Sulla gestione dei servizi del gas e dell´acqua lo scenario normativo si sta velocemente modificando, e questo cambiamento ha un impatto notevole su Roma. I cittadini devono esserne informati. E gli enti locali della città devono dotarsi di una strategia.
Fino a qualche mese fa per il servizio del gas a Roma si era in attesa di una gara ad evidenza pubblica da realizzarsi entro il 2010. Adesso, i termini obbligatori della gara sono stati spostati in avanti di almeno due anni. Negli anni passati, in prospettiva della gara, gli enti locali romani avevano perseguito una strategia industriale coerente, centrata sull´integrazione fra le società locali dell´elettricità e del gas (Acea, Eni-Italgas): operare in modo congiunto su elettricità e gas consente a un soggetto integrato di presentare un´offerta competitiva, e vantaggiosa per gli utenti sia sulle tariffe sia sui costi di manutenzione delle reti (quante volte vediamo le strade di Roma aperte, chiuse e riaperte dopo pochi mesi per i lavori necessari alle diverse reti di cui sono responsabili gestori che non si coordinano fra loro?).
Adesso la gara slitta, e la concessione per la distribuzione del gas nella città di Roma − pur profondamente innovata nel 2005 rispetto alla precedente, basti pensare che la vecchia concessione riconosceva un canone di 5 milioni di lire, 2.500 euro, mentre la nuova arriva a 12 milioni di euro più Iva − non sarà assoggettata per alcuni anni ad una vera e propria valutazione competitiva.
Poiché il tavolo del Ministero dello sviluppo economico che deve definire gli ambiti territoriali ottimali per le nuove gare del gas ha quasi concluso il suo lavoro tecnico, gli enti locali romani potrebbero anticipare i termini di legge e muoversi verso la gara prima del 2012. In questa prospettiva, potrebbero riconsiderare l´integrazione elettricità-gas. La bocciatura di questa linea industriale da parte della nuova dirigenza di Acea resta, a mio parere, uno sbaglio: uno sbaglio di cui non è chiaro quanto il Campidoglio sia tuttora consapevole.
Per quanto riguarda l´acqua, la norma che, con ogni probabilità, verrà approvata martedì prossimo dal Parlamento prevede che si potrà evitare una gara per il servizio idrico se la partecipazione del Comune in Acea scenderà fino al 30 dall´attuale 51%. Insomma, il peggiore dei mondi possibile: privatizzazione senza liberalizzazione. E´ bene ricordare che già oggi nulla impedisce al Comune di dismettere quote azionarie di Acea per finanziare, ad esempio, un tratto di metropolitana. La nuova norma, per come è congegnata, non è un incentivo al Comune affinchè venda, ma è piuttosto un ricco premio per chi dal Comune comprerà, sapendo che la concessione idrica sarà intoccabile fino al 2029.
Di questo la città dovrà discutere, ed è ovvio preannunciare una forte battaglia politica a tutela degli interessi di 3,5 milioni di cittadini di Roma e dell´intera Provincia. Ma fin da subito, e in attesa di capire quali saranno le strategie dei vari soggetti in campo sul piano industriale e societario, gli enti locali romani qualcosa potrebbero comunque fare dal punto di vista degli interessi dei cittadini-utenti: rafforzare e valorizzare le tecnostrutture indipendenti preposte al controllo della qualità dei servizi e alla verifica del rispetto dei contratti in essere: da un lato, l´Agenzia per i servizi pubblici locali del Comune, dall´altro la segreteria tecnica di ATO2 della Provincia. Concertando, perché no?, anche iniziative e valutazioni congiunte che indichino le regole e i sistemi di controllo con cui i responsabili politici della comunità locale intendano garantire i cittadini di fronte ai gestori di servizi in monopolio naturale, chiunque essi siano.
Marco Causi, deputato PD, insegna all´Università Roma Tre