di Atac. Se abbiano verificato che tale comportamento sia in linea con i principi di corretta amministrazione eventualmente segnalando al socio gli elementi di criticità.  E´ chiaramente spiacevole per amministratori di un´impresa con socio unico contrapporsi a quel socio, anche ricorrendo alle vie legali, ma gli organi di amministrazione e di controllo di una SpA potrebbero, alla luce delle responsabilità loro assegnate dalla legge, esercitare un contrappeso che finora si è visto poco.

C´è anche da chiedersi se il disconoscimento, deciso dal Campidoglio in beata solitudine, reggerà alle verifiche a cui sarà certamente sottoposto in sedi giudiziali, nell´ambito del processo di recupero delle somme dovute in base a sentenze già passate in giudicato da parte del soggetto terzo che vanta il credito.

Secondo, anche in seguito alla cancellazione di queste poste attive dal bilancio di Atac ci sarebbe stato forse un altro modo per evitare la discesa del capitale aziendale al di sotto delle soglie di legge. Atac ha un debito finanziario con le banche di circa 120 milioni (inferiore al passato, in conseguenza della drammatica riduzione degli investimenti) e il programma di pagamento prevede esborsi consistenti nel triennio 2017-2019. Non sarebbe stato preferibile, con il supporto negoziale del Campidoglio, ricontrattare con le banche il piano di pagamento e diluirlo su un numero più lungo di anni? Neppure questa linea è stata perseguita da Atac e dall´amministrazione.

Sembra allora di poter concludere che la crisi di bilancio di Atac sia stata, delle due l´una: o voluta scientemente dal Campidoglio, che ha preferito scaricare su Atac le proprie debolezze (mancanza di coperture; necessità di proporre un proprio bilancio consolidato in apparenza "pulito"; preoccupazione di esercitare il ruolo di pagatore di ultima istanza in un appalto − quello dei servizi periferici − sotto l´attenzione dalla magistratura non solo contabile); oppure scoppiata improvvisamente e preterintenzionalmente per effetto di una decisione − il disconoscimento dei crediti − i cui effetti non erano stati valutati né governati all´interno del complesso sistema di gestione che coinvolge il Campidoglio e le sue partecipate.

 

Provocare una crisi per innestare un "nuovo inizio" in un´azienda in difficoltà potrebbe essere stato l´obiettivo di almeno una parte dell´amministrazione (non è chiaro se tutti lo sapessero o fossero d´accordo: Mazzillo, evidentemente, non lo era). Ma il punto più clamoroso e paradossale, che deriva dalle modalità con cui la crisi è stata aperta, è che il principale soggetto che pagherà le conseguenze di questa crisi è proprio il Comune di Roma. Nella massa dei debiti di Atac, che attraverso la procedura del concordato preventivo dovrebbe essere falcidiata sulla base di un piano di risanamento che dovrà ottenere una valutazione positiva da parte del Tribunale e l´approvazione dei creditori, il principale creditore di Atac è, appunto, il Campidoglio.

Gli altri principali creditori di Atac sono i dipendenti (TFR), i fornitori, le banche, Trenitalia e Cotral (questi ultimi due per i diritti vantati su quote Metrebus ancora non versate da Atac). Ma quello più esposto è il bilancio di Roma Capitale, che vanta circa 500 milioni di crediti (477 per l´esattezza). La maggior parte deriva da partite molto antiche, che Atac ha ereditato da Trambus e Metro in seguito alla fusione realizzata nel 2009. Esse fanno riferimento ad anticipazioni e integrazioni del contributo regionale versate dal Comune le quali, una volta ristorati i flussi di pagamento regolari da parte della Regione, avrebbero dovuto o dovrebbero essere restituite al Campidoglio.

Se in seguito al piano concordatario la falcidia fosse per ipotesi del 50 per cento le casse capitoline dovranno coprire la cancellazione di un attivo di circa 250 milioni. Con le nuove regole di bilancio in vigore per gli enti locali la copertura dovrà essere immediata. Considerato che circa 3 miliardi di spesa corrente comunale sono rigidi (dipendenti e contratti di servizio), sarà necessario tagliare circa il 25 per cento della restante spesa corrente (che vale poco più di un miliardo). In alternativa bisognerà recuperare economie sulla spesa in conto capitale, già adesso ridotta al lumicino.

Può darsi che l´inefficienza dell´amministrazione pro-tempore attualmente responsabile del Campidoglio e il sostanziale blocco di ogni attività complessa all´interno dell´ente stia generando risparmi sulle spese in conto capitale: che esistano insomma risorse destinate a investimenti non utilizzate. In entrambe i casi (e soprattutto nel secondo) la scelta, non si sa se voluta o casuale, del concordato sarà pagata con la riduzione di servizi e opere per la città.

Si potrebbe fare diversamente? Certamente sì. Si potrebbe, ad esempio, programmare un piano pluriennale di progressivo assorbimento del debito Atac verso il Comune, in modo da diluire l´impatto sul bilancio capitolino della cancellazione di quel credito. Si potrebbe aiutare Atac a ricontrattare il debito con le banche. Il Campidoglio avrebbe potuto evitare di disconoscere i crediti vantati da Atac sul Comune. Atac avrebbe potuto manifestare un atteggiamento meno passivo.

Si potrebbe ricorrere, piuttosto che al concordato preventivo, all´amministrazione straordinaria prevista dalla Prodi-Marzano per le grandi aziende in crisi (vedi caso Alitalia). Atac rientra nei parametri per questa procedura, che permetterebbe una gestione della crisi più consapevole dei profili politico-istituzionali e di allarme pubblico derivanti dal pre-dissesto di un´azienda così grande e importante di servizio pubblico, e più attenta altresì alla progettazione del futuro industriale dell´impresa risanata, elementi questi che il Tribunale non è tenuto altrimenti a valutare pienamente. L´amministrazione straordinaria implicherebbe l´apertura di un tavolo al Ministero per lo sviluppo economico. Implicherebbe, insomma, trasparenza.

La trasparenza, invece, manca del tutto in questa vicenda. Il Consiglio comunale, che a Roma si chiama Assemblea capitolina, è l´organo che la legge individua per decidere gli indirizzi sulla costituzione di società partecipate comunali nonché su ogni altra operazione straordinaria che le riguardi. La richiesta al Tribunale di concordato preventivo è chiaramente un´operazione straordinaria, ma la giunta romana ha deciso di procedere senza una formale deliberazione consiliare. Una decisione che mette a forte rischio di illegittimità l´intero processo.

Il progetto di bilancio 2016 di Atac non è stato reso pubblico. Non si conoscono le motivazioni del disconoscimento da parte di Roma Capitale dei crediti vantati da Atac, cioè del fattore che ha scatenato la crisi. Non si conoscono le valutazioni degli organi indipendenti, e cioè del Collegio sindacale (pur interpellato dalla Presidente del principale gruppo di opposizione in aula Giulio Cesare) e della società incaricata della revisione contabile di Atac.

Io penso che siamo di fronte a un pasticcio prodotto dall´incapacità di gestione della giunta capitolina pro-tempore. Se così non fosse, attenzione, qualcuno potrebbe iniziare a pensare che siamo di fronte a qualcosa di peggio, e cioè a un´ipotesi di mala gestio per cui il socio pubblico, nel nostro caso il Comune, fa fallire la sua azienda per non pagare i creditori.

Il pasticcio durerà ancora a lungo, con un carico di incertezze non preventivabile. I costi, purtroppo, li pagherà la città.

 

 

 



 
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