L´industria a Roma non ha mai avuto una grande attrattiva. Un po´ per ragioni storiche, un po´ per scelte politiche, Roma si è configurata sempre come una città amministrativa piuttosto che produttiva. Eppure le potenzialità per rendere Roma una città industriale ci sono, basti pensare alle tante imprese e ai distretti esistenti, nonché alle infrastrutture, materiali e immateriali che caratterizzano un tessuto produttivo esteso e variegato. Chiediamo a Marco Causi, economista e docente di economia industriale all´Università Roma Tre, nonché deputato della Repubblica, di descriverci la sua visione dell´industria romana.
1. Professore, come giudica la situazione industriale di Roma oggi?
Caratterizzata, dopo la crisi, da un crescente dualismo. Se guardiamo alle esportazioni, fra 2009 e 2017 le esportazioni romano-laziali di beni sono cresciute con tassi ampiamente superiori a quelli, pur sostenuti, dell´intero paese. Nel 2016 la crescita è dell´1,2 per cento in Italia, del 3 nel Lazio, del 5,4 a Roma. Nel primo semestre 2017 l´aumento romano è dell´11 per cento contro 8 in Italia. La performance romana è spiegata soprattutto da aerospazio e chimico-farmaceutico.
Le esportazioni di servizi sono balzate da 12 a 18 miliardi fra 2009 e 2016, con un ragguardevole +9,1 per cento nell´ultimo anno. Il traino è dato dai servizi alle imprese, in particolare nell´Ict. Anche il turismo esercita un ruolo importante, con un aumento delle presenze straniere nell´area romana superiore al 13 per cento fra 2013 e 2016 (+10 per cento per il totale delle presenze, stranieri più italiani).
La sostenuta dinamica delle esportazioni e il suo consolidamento nel tempo segnala che ci sono pezzi importanti di apparato produttivo romano, nell´industria e nei servizi, che sono riusciti e riescono a sostenere e vincere le sfide competitive. Le storie di successo si chiamano aerospazio e farmaceutica; alcuni segmenti di piccole e medie imprese nell´impiantistica; Ict e software; servizi energetici; servizi alle imprese, dove Roma è diventata esportatrice netta in molte attività. Fra i settori di specializzazione si muovono meno bene l´audiovisivo e la ricerca e sviluppo, dove comunque Roma si conferma sia in un caso che nell´altro il principale distretto produttivo italiano, nonché il trasporto aereo, colpito dalla crisi di Alitalia.
Altri importanti pezzi dell´economia romana hanno invece subito vistosi arretramenti: edilizia, imprese tradizionali piccole e micro nell´industria e nell´artigianato, distribuzione commerciale, servizi tradizionali. Emerge una crescente divaricazione all´interno del mondo produttivo, che si riflette nel mondo del lavoro ed è una della cause dell´aumento delle diseguaglianze di natura economica nella città.
2. Esistono dei comparti produttivi che potrebbero essere rilanciati?
L´audiovisivo sta perdendo pezzi, per principale responsabilità dell´ente preposto alla gestione urbanistica, e cioè il Campidoglio. C´è una colpevole apatia e indifferenza nei confronti delle imprese che cercano soluzioni localizzative e, non trovandole e spesso non trovando neppure interlocuzione, decidono di andarsene. Per il trasporto aereo voglio ricordare cosa è successo dopo le liberalizzazioni degli anni ´90: è vero che gli ex monopolisti pubblici hanno sofferto e che questa sofferenza, in una prima fase, si è riflessa negativamente su Roma, ma a lungo andare la città ha invece guadagnato, perchè è diventata il luogo di localizzazione di tutti i nuovi players, E´ successo nelle comunicazioni e nell´industria energetica. Potrebbe succedere anche nel trasporto aereo, una volta superati gli errori compiuti, fin dal 2008-2009, sulla questione Alitalia.
3. I cluster industriali della città, pensiamo ad esempio a Cinecittà o al Tecnopolo Tiburtino, potrebbero essere un volano per lo sviluppo?
Cinecittà certamente sì, aprendosi alle nuove tecnologie e ai nuovi prodotti e servizi, cosa che sta facendo. Non so invece se il Tecnopolo possa qualificarsi come "cluster" piuttosto che come aggregazione localizzativa. I cluster più importanti, com´è noto, sono aerospazio, chimico-farmaceutico, ICT e software. I programmi di reindustrializzazione e di sostegno all´innovazione promossi dalla Regione Lazio vanno nella giusta direzione.
4. Il "Tavolo per Roma", promosso dal Mise, sembra rimettere in campo la parola "sviluppo", da troppo tempo assente dal vocabolario economico cittadino. Si tratta veramente di un piano industriale?
Ho molta stima per Calenda, per la sua competenza e per il suo dinamismo. Tuttavia a me sembra che ci siano tanti equivoci intorno a questo tavolo. Uno degli elementi drammatici della situazione romana negli ultimi anni è la caduta degli investimenti pubblici, che ha assunto dimensioni di gran lunga superiori a quelle medie nazionali: basta guardare i Conti Pubblici Territoriali dell´Istat o dell´Agenzia per la coesione. Ma in fondo basta osservare il degrado delle reti e delle flotte del trasporto pubblico, il blocco degli investimenti per il completamento dell´impiantistica sui rifiuti (che erano stati programmati e finanziati nel piano industriale di Ama di settembre 2015), lo stallo totale sulle decisioni in materia di mobilità eco-sostenibile (completamento linea C, prolungamento delle metropolitane oltre il raccordo anulare, tram, corridoi della mobilità). Roma è finora restata fuori dalla programmazione ordinaria degli investimenti di rilievo nazionale, mentre nessun canale aggiuntivo è stato messo in campo alla luce della sua "specialità" di capitale. Il tavolo però, in questo caso, dovrebbe essere alle infrastrutture più che al Mise. La mia idea è che il tavolo dovrebbe stare a Palazzo Chigi, in modo da coordinare l´intera azione del governo su Roma. In realtà un tavolo c´è già a Palazzo Chigi, il tavolo inter-istituzionale per Roma: si tratterebbe di rafforzarlo e farlo lavorare davvero. E poi occorrerebbe riaprire a Palazzo Chigi un ufficio per Roma: c´era in passato, poi è stato chiuso con l´abolizione della legge 396/1990. Insomma: non so quanto Calenda possa spingersi a mettere sul piatto di via Veneto, a meno che non abbia ricevuto o riceva una delega da molti altri settori del governo.
5. Perché si parla poco di periferie?
Perchè si tende a cercare di risolvere i problemi di Roma ricorrendo alla sua specialità in quanto capitale, come anche recentemente hanno rilanciato le proposte di Sabino Cassese, Beniamino Caravita, Giuseppe Roma. Ma la funzione di capitale non ha una dimensione nello spazio e ciò di cui ha bisogno l´area vasta romana (interventi di ricucitura, cura dei beni pubblici, maggiore dotazione di servizi, mobilità, eccetera) non ha a che fare con le funzioni di capitale di Roma, bensì con la sua dimensione metropolitana. Una dimensione che nessuno, in verità, cura in via diretta: il Campidoglio, pur essendo troppo grande per gestire i servizi di prossimità con vicinanza ai territori, è al tempo stesso troppo piccolo per esprimere una visione d´area vasta. La città metropolitana sembra una fotocopia della vecchia provincia, la Regione ha da tempo perduto una vocazione alle politiche territoriali.
6. La fuga delle grandi aziende da Roma è allarmante. Milano è veramente più attrattiva di Roma?
Forse a Milano se una grande azienda chiama Palazzo Marino viene ricevuta e poi assistita e accompagnata nei percorsi di scelta localizzativa. Questo purtroppo non succede a Roma da tanto tempo. Basti pensare al fallimento del progetto di insediamento di Telecom-Tim nelle torri dell´Eur, caduto durante il commissariamento governativo del Campidoglio sul campo di battaglia dell´ottusità burocratica. Eppure, diversamente da quanto molti pensano, Roma possiede enormi fattori attrattivi, a cominciare dalla densità e qualità del capitale umano. Non sono mancati in questi ultimi anni investimenti di ampliamento di imprese multinazionali, ad esempio nella farmaceutica. Manca però una strategia delle istituzioni locali per dare sponda e facilitare i processi di insediamento produttivo.
di Luigi Gentili
https://economiah24.eu/2017/11/roma-industriale-il-crescente-dualismo-delleconomia-intervista-a-marco-causi/