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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



16/12/2014 M.Causi
La battaglia in corso in Europa
Dibattito sul Consiglio europeo del 18-19 dicembre 2014
Intervento in discussione generale di Marco Causi
Montecitorio, 16 dicembre 2014
 
 
E´ ancora insufficiente in Italia la comprensione della storica e profonda battaglia politica in corso in Europa
 
Tre schieramenti si confrontano in Europa: i popolari, ma soprattutto i paesi del nord, che dicono che tutto va bene così; gli anti-europeisti, il cui richiamo politico demagogico cresce a vista d´occhio con la crisi e la disoccupazione; i socialisti, che vogliono un´Europa migliore, più orientata a crescita e occupazione
 
Il Governo Renzi è la punta di diamante di questo terzo schieramento. Anche perché i partiti socialisti di molti grandi paesi europei, penso a Francia, Spagna, Regno Unito, non sono andati bene alle recenti elezioni.
 
Attenzione quindi a indebolire oggi questo governo italiano e il suo Presidente del Consiglio. Dovrebbe anzi essere interesse nazionale restare il più possibile uniti nel rappresentare all´Europa le proposte italiane.
 
Le posizioni di chi è sceso in piazza qualche giorno fa, pur legittime e da rispettare, sono prive di sbocco politico, a meno di non scegliere di andare ad ingrossare le fila dell´anti-europeismo.
 
Autolesionista mi sembra la posizione dell´On. Brunetta, che manda lettere a Bruxelles contro il governo del suo paese.
 
Lo scontro politico interno è il sale della democrazia, ma nel difficile passaggio storico di Italia e Europa a sette anni dall´inizio della crisi dovrebbe valere sempre più l´idea che wright or not, it´s my country
 
La battaglia è in corso in tutti i campi.
 
Prendiamo ad esempio la politica monetaria. Il presidente della Bundesbank rilascia interviste ai grandi quotidiani di opinione italiani e francesi portando i suoi argomenti contrari al quantitative easing, e cioè agli acquisti di titoli pubblici sul mercato secondario da parte della Banca Centrale Europea. Ieri il Governatore della Banca d´Italia, Ignazio Visco, era in audizione alla Commissione Finanze di Montecitorio. Lo abbiamo sollecitato a fare altrettanto, intervenendo direttamente sulla stampa tedesca. E ci ha risposto, giustamente, che nei prossimi giorni lo farà.
 
Ci ha anche detto, e cito fra virgolette, che "se le nuove informazioni confermeranno la persistenza o addirittura l´aggravarsi dei rischi per la stabilità dei prezzi nell´area dell’euro, occorrerà avviare con tempestività ulteriori interventi di acquisto di titoli su larga scala, al fine di riportare le dimensioni del bilancio dell´Eurosistema sui livelli desiderati".
 
Deflazione e bassa crescita sono un cocktail esplosivo per la sostenibilità degli elevati debiti sovrani. E se questo è certamente, e prima di tutto, un problema dell´Italia, che deve mantenere massima attenzione agli equilibri di bilancio, lo è anche per l´Europa, poiché l´insostenibilità dei debiti sovrani dell´area euro genera un rischio sistemico di instabilità finanziaria per tutta l´Unione.
 
D´altra parte, lo stesso Weidmann ammette nelle sue interviste che l´intervento di quantitative easing proposto da Draghi "non è vietato" dalle regole esistenti. Anche questo è un passo avanti, visto che due anni fa da quegli ambienti tedeschi era nato un ricorso presso la Corte Costituzionale di Karlsruhe contro le politiche anticonvenzionali messe in atto dalla BCE nel 2011.
 
C´è poi il campo di più stretta competenza dei Governi e della Commissione. Accanto alle politiche strutturali di riforma − su cui l´Italia sta correndo come mai negli ultimi anni − è necessario affiancare politiche di sostegno alla domanda aggregata. Con diverse dimensioni:
 
1)   più flessibilità per i bilanci pubblici nazionali;
2)   espansione della domanda interna nei paesi, come la Germania, che mostrano rilevanti squilibri macroeconomici sotto forma di eccessivi avanzi di bilancia corrente;
3)   politiche europee per la crescita e l´occupazione.
 
Solo la miopia e il provincialismo della lotta politica interna possono sottovalutare i risultati ottenuti lungo il semestre di presidenza italiana. Un´apertura sul primo punto, un primo passo − il piano Juncker − sul terzo punto.
 
E´ chiaro che la battaglia dovrà continuare, fin dal prossimo Consiglio europeo e poi dopo la fine semestre a guida italiana.
 
Sulla flessibilità dei bilanci nazionali, è necessario insistere sulla revisione dei sistemi di calcolo dell´output gap, un punto giustamente messo in agenda grazie all´iniziativa del governo italiano e del ministro dell´economia Padoan.
 
Sugli squilibri macroeconomici, è necessario mettere la Germania di fronte alle sue responsabilità.
 
Bisogna ricordare ad esempio i 250 miliardi che quel paese ha speso a carico delle casse pubbliche − e quindi aumentando il suo debito pubblico e quello dell´intera Unione − per salvare le sue banche. Salvataggi che sono stati fatti prima che arrivassero le nuove regole europee del meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie (bail in), in base alle quali oggi quegli interventi sarebbero considerati illegittimi, poiché non è stata richiesta la compartecipazione del settore privato, diversamente da come accaduto a Cipro.
 
Anche la Germania, insomma, ha dei bei compiti da fare a casa. Da un lato, per fare la sua parte nell´aggiustamento degli squilibri reali all´interno dell´Unione. E dall´altro lato, per riflettere sul ruolo che l´espansione così rilevante del suo debito pubblico per il salvataggio delle sue banche ha avuto nell´indebolire le prospettive finanziarie dell´Unione.
 
Sulla terza questione, quella delle politiche di dimensione europea, il piano Juncker è un primo passo, ma va rafforzato e completato con altri interventi.
 
Primo, applicare la golden rule agli investimenti del piano, sia da lato dei contributi versati dagli Stati al nuovo Fondo Europeo per le Infrastrutture Strategiche, sia dal lato dei cofinanziamenti nazionali ai progetti selezionati.
 
Secondo, rafforzare gli strumenti esistenti, come la BEI, anche in rete con le Casse Depositi e Prestiti dei diversi Stati.
 
E vanno poi completate due altre gambe delle nuove politiche dell´Unione: procedere verso un´autentica unione dei mercati dei capitali, completando l´unione monetaria con quella finanziaria − in modo da rendere pienamente europei i meccanismi di finanziamento non bancario delle imprese; costruire una più solida capacità fiscale europea a beneficio di un bilancio dell´Unione capace di contribuire permanentemente e strutturalmente agli investimenti pubblici e all´assorbimento degli shock reali asimmetrici, a partire dalla disoccupazione.
 
Intanto noi in Italia dobbiamo attrezzarci a fare in modo che questi interventi siano messi in campo con immediatezza e non con gli insopportabili e ingiustificabili ritardi con cui abbiamo reso operativo il programma Youth Garantee strappato più di un anno fa dal Governo Letta ad un´Unione recalcitrante.
 
Fra i risultati del semestre non vanno poi sottovalutati quelli in campo tributario: la spinta verso la fine del segreto bancario con l´approvazione comunitaria dei Common Reporting Standards (CRS) e il superamento del segreto bancario; l´indirizzo impresso alla direttiva sull´armonizzazione fiscale.
 
E´ necessario andare avanti così, con forza e speditezza, sulla legislazione tributaria, perché c´è molto ritardo da recuperare e perché in questo campo per fortuna Italia e Germania non litigano, ma anzi procedono con ampio accordo e forte solidarietà.
 
Così come il 2014 è stato l´anno dei CRS, il 2015 deve diventare l´anno per attuare i risultati del progetto OCSE-G20 sulla tassazione delle società multinazionali, il progetto conosciuto come BEPS (Base Erosion Profit Shifting), con la ridefinizione del concetto di "stabile organizzazione" e la riforma dei meccanismi di transfer pricing, in modo da ridurre le possibilità di arbitraggi fiscali da parte delle grandi imprese internazionalizzate e da ridefinire le modalità con cui imputare la tassazione dei profitti nelle diverse giurisdizioni fiscali nazionali.
 
E´ questa la strada maestra per modernizzare le regole del fisco internazionale, ferme a più di 30 anni fa e quindi non più adeguate alla nuova dimensione della globalizzazione e dell´economia digitale. Non è quella delle scorciatoie protezionistiche.
 
La battaglia europea, infine, si vince non solo con buoni contenuti ma anche con intelligenti scelte di metodo. Con una decisa iniziativa culturale e politica, non con le urla e la demagogia. Come ha fatto Napolitano nella due giorni di Torino dedicata al confronto e al dialogo fra Italia e Germania.
 
Con un paese che − ferme le distinzioni politiche e anche la lotta politica interna − riesca a capire quando è necessario restare unito per difendere fondamentali interessi nazionali.
 
Con un paese in grado di superare l´instabilità e il breve termine del suo orizzonte politico, che tanto ci indebolisce nei tavoli europei: si pensi solo che Schauble ha visto passare di fronte a sé in cinque anni ben cinque ministri italiani dell´economia.
 
E questo è certamente uno dei motivi per cui su tante partite l´Italia ha giocato con debolezza, perché non basta avere buone idee o idee giuste, occorre anche la continuità del lavoro quotidiano per farle prevalere nelle sedi della trattativa europea.
 
Presidente Renzi, la invitiamo a continuare a operare come ha fatto negli ultimi mesi, dopo che il risultato delle elezioni europee le ha dato un ruolo importante negli equilibri europei. Continui a difendere gli interessi dell´Italia. Così facendo, farà anche gli interessi dell´Europa. La quale, ormai è chiaro, o cambia o rischia uno storico tracollo.
 

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