Quasi un anno fa è scomparso
Paolo Leon, dopo avere attraversato per più di cinquant´anni le vicende
storiche, politiche ed economiche italiane.
Numerose iniziative sono in corso
per ricordarne l´opera. La Fondazione Giacomo Brodolini ha dedicato una sezione
dell´ultimo fascicolo della rivista Economia & Lavoro a una raccolta di
scritti che ripercorrono il suo pensiero come economista teorico e applicato,
che verrà discussa in un evento organizzato il 3 maggio dalla sua Università,
Roma Tre. In quell´occasione verrà presentato il premio "Paolo Leon", che sarà
assegnato annualmente a giovani economisti/e per tesi di laurea specialistica.
Il premio è finanziato dal Cles, il centro studi fondato da Leon più di 35 anni
fa, e gestito dal Centro studi e documentazione "Piero Sraffa", di cui Leon è
stato presidente. Il 15 giugno il MAXXI e l´Associazione per l´economia della
cultura, di cui Leon è stato fondatore, hanno programmato un convegno che si
concentrerà sul suo contributo all´analisi economica dei beni e delle industrie
culturali.
Leon si è affermato come
economista di grande valore fin dagli anni sessanta del secolo scorso, grazie a
studi sulla dinamica economica in cui le continue e imprevedibili
trasformazioni dei sistemi capitalistici trovano una lettura di stampo
keynesiano che le collega non solo ai fenomeni schumpeteriani di "distruzione
creatrice" dal lato dell´offerta, ma anche all´incessante evoluzione della
domanda di consumi e della sua composizione. Leon citava come suoi maestri Keynes, Caffè, Robinson, Sraffa,
Kaldor, Sylos Labini; e come suo riferimento quella che una volta era chiamata la
"scuola anglo-italiana": Pasinetti, Garegnani, Graziani, Roncaglia.
Durante gli anni settanta, all´impegno scientifico ha affiancato un´appassionata
militanza nell´ambito della sinistra socialista e del sindacato. Negli anni
ottanta e novanta, mentre partecipava alla fondazione dell´Università Roma Tre,
ha moltiplicato il lavoro scientifico e professionale in numerosi campi di
economia applicata, a supporto delle politiche pubbliche di livello nazionale e
locale. È stato pioniere in Italia degli studi di economia della cultura, della
valutazione economica del danno ambientale, dell´analisi costi-benefici degli
investimenti pubblici, dell´applicazione di modelli macro-fondati all´analisi
delle economie locali e alla pianificazione urbanistica, dei metodi di public policy evaluation.
È stato un tenace difensore del ruolo dello Stato per la stabilizzazione
dell´economia e della crescita, per la sua regolazione e per la fornitura dei
beni pubblici e meritevoli. Lo Stato di Leon non è il Leviatano, deve attenersi
a criteri di trasparenza, di efficienza/efficacia, di valutazione delle sue stesse
azioni; ma non deve essere minimo e deve esercitare una funzione di scelta,
fondata sulla conoscenza della macroeconomia, per conto degli interessi della
collettività (comunità). L´intervento pubblico sui beni meritevoli (ad esempio
istruzione e formazione, beni e attività culturali) non deve limitarsi
all´obiettivo dell´esistenza ma deve garantirne l´accessibilità e la continua riduzione
dell´esclusione.
La sua curiosità e capacità metodologica di applicare a tanti problemi
concreti una "buona" analisi economica, tesa a superare le aporie dell´analisi
neoclassica, ricordano il metodo di Keynes, il quale scriveva: «Guardiamoci dal
sopravvalutare l´importanza del problema economico o dal sacrificare alle sue
attuali necessità altre questioni di più profonda e duratura importanza. [Il
problema economico] dovrebbe essere un problema da specialisti, come la cura
dei denti. Se gli economisti riuscissero a farsi considerare gente umile, di
competenza specifica, sul piano dei dentisti, sarebbe meraviglioso». Per
compiere l´esercizio di umiltà evocato da Keynes occorre possedere un livello
culturale di elevato spessore e una grande signorilità. Paolo Leon li aveva
entrambi, e li combinava con una perenne, sorniona ironia.
Ed era presbite. Negli ultimi dieci anni di attività scientifica si è
dedicato allo studio dei nuovi meccanismi di funzionamento del capitalismo
globale super-finanziarizzato in cui, dopo il divorzio fra Stati e Banche
centrali, la moneta endogena sostituisce quella esogena e l´obiettivo
dell´accumulazione sostituisce quello del profitto. Il capitalista diverge e si
allontana dall´imprenditore, mentre il sistema ristagna e diventa più instabile
e diseguale. Leon definisce i responsabili politici dei Paesi avanzati "poteri
ignoranti" perché adottano politiche che ignorano due fondamenti macroeconomici
essenziali: il ruolo di ultima istanza degli Stati per la stabilizzazione
dell´economia; e il ruolo della distribuzione dei redditi e delle ricchezze per
la determinazione della domanda effettiva, e dunque della crescita e
dell´occupazione. Le conseguenze politiche di queste dinamiche "ignoranti",
nelle sue parole, «non preludono a nulla di buono», mentre la sinistra politica
tradizionale rischia la sorte che la storia ha riservato ai whigs: l´irrilevanza.
L´ultima frase del suo ultimo libro, edito soltanto un mese prima della
scomparsa, letta oggi − dopo le elezioni statunitensi e mentre soffiano venti di
guerre non solo commerciali ma anche guerreggiate − si dimostra profetica: «Una volta esautorato il
potere pubblico, anche quando la moneta esogena sostituisce quella endogena,
non ne segue altra autocoscienza pubblica che il mercantilismo, e governi
mercantilisti sono altrettanto ciechi all´economia nel suo complesso degli
imprenditori-capitalisti che proteggono. C´è allora da chiedersi se gli Stati
mercantili, ridotta la sovranità nazionale, non cercheranno di ricostruirla
attraverso il conflitto aperto con altri Stati». L´ultimo Leon ci impegna a fare tesoro della
sua lucida capacità di guardare senza ombre la realtà, che appare minacciosa in
assenza di una politica capace di riprendere, su scala al tempo stesso locale e
globale, il governo dell´economia, la manovra della domanda effettiva e della
crescita, la regolazione dell´offerta di beni pubblici e meritevoli,
l´attenzione alla distribuzione del reddito. Leon ci invita a un confronto non
ideologico, a conoscere la realtà per cambiarla, per allontanare, prima che sia
troppo tardi, lo spettro della stagnazione secolare e del regresso della
società e delle comunità che esso comporta.
Marco Causi
Leonello Tronti