Domani il Consiglio europeo si riunisce per definire il
mandato alla squadra che dovrà nei prossimi mesi trattare con il Regno Unito
l´uscita dall´Unione. Occorrono nervi saldi e sguardo sul lungo periodo. Non
conviene a nessuno, né all´Unione né al Regno Unito, accentuare divisioni e
fratture.
I promotori del referendum sulla Brexit hanno raccontato che
il Regno Unito avrebbe acquisito, dopo l´uscita, lo stesso status di paesi come
la Norvegia, con l´adesione allo spazio economico europeo e la piena
partecipazione al mercato unico. Hanno mentito al loro popolo, perché non è e
non sarà così. Al cuore della Brexit c´è lo stop alla libera circolazione delle
persone, e senza questa non ci sono le condizioni per partecipare al mercato
unico. Neppure con la formula più semplice dell´unione doganale. Sul piano
delle relazioni economiche UK e UE si avviano a una vera separazione.
Nei primi mesi di Brexit non sono emersi nell´economia
britannica impatti negativi, anzi il Pil ha avuto un´accelerazione e la borsa
inglese è cresciuta ben più di quelle europee. Attenzione però: questo risultato
è stato ottenuto grazie a una consistente svalutazione della sterlina (meno dieci
per cento sull´euro, meno 16 sul dollaro). Si tratta di un palliativo di breve
periodo: il vero impatto, se ci sarà, emergerà nel lungo periodo e dipenderà
dall´esito della trattativa con l´Europa.
Una trattativa che è interesse di tutti orientare verso un
esito positivo. E questo non solo perché il Regno Unito è partner
indispensabile su versanti diversi da quello strettamente economico, come la
sicurezza e la difesa. E non solo perché l´Unione dovrà ottenere sufficienti
garanzie e tutele per i cittadini europei che vivono nel Regno Unito.
Il punto è che, nonostante la Manica e l´inguaribile spirito
insulare dei cittadini britannici, i due sistemi sono integrati: spezzare
l´integrazione è costoso per tutti. L´Italia ha un attivo commerciale con UK di
11 miliardi, il secondo in Europa dopo la Germania. L´approdo più desiderabile
sarebbe un accordo di libero scambio, come quello recentemente concluso con il
Canada.
E´ essenziale che regolamentazione e vigilanza sui mercati
finanziari restino in UK ancorati agli standard europei: per l´importanza della
piazza londinese sarebbe pericolosa una deviazione verso modelli meno rigorosi
e trasparenti. Sembra comunque inevitabile che il Regno Unito perda pezzi di industria
bancaria e finanziaria: l´Italia farebbe bene a muoversi con adeguate
iniziative di sistema, anche in accordo con le istituzioni locali, soprattutto
milanesi, per attrarre alcuni segmenti di elevata specializzazione.
Sul versante delle agenzie europee da rilocalizzare, per
quella di supervisione delle banche (EBA) è in corso una riflessione
comunitaria che porterà probabilmente a un suo riassetto generale: meglio puntare
sull´agenzia europea per i medicinali (EMA), su cui l´Italia avanza la
candidatura di Milano.
Se non ci sarà accordo torneranno i dazi doganali, come
avviene fra Unione Europea e paesi terzi. Banca d´Italia ha stimato,
utilizzando le tariffe attualmente in uso nell´Unione, che l´incidenza media
dei dazi colpirebbe in misura più elevata le esportazioni europee verso il
Regno Unito al confronto con i flussi opposti: le tariffe variano da settore a
settore, il livello medio dipende dalla composizione settoriale delle
esportazioni.
Se l´Europa volesse contrastare questo effetto, e se dovessero
prevalere in Europa indirizzi politici mercantilistici e punitivi nei confronti
del Regno Unito, partirebbe una guerra tariffaria. Non è proprio il caso di
imboccare questa strada: si ricordi sempre che la prima guerra mondiale - e poi
la seconda, che ne è stata conseguenza - ha avuto origine dalle politiche
mercantilistiche e dalle guerre commerciali. L´Unione Europea è nata per non
ripetere gli errori della prima metà del Novecento e per scrivere una nuova
storia. Non può e non deve abbandonare la sua missione di fondo, nonostante la
Brexit.
Marco Causi