Da mesi assistiamo, sulla questione dei Fondi Sovrani, a una strana schizofrenia da parte del governo di centro-destra.
Da un lato, segnali di allarme e di paura per la possibilità di scalate ostili a società italiane da parte di soggetti riconducibili a Stati esteri (Fondi Sovrani). Dall´altro lato, un evidente lavoro diplomatico per regolare i rapporti con questi soggetti, il cui apporto di capitale può risultare di grande interesse per le nostre imprese asfitticamente patrimonializzate e colpite dalla caduta dei loro valori, fino all´annuncio entusiastico dell´ingresso in Eni del Fondo Sovrano libico: una decisione presa al di fuori del mercato, sulla base di una trattativa intergovernativa i cui aspetti sono ancora oggi non del tutto trasparenti.
Eppure, sarebbe meglio per tutti darsi una chiara regolazione. Per i Fondi, che, come tutti gli investitori istituzionali, preferiscono regole certe e conosciute all´incertezza di interventi discrezionali e imprevedibili da parte dei governi dei paesi verso cui dirigono i loro investimenti. Per le imprese potenzialmente interessate, che pure hanno necessità di certezza. E per il governo, che fissando le regole per gli altri le stabilisce anche per sé stesso.
In un emendamento che ho presentato a mia firma sul decreto 185, cosiddetto "anti-crisi", provo a proporre un insieme di regole semplici e di buon senso, che farebbero uscire il paese dalla schizofrenia e darebbero più certezze sia agli investitori esteri sia alle società italiane che potrebbero avvalersi di questi flussi di capitali freschi. Le regole derivano dalle raccomandazioni che poche settimane fa l´OCSE ha emanato in materia. Nulla di originale, quindi, né di dirigista. Solo una "buona" regolazione sulla base di principi internazionali condivisi.
In primo luogo, non tutti i Fondi Sovrani sono di per sé "cattivi". La comunità internazionale ha già affrontato questo problema, stabilendo i cosiddetti "Principi di Santiago", che stabiliscono i criteri necessari affinchè un Fondo Sovrano possa essere considerato alla stessa stregua di qualsiasi investitore istituzionale occidentale. Si tratta di criteri legati alla trasparenza del Fondo e alla sua governance, la quale deve avvenire dentro regole che ne dimostrino l´indipendenza dall´autorità politica del paese. Per i Fondi che abbiano adottato questi principi non si pone il problema di alcuna regolamentazione restrittiva.
Se invece il Fondo resta fuori dai Principi di Santiago, e se ricorrono altre due circostanze, allora è sensato predisporre una rete difensiva, come proposto anche dall´OCSE.
Le due circostanze sono: a) l´acquisizione del controllo di imprese italiane e b) la minaccia di interessi vitali dello Stato (approvvigionamento energetico, servizi pubblici essenziali, reti dei servizi pubblici essenziali, difesa nazionale, sicurezza militare, ordine e sicurezza pubblica)
La rete difensiva è costituita dalla possibilità di congelare i diritti di voto ovvero di vietare l´acquisizione di quote o azioni da parte del Fondo. La decisione, da prendere con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è ricorribile. E ciò a garanzia che l´Italia, se necessario, si predispone alla difesa, ma all´interno delle regole tipiche di uno stato di diritto, in cui il governo dovrà motivare adeguatamente la sua decisione e il soggetto colpito, volendo, può ricorrere al parere terzo della magistratura.
Marco Causi