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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



25/11/2010 M.Causi
Commento all´articolo di Ricolfi sul federalismo
Commento all´articolo di Ricolfi sul federalismo
Luca Ricolfi sostiene, su La Stampa del 24 novembre, che la "vera" legge sul federalismo fiscale era quella contenuta nel progetto Lombardia e nel programma elettorale del PDL e che la legge 42, approvata nel maggio 2009 dal Parlamento, ne rappresenta una brutta copia annacquata da mediazioni politiche. Il problema è che il progetto Lombardia stava fuori dalla Costituzione. Bene ha fatto Calderoli ad abbandonarlo, e bene ha fatto il Parlamento a migliorare l´originario disegno di legge governativo con oltre 100 modifiche. Se Governo e Parlamento non avessero lavorato così, chi vuole il federalismo in Italia si sarebbe ritrovato con un pugno di mosche in mano, ovvero con una legge che sarebbe stata impallinata da ricorsi e sentenze.
Non è esatto, poi, contrapporre il federalismo fiscale − dove si tratta di riformare i rapporti finanziari fra Stato, Regioni ed Enti locali - con il federalismo differenziato. Con la possibilità cioè che singole Regioni possano assorbire ulteriori funzioni e compiti, attraverso un patto con lo Stato e un´apposita legge. Il Governo Prodi aveva avviato tavoli di lavoro in proposito con alcune Regioni, e la legge 42 tiene conto di questa possibilità. Tutti i meccanismi finanziari previsti (costi e fabbisogni standard, obiettivi di servizio, perequazione, ecc.) sono costruiti in modo da essere applicabili anche a forme di federalismo differenziato.
Ricolfi sostiene che obiettivo del federalismo debba essere la riduzione del residuo fiscale del centro-nord da 50 a 30 o 40 miliardi, per potere così ridurre le imposte alle imprese dello stesso centro-nord. Ritengo che questa sia una prospettiva errata, per quattro motivi.
Primo, in Costituzione è fermo il principio della progressività tributaria, da cui dipende gran parte del residuo fiscale delle aree più avanzate. E la riforma ha al centro, piuttosto che improbabili redistribuzioni di risorse fra aree territoriali, il principio guida del circuito "autonomia-responsabilità" fra amministratori locali e regionali e comunità amministrate. Nell´attuale stagione politica (su questo Ricolfi ha ragione) il federalismo ha fatto un passo indietro, ma non certo a causa della legge 42! Per colpa semmai delle scelte finanziarie del Governo: il bilancio dello Stato per il 2011 prevede 14 miliardi di riduzioni di spese al netto degli interessi, di cui ben 11,6 a carico di Regioni ed Enti locali, che invece pesano per una quota del 30% sul totale della spesa pubblica. E´ qui la retromarcia, non certo nella complessità attuativa della legge 42 − per affrontare la quale è comunque necessario superare numerosi ritardi e inadempienze da parte del Governo.
Secondo, obiettivo del federalismo è di incidere sull´efficienza della spesa pubblica locale e regionale in tutta Italia e di concentrare l´azione pubblica sui servizi essenziali. Pazienza per ciò che non è essenziale, ma per quello che invece essenziale è (e garantito costituzionalmente) il federalismo deve assicurare livelli delle prestazioni adeguati, consolidare il welfare dei territori e dei settori che quei livelli hanno già raggiunto e offrire una speranza di miglioramento ai territori e ai settori dove gli standard di servizio sono ancora insufficienti. E ampie aree sotto standard emergono anche al nord, ad esempio nel caso della non autosufficienza.
Terzo, il centro-nord esporta ogni anno circa 80 miliardi di beni e servizi al sud. Questo dato va sempre ricordato quando si citano i residui fiscali. E´ un dato che ci dà due notizie. Quella negativa è che il Sud resta ancora oggi una "pentola bucata": i soldi che vi arrivano non si fermano lì, ma tornano ai territori che approvvigionano i consumi meridionali con le loro produzioni. Quella positiva è che l´Italia è un paese fortemente integrato dal punto di vista economico e del funzionamento dei mercati. Un´integrazione che è interesse del centro-nord difendere: chi predica altro, e cioè che il centro-nord starebbe meglio senza il sud, non fa un buon servizio agli interessi reali dello stesso centro-nord. Il destino è comune: o si cresce insieme (come avvenuto nella seconda metà degli anni ´90) o insieme si declina (com´è avvenuto per quasi tutto il primo decennio del nuovo secolo).
E infine, se nel processo di razionalizzazione della spesa pubblica e di contrasto all´evasione e all´elusione fiscale emergono spazi per ridurre la pressione tributaria, e questi spazi devono emergere, dove sta mai scritto che questi spazi vadano usati solo per ridurre le imposte sulle imprese? Perché non anche alle famiglie? O ad un adeguato mix fra imprese e famiglie?
Insomma: il federalismo fiscale, quello vero, è argomento complesso e delicato. Da affrontare con equilibrio, senza cercare vie di fuga e accelerazioni improvvisate, ma semmai con un duro lavoro di "re-ingegnerizzazione" e di riforma delle nostre istituzioni.
Marco Causi
 

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