Dall´inizio del 2015, quando sono entrati in vigore i provvedimenti di riforma del mercato del lavoro (Jobs Act) e gli sgravi contributivi sulle assunzioni previsti fino al 2016, l´occupazione è aumentata di circa 900.000 persone". Così si legge a pagina 26 del Bollettino economico della Banca d´Italia, pubblicato qualche giorno fa.
Non dovrebbero esserci dubbi: è una buona notizia. Il numero di persone che hanno un´occupazione è finalmente tornato ai livelli precedenti la Grande Recessione, aumentando del 4,1 per cento. Eppure in tanti, travolti dalla demagogia e dal pressappochismo dominanti in questa campagna elettorale, guardano a questo dato con sufficienza e sospetto, come se si trattasse di una fake governativa, e ne contestano valore e portata con tipico atteggiamento benaltrista: ben altro ci vorrebbe, è tutta occupazione precaria, sono giovani sfruttati con basse retribuzioni.
Dall´altro lato i sostenitori dei governi della legislatura in via di conclusione, nel rivendicare legittimamente l´ottima performance occupazionale dell´economia italiana, non dovrebbero limitarsi al trionfalismo ma sapere che questo dato si accompagna a tanti problemi che abbiamo ancora di fronte.
Per capire il punto basta guardare pochi altri semplici numeri. Fra 2015 e 2017 mentre gli occupati crescevano del 4,1 per cento il Pil aumentava del 3,4 per cento. Quindi il numero di occupati è aumentato molto più di quanto sarebbe giustificato dalla parallela evoluzione dell´attività economica. Sotto questo profilo il "rendimento occupazionale" della crescita 2015-2017 è davvero eccezionale, e non può non essere interpretato come risultato delle politiche di riforma del mercato del lavoro e di sgravio contributivo.
Anche la composizione dell´occupazione è migliorata, con un aumento del lavoro dipendente (più un milione e 100 mila, di cui 500 mila a tempo indeterminato e 600 mila a termine) e una riduzione della "finta" occupazione autonoma nascosta dietro i contratti di collaborazione (meno 200 mila), con un aumento del lavoro regolare e un crescente ancoraggio della nuova occupazione al sistema della solidarietà intergenerazionale attraverso il versamento dei contributi previdenziali e l´acquisizione di diritti pensionistici.
Le ore lavorate sono aumentate meno delle persone occupate e restano ancora al di sotto del livello pre-crisi. Una parte della nuova occupazione ha orari di lavoro ridotti (part time) e il sistema sta distribuendo fra più persone la crescita del monte ore. Si tratta probabilmente di un effetto della finestra temporale limitata a un triennio degli sgravi: le imprese hanno assunto più persone di quelle necessarie alle esigenze produttive presenti, creandosi una riserva di forza lavoro per il futuro. La conseguenza è che il rendimento occupazionale della crescita economica è destinato a ridursi, e ciò sembra già in atto, come mostra il dato emanato oggi da Istat sulla lieve riduzione dell´occupazione nel mese di dicembre 2017.
Se l´occupazione cresce più del prodotto, però, questo significa che la produttività del lavoro in media diminuisce. L´alto "rendimento occupazionale" della crescita 2015-2017 è stato ottenuto al costo di una riduzione della produttività, la cui dinamica in Italia è molto bassa, al di sotto di tutti gli altri paesi sviluppati, da circa vent´anni. Qui emerge una forte divaricazione fra industria e servizi. Nell´industria la produttività è aumentata allo stesso ritmo della produzione e l´occupazione è cresciuta poco. Nei servizi invece l´occupazione è cresciuta più della produzione e la produttività si è ridotta. E questo vale misurando la produttività in relazione sia alle persone occupate sia alle ore lavorate.
Una quota della nuova occupazione registrata nell´ultimo triennio si colloca quindi dentro segmenti produttivi del terziario a basso valore aggiunto per occupato. Può trattarsi in parte di emersione di lavoro in precedenza non regolare. E tuttavia è inevitabile che in questi pezzi di sistema, a bassa produttività e struttura d´impresa molto frammentata e talvolta arretrata sul piano della tecnologia, della dimensione e dell´organizzazione, la nuova occupazione incontri basse remunerazioni, orari corti, elevata flessibilità.
Non è un effetto del Jobs Act ma della debolezza della struttura produttiva, soprattutto nel terziario tradizionale a elevata intensità di lavoro (commercio, turismo, attività professionali, servizi alla persona, servizi pubblici).
Due conclusioni. Primo, la "qualità" dell´occupazione non dipende dalle leggi sul mercato del lavoro ma dalle caratteristiche della struttura produttiva e d´impresa. Secondo, accanto a Industria 4.0 ci sarà bisogno di un Terziario 2.0, e cioè di maggiore attenzione e politiche dedicate al consolidamento e all´innovazione in ampi segmenti di servizi tradizionali, sia privati che pubblici.