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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



26/10/2010 M.Causi
Attuazione del federalismo: accelerare o consolidare?
Intervento di Marco Causi al seminario della Camera sui fabbisogni standard (20 ottobre 2010)
 
Mi sia consentita una premessa politica, per passare poi a una serie di punti di merito. A me pare che siamo arrivati a un bivio importante per ciò che riguarda l´attuazione della legge 42. Si deve decidere se affrettarsi e correre, oppure se consolidare e costruire su fondamenta certe il nuovo assetto dei rapporti finanziari fra Stato, Regioni ed enti locali.
La prima scelta comporta rischi evidenti, che vengono confermati dalla discussione che abbiamo sentito nel seminario di oggi. Permangono ampie aree di incertezza e di scarsa conoscenza, confermate dagli interventi dei tecnici e degli accademici che abbiamo ascoltato, e che ringrazio per il loro contributo. C´è ancora confusione nella definizione operativa dei costi e dei fabbisogni standard (sono formule di riparto top-down oppure costi di produzione bottom-up?), e questa confusione si riflette soprattutto nel decreto relativo a Comuni e Province. C´è scarsa conoscenza dei dati quantitativi, nonostante siano passati quasi 18 mesi dalla data di approvazione della legge 42. La Relazione che il Governo ha reso nota il 30 giugno non scioglie tanti dubbi. Uno fra gli altri: siamo in grado di distinguere, fra i trasferimenti dello Stato alle Regioni e agli enti locali, e fra quelli dalle Regioni agli enti locali, quali siano da riportare a lettera m) e lettera p) e quali no? La distinzione è cruciale sul piano operativo, visto cha da essa dipende il sistema di perequazione da applicare.
La produzione legislativa secondaria che il Parlamento è chiamato a valutare (oggi il decreto sui fabbisogni standard, domani quelli sul fisco municipale e su Regioni, Province e sanità) riflette queste incertezze ed è attraversata da numerosi elementi di aleatorietà. Ad esempio, nello schema di decreto sul fisco municipale in discussione in Conferenza unificata, si legge all´articolo 8 comma 4 che "il presenta decreto legislativo concorre ad assicurare, in prima applicazione della legge 5 maggio 2009 n. 42, e in via transitoria, l´autonomia di entrata dei Comuni". Nel decreto è proposta una fase transitoria e una fase "di regime" per il fisco municipale, e tuttavia entrambe sono da considerarsi un´ipotesi di "prima applicazione" e comunque tutte "transitorie"! Con questa clausola l´estensore del decreto si cautela, ma all´autorità di indirizzo politico, e ancora di più alla sede legislativa, dovrebbe ormai essere chiaro che correre e affrettarsi genera il rischio di introdurre elementi di grave instabilità nel funzionamento dell´intero sistema "multilivello", a partire dai Comuni.
Credo che non ci siano alternative ad affrontare questa fase come una fase di consolidamento delle conoscenze, di valutazione informata delle alternative possibili, di istruttoria serrata di tanti temi che ancora oggi, a quasi 18 mesi dal varo della legge 42, il Governo non è stato in grado di affrontare: la questione dei "numeri"; quella del rapporto fra livelli essenziali delle prestazioni, fabbisogni standard e obiettivi di servizio; quella del coordinamento fra attuazione del federalismo e ciclo delle decisioni di finanza pubblica; quella della spesa in conto capitale; quella della perequazione infrastrutturale; quella degli interventi speciali; ed altre ancora. Da questo punto di vista esprimo un vero apprezzamento per i contenuti della relazione del Presidente La Loggia e per quelli dell´intervento del Vicepresidente Leone.
Nel merito: sei questioni, che espongo in modo sintetico.
Primo, qual´è la natura giuridica dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep)? Qui occorre, a mio parere, uscire dall´ipocrisia. Sappiamo tutti che i Lep non sono raggiunti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale (penso, ad esempio, al settore sanitario). E sappiamo che, nei settori in cui i Lep ancora non sono stati individuati, l´eterogeneità territoriale dei punti di partenza è ancora più accentuata (penso, ad esempio, ai servizi di fascia materno-infantile piuttosto che ai servizi per la non autosufficienza). La legge 42 offre una strada interessante per uscire dall´ipocrisia: i Lep rappresentano standard "ottimali" da raggiungere gradualmente, nei territori o nei settori ancora sotto standard, tramite il meccanismo dell´adeguamento progressivo degli obiettivi di servizio. Gli obiettivi di servizio sono una "variabile ponte" fra situazione di partenza e standard ottimali e il percorso di transizione verso l´ottimale avviene in modo graduale, all´interno dei vincoli di finanza pubblica, dentro il coordinamento dinamico fissato dalle procedure di bilancio e dal "patto di convergenza", con meccanismi di monitoraggio, valutazione e auto-valutazione del tutto simili, nello spirito, a quelli messi in campo per il settore sanitario nel "Patto per la salute", avviato nel 2007 dal precedente Governo e confermato e migliorato nella legge finanziaria per il 2010 dal Governo attuale. Percorrere questa strada, e quindi uscire dall´ipocrisia, comporta però che al concetto di Lep non debba associarsi una sorta di "obbligatorietà", con tutto quello che comporta dal punto di vista del vincolo giuridico all´azione amministrativa. L´obbligo deve essere quello di "convergere" verso la situazione ottimale rappresentata dai Lep, non quello di erogarli non appena essi vengano stabiliti per legge, ignorando così evidenti vincoli di tipo finanziario e organizzativo.
Secondo, a me sembra prioritaria una ricognizione dei Lep. Qui ci vorrebbe una vera accelerazione, perché si tratta di uno dei punti di massima sofferenza a fronte delle inadempienze governative (si pensi che la parola "Lep", nella Relazione del Governo sull´attuazione del federalismo, non è neppure citata…). La ricognizione dovrebbe considerare non solo le norme nazionali, ma anche quelle regionali. E´ infatti ben possibile che, anche in assenza di norme nazionali, alcune (o tutte) le Regioni di siano dotate di Lep, e cioè di standard di servizio nei settori coperti dalla lettera m) e dalla lettera p). In questo caso sarebbe oltremodo utile, ai fini della costruzione delle normative nazionali di riferimento, un´analisi comparativa del funzionamento delle esperienze regionali, in modo da definire i migliori benchmark dal punto di vista dell´efficienza, dell´efficacia e dell´appropriatezza. Penso siano almeno due i settori su cui cominciare questo lavoro: quello dell´assistenza, e in particolare della non autosufficienza − da cui dipendono obiettivi strategici, di medio periodo, per il riequilibrio del sistema dell´offerta di servizi sanitari − e quello dell´istruzione. Non si tratta di questioni esoteriche, che vengono poste in questa sede, del federalismo fiscale, per frenarne il processo. Si tratta di questioni ben riconosciute anche nell´attuale produzione legislativa del Governo, laddove si rammenti che il disegno di legge cosiddetto "Gelmini" di riforma dell´Università contiene una delega per definire i Lep per il diritto allo studio. Credo sia necessario, da un lato, accelerare sulla questione Lep, e così consolidare il processo di attuazione della legge 42 (ad esempio, i Lep sul diritto allo studio potrebbero essere fatti in sei, e non in dodici mesi, e su questo il Partito Democratico ha già presentato una proposta emendativa della legge di riforma dell´Università); e, dall´altro lato, prepararsi fin da adesso, con apposite norme di coordinamento, al recepimento dei Lep nei percorsi di definizione e di stima dei costi e dei fabbisogni standard.
Terzo, metodo top down versus metodo bottom-up, Zanardi lo ha spiegato molto bene. Il mio punto di vista è che inevitabilmente avremo bisogno di formule di riparto. Ad esempio, così come oggi avviene per la sanità, avremo bisogno di un metodo, basato su regole certe, trasparenti e condivise, per il riparto dei fondi perequativi destinati ai Comuni e alle Province, così come per le altre materie non sanitarie delle Regioni. Da questo punto di vista, il top down è ineludibile. Al tempo stesso però, mi sembra ineludibile che si debba estendere a tutti i settori coperti dalla lettera m) e dalla lettera p) l´apparato che si è cominciato da alcuni anni a costruire per la sanità, e cioè un insieme di indicatori di gestione, di efficienza, di efficacia, di appropriatezza, che vadano nel loro insieme a costituire un "cruscotto di gestione", da utilizzare a beneficio sia dell´operato degli amministratori locali e regionali sia del funzionamento dei processi di monitoraggio e valutazione, e soprattutto del processo di convergenza. In questo caso l´approccio non può che essere bottom-up, e quindi micro, o se volete "meso", a seconda che si lavori su singoli servizi o prestazioni ovvero su "pacchetti" di servizi o prestazioni. Insomma, a mio parere top-down e bottom-up non vanno contrapposti, ma vanno costruiti in modo parallelo e utilizzati per scopi diversi: il riparto da un lato, il monitoraggio e la valutazione dall´altro.
Quarto, costi standard in sanità. Abbiamo capito che lo schema di decreto che il Governo ha elaborato per la discussione in Conferenza unificata genera una formula di riparto dipendente unicamente dalla popolazione regionale ponderata per classi d´età, e non dai valori di spesa procapite delle Regioni benchmark. Restano aperte due domande, che pongo agli esperti. Primo, la ponderazione esistente, che viene "conservativamente" mantenuta, andrebbe forse rivista? Non potrebbe essere questa l´occasione per un´analisi più aggiornata di come varia la spesa sanitaria per classi d´età? Secondo, non sarebbe il caso di aggiungere, accanto alla ponderazione per classi di età, qualche altro indice collegato alla deprivazione sociale e alla povertà, e cioè alle altre variabili strutturali che la letteratura scientifica internazionale e nazionale riconosce come fattori determinanti la spesa sanitaria accanto all´età?
Quinto, lo ha detto bene Leone, intreccio fra legge 196 e legge 42, e cioè intreccio fra decisioni di finanza pubblica e federalismo fiscale. Noi ci teniamo moltissimo, e quando dico noi dico il Partito Democratico, ma penso di poter parlare anche a nome di tutti i gruppi parlamentari di opposizione, che hanno contribuito a costruire la legge 196 di riforma della contabilità e della finanza pubblica in modo che si interconnettesse e si parlasse con la legge delega sul federalismo fiscale. Il fatto che dovremo rivedere la legge 196 alla luce delle nuove decisioni europee in materia di coordinamento delle politiche economiche, e quindi per tenere conto del "semestre europeo" di bilancio, non ha impatti su quel pezzo della legge 196 in cui è stato coordinato, in modo innovativo e coerente con la legge 42, il processo di decisione fra finanza centrale e finanza locale. Mai più deve succedere quel che è successo quest´anno, e cioè che le norme sul coordinamento dinamico della finanza pubblica centro-periferia vengano totalmente disattese. Voglio ricordarle, quelle norme: entro il 15 luglio schema sul patto di convergenza e linee guida della Decisione di finanza pubblica (Dfp), contenente il riparto della manovra per livelli di governo; entro il 15 settembre, con o senza intesa con regioni e autonomie locali, Dfp in Parlamento; entro il 15 ottobre, legge di stabilità ed eventuali collegati a tale legge finalizzati al raggiungimento di quanto deciso in sede di patto di convergenza. Cerco di spiegarlo in altre parole. Ci sarà sicuramente anche nel futuro ciò che accade nel presente, e cioè un anno t in cui c´è soltanto da stringere la cinghia e da ripartire fra i diversi livelli di governo una manovra di stabilizzazione. Ma potrà ben esserci anche un anno t+j (con j, sperabilmente, piccolo a piacere…) in cui potremmo decidere, ad esempio, di stanziare 50 milioni sulla non autosufficienza, per migliorare gli obiettivi di servizio in vista del raggiungimento dei Lep ottimali. In quel caso il processo di decisione di finanza pubblica deve procedere in modo parallelo al federalismo fiscale, coordinando le diverse azioni necessarie. E potrebbe emergere il bisogno di un disegno di legge collegato che introduca le modifiche ordinamentali utili a migliorare efficienza, efficacia e appropriatezza dell´azione pubblica "multilivello" nel settore della non autosufficienza.
Sesto e ultimo punto, clausole di salvaguardia federali. L´ultima slide di Zanardi ci ricorda che c´è molto da lavorare su questa materia. Personalmente, sono fra quelli che ritengono non sufficienti meri meccanismi di "punizione ex post", che intervengono quando le criticità si sono consolidate. Occorrono meccanismi di affiancamento, di assistenza tecnica, di aiuto alle amministrazioni divergenti prima che arrivino i problemi. Ogni meccanismo propriamente "federale" di affiancamento alle amministrazioni in difficoltà può determinare un´efficacia enormemente superiore a quella della mera penalizzazione finanziaria. Può anche darsi che, su questo versante, sia il caso di rivedere qualcosa dello stesso Titolo V riformato nel 2001: ma naturalmente, se mi inoltrassi su questo punto, andrei chiaramente fuori tema.
 

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