Dovremo riflettere a lungo e seriamente sul caso Roma. Nel
2013 siamo tornati al governo della città, ma eravamo impreparati. Non avevamo
compreso la profondità delle ferite inferte dalla crisi alla città, e
soprattutto alle sue parti più deboli. Non avevamo capito il livello devastante
del degrado politico-amministrativo procurato al Campidoglio e ai suoi dintorni
durante i cinque anni di Alemanno. Non avevamo consapevolezza che quel degrado
aveva coinvolto anche pezzi del nostro mondo. Alla fine di novembre 2014,
invitato dal PD alla Conferenza del Quirino, Giuseppe Pignatone aprì uno
squarcio, seguito solo pochi giorni dopo dagli atti dell´inchiesta "mondo di
mezzo".
Abbiamo reagito, abbiamo messo in azione gli anticorpi (che
a Roma ci sono). Nel partito con il commissariamento, l´indagine Barca, la
ristrutturazione dei circoli. Nel Comune con il piano anti-corruzione, il più
vasto e pregnante fra quelli esistenti in Italia, che ha salvato il Campidoglio
dall´onta del commissariamento per mafia.
L´errore più grave di Ignazio Marino non sono gli scontrini.
Certo, anche quelli hanno rilevanza, e − per noi che siamo garantisti, che
difendiamo lo stato di diritto e l´esercizio della legalità all´interno delle
garanzie costituzionali − quella vicenda significa una sola cosa: che Marino
dovrà probabilmente affrontare un procedimento. Ci auguriamo che ne possa
uscire a testa alta. Ma non possiamo permetterci il lusso di una rimozione
psicanalitica del problema. Cosa che invece sembra avere indotto Marino all´ultimo
dei suoi errori, ritirando le dimissioni annunciate venti giorni fa.
L´errore più grave di Ignazio Marino è di proporre una
lettura del conflitto da lui aperto con il PD sulla chiave mafia-antimafia. Il
PD sarebbe dalla parte della mafia, lui invece dalla parte giusta. Non accetta
di condividere una riflessione collettiva e politica sulla nostra (e sua)
impreparazione, da cui sono derivati evidenti problemi nel governo quotidiano
della crisi di Roma. Non accetta, il 5 novembre, di essere con noi a
testimoniare il presidio e la battaglia dei democratici (e anche la sua, in
prima linea) per la legalità e contro la corruzione all´apertura del processo
"mondo di mezzo".
Perché anche questo faceva parte della proposta che il PD
ieri pomeriggio, in un incontro fortemente voluto da chi scrive queste righe,
aveva fatto a Marino. Primo, un passaggio in aula consiliare per un messaggio
di fine mandato alla città (che adesso non potrà più esserci, per effetto
dell´immediata caduta dell´Assemblea a
seguito delle dimissioni di almeno 25 consiglieri). Secondo, un incontro con il
segretario nazionale e Presidente del Consiglio, a dimissioni esecutive. Terzo,
tutti insieme dalla stessa parte il 5 novembre, a testimoniare che avremo anche
compiuto errori, ma che a testa alta e con coraggio abbiamo saputo risalire la
china, nell´amministrazione del Comune e nell´organizzazione del partito. Le
formazioni politiche del centro-destra coinvolte nelle stesse vicende − e ben
più pesantemente di noi − non possono dire lo stesso.
Ignazio Marino ha preferito scegliere la strada della
testimonianza solitaria, arroccata su una strada politica senza senso e priva
di sbocco. Accusa il PD di non averlo mai aiutato, e anche su questo − come
sugli scontrini − dimostra uno stato di preoccupante rimozione. La norma "salva
Roma", che ha permesso al Campidoglio di affrontare il deficit strutturale di 800
milioni lasciato da Alemanno, nella sua prima stesura era inefficace e cadde
due volte in Parlamento. Sono stati i gruppi parlamentari del PD, al Senato e
alla Camera, a riscriverla, a renderla potente, a farla approvare. Sono stati
esponenti del PD ad affiancare la giunta capitolina per il piano di rientro. E´
stato il Governo Renzi a riconoscere gli extra costi della Capitale − una
rivendicazione che da 25 anni avanzavano gli amministratori di Roma. Ed è stato
il PD ad esporsi in prima linea per rafforzare la giunta alla fine dello scorso
luglio, e a lavorare pancia a terra insieme al Campidoglio e al Governo
nazionale per mandare a buon fine gli interventi del Giubileo.
Io non so a quale approdo porterà la strada scelta da
Ignazio Marino. Mi auguro per lui che possa ritrovare serenità, quella serenità
che gli è stata tolta da una campagna mediatica di inusitata violenza e dai
contorni opachi. Per personale esperienza so che prove di tale intensità
emotiva è meglio affrontarle in squadra, e non rinchiusi da soli nel bunker di
un ufficio. So però qual è il compito, dentro la crisi aperta dal ritiro delle
dimissioni di Marino, per un partito come il PD, che ha responsabilità di
governo e deve occuparsi della città e del suo futuro. Chiuderla velocemente.
Riprendere il filo dei progetti per Roma, nell´immediato (Giubileo, emergenza
trasporti) e nel medio termine. Chiedere al Governo un impegno straordinario
per un´area metropolitana con tre milioni e mezzo di abitanti a cui non
possiamo dare la percezione di essere abbandonati allo sbando. Basta con i
giochi tattici su cui Ignazio Marino si è inerpicato: rimbocchiamoci tutte e
tutti le maniche per risollevare Roma.