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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



03/03/2016 M.Causi
Roma: il deficit di manutenzione e investimenti sui beni pubblici e le infrastrutture collettive

I numeri parlano chiaro: le grandi capitali europee investono sui loro beni pubblici e infrastrutture collettive tre o quattro volte di quanto investe Roma. Guardando ai dati del 2015, gli impegni per investimenti nella Capitale d´Italia si sono fermati a 164 milioni. A questa cifra possono essere sommati gli investimenti effettuati dalle imprese concessionarie di servizi pubblici (trasporti, ambiente, acqua e depurazione, distribuzione elettrica), la cui stima nel 2015 è di circa 350 milioni. La cifra complessiva per Roma, quindi, supera a malapena i 500 milioni, contro 1,5 miliardi a Parigi e 1,9 miliardi a Londra.

Parigi e Londra, si dirà, sono molto più grandi di Roma. Nel caso di Parigi non è proprio così, poiché i confini amministrativi del Comune sono più piccoli sia in termini di superficie che di popolazione di quelli della capitale italiana.

Ma allora prendiamo Stoccolma, una città di 900 mila abitanti dentro un distretto urbano di due milioni e mezzo − una dimensione, quest´ultima, paragonabile a quella dell´attuale Comune di Roma, che di abitanti ne ha 2,9 milioni. A Stoccolma gli investimenti diretti della municipalità viaggiano intorno a 450-470 milioni all´anno e si sommano a investimenti delle concessionarie dei servizi pubblici nell´ordine di 1,3-1,7 miliardi l´anno. Insomma: Stoccolma batte Roma 4 a 1.

Oppure prendiamo Madrid dove, nonostante le difficoltà finanziarie della Spagna, anche superiori a quelle italiane, gli investimenti programmati sulla Capitale nel 2016 dal Comune e dalla Comunità autonoma ammontano a un miliardo e 64 milioni. Madrid batte Roma 2 a 1.

Anche il confronto con Milano deve far riflettere, dato che Roma ha una popolazione doppia e una superficie urbana cinque volte più grande della capitale lombarda. Nel 2014 (dati di consuntivo) 945 a Milano contro 331 a Roma, nel 2015 (dati di preventivo) addirittura 3,6 miliardi a Milano − grazie ad Expo´ - contro 451 a Roma. Peraltro, già sappiamo che gli effettivi impegni sono inferiori: a Roma il dato provvisorio sarebbe di soli 164 milioni, la cifra che abbiamo ricordato all´inizio di queste righe.

Naturalmente questi dati vanno interpretati con attenzione e intelligenza e non devono essere usati per dar voce a un indistinto "piagnisteo" romano meramente rivendicazionista, che sarebbe oltremodo inutile, se non controproducente, anche perché una parte di responsabilità per questo stato delle cose è a carico delle rappresentanze politico-istituzionali di Roma, e non tutto può essere ricondotto al sentimento anti-romano di cui purtroppo è pervasa l´opinione pubblica nazionale − anche quella di fede non strettamente leghista − e alla reputazione negativa della Capitale che è l´inevitabile conseguenza del degrado amministrativo e degli scandali degli ultimi anni.

Questi dati vanno tuttavia tenuti ben presenti nella discussione pubblica che dovrebbe suscitarsi durante la campagna elettorale: l´enorme deficit di manutenzione urbana, e soprattutto delle reti infrastrutturali del trasporto viario e su ferro (ma non solo, anche igiene urbana, accesso sostenibile alla casa e cura e decoro dei beni pubblici, soprattutto nelle periferie, mostrano rilevanti criticità), che si osserva a Roma deriva dal crollo degli investimenti pubblici − quelli per le manutenzioni e quelli per l´ampliamento e la modernizzazione delle reti. Un crollo che segna, con motivazioni diverse e complesse, gli ultimi otto anni della vita amministrativa del Campidoglio. E che, se non viene superato con adeguate, rigorose e pluriennali azioni politiche locali e nazionali, non potrà consentire a chiunque aspiri alla funzione di Sindaco di Roma di presentare un programma con cui, credibilmente, promuovere una solida inversione di tendenza.

Prima della crisi del 2008 gli investimenti pubblici locali avevano raggiunto a Roma livelli simili a quelli che oggi vediamo a Londra, Parigi o Stoccolma. Senza scomodare il Giubileo del 2000, fra il 2001 e il 2006 le risorse per investimenti mobilitate dal bilancio comunale sono state di 6,4 miliardi, un po´ più di un miliardo l´anno, e quelle delle aziende concessionarie di pubblici servizi di 2,3 miliardi, circa 380 milioni l´anno. Dopo l´inizio della Grande Recessione gli investimenti pubblici crollano in tutta Italia − uno degli effetti deleteri di politiche europee di bilancio che non hanno mai accettato la "golden rule", e cioè di assumere come obiettivo il deficit al netto delle spese per investimento. Ma crollano in modo particolare a Roma. Ed è qui che bisogna fare una riflessione utile non solo per la storia, ma anche per le scelte politiche di oggi e del futuro. Una riflessione su quattro punti.

Primo, la gestione dell´accentuato ciclo di investimenti pre-2008 non è stata sempre efficiente, ha mostrato anzi alcuni limiti. L´esempio è la linea C, paradigma del fallimento della legge obiettivo, recentemente sostituita con una nuova legge sugli appalti, nonostante le contromisure predisposte tramite la costruzione di un "contro-potere" tecnico al contraente generale (la società pubblica di ingegneria Roma Metropolitane). E però, il guazzabuglio giuridico e contrattuale, di contenziosi e di lievitazione dei costi, intorno alla linea C non può produrre come conseguenza che nessun progetto di investimento di taglia media e grande possa più essere fatto a Roma, a partire dallo stesso completamento di quella linea metropolitana, che: (1) deve arrivare al Colosseo, risolvendo i problemi di incrocio con le altre linee e facendo a Colosseo − Fori Imperiali una stazione bella, all´altezza della bellezza che il viaggiatore incontra quando esce dalla metro; (2) deve proseguire, perché sarebbe assurdo e anti-economico interrompere la linea al Colosseo. Si ridefiniscano le stazioni appaltanti, si mettano in campo poteri di controllo più pervasivi, si usi la nuova legge sugli appalti, si verifichino le ipotesi di fermate nel centro storico avanzate dagli addetti ai lavori e dai responsabili della tutela archeologica, ma non ci si può permettere di non decidere, perché un paese incapace di decidere non ha futuro.

Anche in termini di capacità di realizzazione il Campidoglio ha molto da rimproverarsi, e questo è un elemento su cui avanzare proposte. In alcuni casi l´attuazione delle opere può essere delegata ad altre stazioni appaltanti, come ad esempio l´Anas o le Ferrovie dello Stato, superando le tipiche gelosie e conflittualità fra amministrazioni. Occorre progettare un rafforzamento degli uffici tecnici del Comune, e può essere interessante l´occasione della Città metropolitana, perché la ex Provincia è dotata di uffici tecnici che potrebbero essere integrati con quelli capitolini.

Secondo punto. Il bilancio comunale, in seguito alle norme speciali del 2009-2010, ha avuto una forte spinta distorsiva a vantaggio delle spese correnti, aumentate di quasi un miliardo fra consuntivo 2007 e consuntivo 2012 (la fonte di questo dato è la Relazione MEF di gennaio 2014, a pag. 21, dove l´aumento è da 3,2 miliardi a 4,1 miliardi, tenendo conto di tutti i vari e complicati passaggi per rendere i dati comparabili). Ciò è andato a detrimento delle spese di investimento. In pochi anni si è creato un deficit strutturale corrente di diverse centinaia di milioni, e il suo assorbimento, guidato dalla norma "salva Roma" del 2014 e da un piano di rientro concordato con il governo nazionale, mentre giustamente prevede una rigorosa riduzione delle spese correnti, si disinteressa delle spese per investimento, che di conseguenza si sono ulteriormente ridotte al lumicino.

Il piano di rientro va ripensato per dare qualche spazio alle spese in conto capitale, smettendola di agitare il debito pregresso del Comune come uno spauracchio: in quella massa debitoria furono fatti confluire, sommando mele con pere,  tutti i debiti commerciali del Comune ante 2008, e cioè i pagamenti ritardati. Mentre tutte le altre amministrazioni locali e regionali italiane hanno pagato i debiti commerciali grazie alle risorse fornite dal dl 35 del 2013, Roma non ha neppure fatto domanda per accedere a quelle risorse, visto che non stavano più nel suo bilancio ma in quello dell´amministrazione-stralcio creata nel 2009. La quale ha pagato quei debiti ricorrendo a mutui molto probabilmente più costosi di quelli messi a disposizione dello Stato con il dl 35. Una gestione più trasparente di quella gestione commissariale, e più coordinata con il bilancio ordinario del Comune, può creare efficienza e margini per finanziare investimenti, come ha fatto negli ultimi due anni e anche per i primi 50 milioni di interventi per il Giubileo della Misericordia, concedendo al Comune spazi di patto di stabilità, o per ridurre le extra addizionali a carico dei contribuenti romani.

In ogni caso, l´aumento delle spese correnti ha spiazzato, a partire dal 2009, gli investimenti, e in particolare le manutenzioni straordinarie, creando a lungo andare una preoccupante serie di emergenze, in primo luogo nelle reti su ferro e nel materiale rotabile, dove l´arretrato manutentivo è di circa 300 milioni. Primi segnali di inversione arrivano solo nell´assestamento di bilancio 2015 e grazie ai fondi aggiuntivi del Giubileo straordinario − che al momento finanziano quel fabbisogno per circa un terzo.  Per il materiale rotabile (autobus, tram e treni) vanno velocemente spesi i 54 milioni assegnati sui Fondi strutturali della Regione Lazio.

Esistono al momento ulteriori opportunità, ed è sperabile che l´amministrazione commissariale di Tronca non le perda, facendosi anche lei travolgere dall´emergenza quotidiana: progetti romani vanno candidati ai nuovi fondi messi a disposizione dal Governo alla fine del 2015 per le periferie e per gli impianti sportivi; vanno assegnati e spesi circa 40 milioni del programma nazionale "città metropolitane" destinati all´agenda digitale, alla mobilità sostenibile e all´inclusione sociale; bisogna fare partecipare il sistema romano ai 40 milioni disponibili della Regione Lazio per le misure di riposizionamento competitivo dei sistemi imprenditoriali territoriali. 

Arretrati storici di forte rilievo esistono nell´impiantistica ambientale, dove il fabbisogno per gli impianti di trattamento è di 300 milioni, a cui aggiungere le risorse necessarie al completamento e "re-vamping" dei termovalorizzatori già esistenti e autorizzati nel territorio regionale − la cui piena funzionalità dovrebbe rendere inutile la discussione sulla necessità di un nuovo impianto. Questi costi non sono a carico della finanza pubblica, ma della gestione industriale delle aziende pubbliche concessionarie e delle relative tariffe pagate da cittadini e imprese. Appunto per questo, però, è indispensabile decidere cosa davvero è in grado di fare AMA e con quali partner industriali, e cosa può fare ACEA. Con quale efficienza e quali garanzie di compatibilità ambientale. Il tema della ricerca di una forte partnership industriale si pone, ovviamente, anche per ATAC. 

Il deficit infrastrutturale dell´area romana va però risolto in modo strutturale e permanente. A questo fine va probabilmente riconsiderato il piano di rientro, ma soprattutto, e questo è il terzo punto di riflessione, va risolto l´esistente groviglio normativo e politico per consentire il pieno accesso di Roma alle risorse disponibili dei Fondi strutturali comunitari e del Fondo nazionale sviluppo e coesione, e cioè ai contributi statali ed europei per le spese di investimento, e per riconoscere in questo processo di programmazione le specificità della città Capitale della Repubblica. 

Negli ultimi mesi della giunta Marino si era a un passo per un accordo con la Regione, da portare sul tavolo del Ministro Delrio, per varare un programma pluriennale comprendente i prolungamenti delle metropolitane, le trasformazioni delle ferrovie concesse Roma-Viterbo e Roma-Lido, i tram e i corridoi per la mobilità, il completamento dell´anello ferroviario e l´arrivo dell´alta velocità a Fiumicino. Bisognerebbe ripartire da lì così come dai progetti che, senza spendere soldi pubblici, mettono in moto la riqualificazione urbana, come quello di Telecom per le torri dell´EUR, o l´housing sociale, come quelli di Muratella e Santa Palomba, con la sponda finanziaria di Cassa Depositi e Prestiti − una sponda potenzialmente attivabile a Roma anche per altri progetti di buona qualità. 

Per quanto riguarda la specificità della Capitale, esiste una norma del secondo decreto Roma capitale − mai attuata − che consente una programmazione specifica su Roma, d´intesa con la Regione. Esistono norme successive che inquadrano lo stesso problema a livello di città metropolitana, e ci sono già in Italia i primi esempi, ben lontani da Roma naturalmente. Esistono le procedure ordinarie. La programmazione per le Olimpiadi, per quanto "speciale", andrebbe incardinata e coordinata con qualcuno di questi strumenti. Il nodo va sciolto, sul piano politico e normativo: mi sembra che l´unico a parlarne, finora, sia stato Morassut. 

Il quarto punto è il più importante: è quello della credibilità politica delle proposte su e per Roma. E´ questo il più grande deficit della città negli ultimi otto anni. Non c´è dubbio che la risistemazione organizzativa e regolamentare del Campidoglio debba essere l´assillo principale della futura consiliatura, per indurre la rivoluzione gestionale necessaria dopo Mafia capitale. Si tratta di un impegno imponente, che richiede anche uno speciale aiuto normativo e amministrativo dello Stato e della Regione per migliorare le capacità gestionali di un´amministrazione capitolina prostrata e in ginocchio, uno sforzo di riforma che potrebbe anche assumere profili radicali, come nelle proposte di "Roma Regione" o di "Roma città metropolitana". Innovazione gestionale, efficienza, nuova regolamentazione, trasparenza, controlli interni ed esterni  possono e devono fare uscire l´amministrazione capitolina dall´inferno di Mafia capitale. Possono e devono anche generare risparmi per ridurre le imposte locali e per ricavare spazi finanziari per spese in conto capitale. 

Sarebbe però uno sbaglio pensare che questo possa da solo bastare a sanare l´altro deficit, quello della manutenzione urbana e della ripresa di un ciclo di investimenti sui beni pubblici e le infrastrutture collettive della città Capitale. Il lavoro deve essere parallelo, sulla gestione ordinaria e sulle azioni a medio termine. Con progetti e programmi credibili, condivisi, trasparenti, partecipati, monitorabili, gestiti da strutture amministrative e aziendali profondamente rinnovate non solo nelle persone ma nella capacità operativa e organizzativa. Fino a recuperare spazio politico e credibilità per indurre governo e Parlamento a varare finalmente strumenti dedicati per il sostegno delle reti e delle infrastrutture della Capitale, così come avviene a Londra o a Parigi.

 

 



 
Intervista su Corriere (27 febbraio 2016, Fallai)

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