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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



18/04/2017 M.Causi
Oltre il Fiscal compact: per una nuova governance economica dell´Unione Europea

Mozioni parlamentari sul "Fiscal compact"

Discussione generale, Montecitorio, 18 aprile 2017

Intervento di Marco Causi

Presidente, Colleghe e colleghi,

Vorrei innanzitutto ringraziare i presentatori delle mozioni oggi in esame. Grazie ad esse mettiamo al centro della discussione parlamentare la costruzione di una nuova governance europea, in particolare in materia economica e finanziaria. Un argomento importante, forse il più importante nell´attuale fase storica, soprattutto per i paesi dell´area euro.

Mi siano concesse due digressioni storiche.

Il dollaro nacque come moneta dei nuovi Stati Uniti nel 1785, ma soltanto trent´anni dopo venne affiancato da un bilancio federale e da regole di integrazione finanziaria. Ci volle una guerra, quella del 1812, la cosiddetta "seconda guerra di indipendenza".  In mancanza di un bilancio federale la giovane repubblica fu messa in ginocchio per l´assenza di risorse con cui sostenere l´esercito; la nuova capitale Washington invasa e distrutta da un´armata inglese; la nazione salvata dalla decisione inglese di concentrare lo sforzo bellico in Europa contro Napoleone e dalle insperate vittorie dell´armata del Sud del generale Jackson.

L´euro è entrato in circolazione da quindici anni. Ma gli Stati che lo hanno adottato, entrando nell´Unione Economica e Monetaria europea, non ne hanno altri quindici per completare il progetto. Devono farlo presto. Non hanno neppure bisogno di una vera guerra guerreggiata (speriamo…). Dovrebbe essere più che sufficiente la tempesta che si è abbattuta sull´Europa, il rischio di una sua disintegrazione, il crescente clima antieuropeo nelle opinioni pubbliche, la sfida neoisolazionista di Trump con i suoi aspetti inediti, poiché condita da una certa aggressività e non, come accaduto in passato nella storia, dalla dottrina del non intervento.

La seconda digressione è su quanto avvenuto nel 2011-2012 in Europa e in Italia. Nell´estate del 2011 il rischio default sul debito pubblico italiano è stato reale. L´intervento della Banca centrale europea è stato essenziale per evitarlo. E la sua condizionalità era inevitabile, per una questione prettamente politica, e cioè per l´incrinatura che esisteva (e che esiste ancora) nel rapporto di fiducia fra paesi finanziariamente forti (e loro opinioni pubbliche) e paesi finanziariamente deboli (e loro opinioni pubbliche).

Questo è un punto − diciamo storico-politico − su cui auspico che il giudizio della storia possa portare a ridurre le attuali divergenze di opinioni. Sarebbe non solo politicamente, ma anche intellettualmente, disonesto dimenticare le condizioni di fragilità finanziaria del nostro paese: in relazione non solo al fabbisogno di finanziamento del debito pubblico, ma anche al gap di finanziamento del settore creditizio (con uno squilibrio fra depositi e impieghi che vale fra 100 e 200 miliardi all´anno e che deve essere finanziato sui mercati internazionali interbancari).

In ogni caso: in quelle condizioni così drammatiche, in cui l´Italia era realmente molto debole sul piano dell´agibilità della contrattazione politica, io continuo a ritenere che i risultati ottenuti siano stati positivi. Primo, il Fiscal compact è un trattato provvisorio, che deve essere ricontrattato entro il 2018 nell´architettura europea. Positivi in questa direzione le risoluzioni Verhofstadt e Bresso-Brok approvate dal Parlamento europeo, oltre che i nuovi accordi fatti a Roma in occasione del 60esimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, con l´ampliamento delle possibilità di cooperazione rafforzata − una possibilità importante per la costruzione delle istituzioni necessarie a gestire una nuova politica economica nell´ambito dell´area euro. Secondo, la costituzionalizzazione dell´impegno al rigore di finanza pubblica, che continua ad essere raccontata come regola del "pareggio di bilancio", si è trasformata in realtà in una regola molto più sostenibile, è cioè l´equilibrio di bilancio al netto del ciclo economico e delle una tantum.

Per fare il salto di qualità nelle politiche economiche le parole chiave sono tre: bilancio federale; condivisione dei rischi; utilizzare i motori interni della crescita in Europa, superando una dottrina di tipo mercantilista.

Un bilancio federale integrato, gestito da un Tesoro dei paesi euro, può permettere all´Unione di intervenire in modo asimmetrico, e cioè aiutare i paesi quando vengono colpiti in modo specifico (ad esempio con un sussidio europeo di disoccupazione, come proposto dall´Italia da più di un anno nel documento cosiddetto "Padoan"). Può gestire le azioni necessarie a superare altre asimmetrie, come gli squilibri macroeconomici che derivano dalla persistenza di elevati avanzi di bilancia dei pagamenti (penso qui al caso della Germania, dove redditi e domanda interna potrebbero e dovrebbero aumentare). Può superare, grazie a una gestione diretta e non mediata dagli Stati, la sfiducia dei paesi "forti" nei confronti degli apparati statali dei paesi "deboli".

Può finanziarsi rendendo europea la base imponibile delle imposte sulle società, eliminando così questo tipo di perniciosa concorrenza fiscale all´interno dell´Unione. Si tratta di un obiettivo da sempre perseguito dall´iniziativa italiana, rilanciato nel recente Rapporto del gruppo di lavoro Monti sulle risorse proprie, a cui la risoluzione Verhofstadt fa riferimento. E si tratta oggi, grazie alla Brexit, di un obiettivo più realisticamente perseguibile, poiché sappiamo bene che da molti anni è venuta dal Regno Unito la principale opposizione a progressi sul terreno dell´armonizzazione fiscale.

Condivisione dei rischi significa completamento dell´Unione bancaria, assicurazione europea sui depositi, rafforzamento delle capacità e del ruolo del meccanismo europeo di stabilità (ESM), ad esempio nella gestione delle crisi bancarie e dei crediti deteriorati del settore creditizio, in prospettiva anche dei debiti sovrani, con sua trasformazione in Fondo Monetario Europeo.

E poi la questione culturale e politica più importante: superare un approccio di tipo mercantilista e accendere i motori interni di crescita. In particolare sul fronte della domanda interna: domanda di consumi per i paesi in equilibrio, domanda di investimenti per tutti i paesi. Per quanto riguarda gli investimenti sono necessarie sia politiche di livello europeo, finanziate dal Tesoro europeo anche con emissione di titoli europei, sia politiche di livello nazionale, andando verso la golden rule, e cioè l´esclusione delle spese per investimenti (e di tutte le spese in alcuni comparti strategici) dai parametri di finanza pubblica validi ai fini delle politiche di coordinamento europee.

E´ chiaro che tutto ciò non ha nulla a che fare con la politica dello "zero virgola". Vista in questa prospettiva la discussione sull´aggiustamento di finanza pubblica che la Commissione europea ha chiesto all´Italia è surreale. Attenzione però: sbaglia la Commissione sullo "zero virgola", ma sbaglierebbe anche l´Italia a non tenere conto dei vincoli che derivano dall´appartenenza all´Unione. Questi vincoli in realtà, se maturerà il passo avanti necessario alla salvezza dell´euro, aumenteranno. Cresceranno le zone della decisione pubblica da trasferire ad ambiti di sovranità di tipo federale.

L´Italia non può chiedere agli altri la condivisione dei rischi se non è disponibile a contropartite politiche di rilievo importante. Nessuno in Italia può cullare l´illusione di rilanciare il paese con qualche flessibilità aggiuntiva da "zero virgola", e non proseguendo invece un lavoro di lunga lena e di medio termine per la riforma e la modernizzazione delle strutture portanti del sistema paese. Il problema italiano non è congiunturale, non si risolve invocando un banale keynesismo di breve periodo, il problema italiano è strutturale, dipende dalla domanda ma anche dalle debolezze della struttura produttiva (bassa produttività, nanismo d´impresa, arretratezza nel settore dei servizi, poca innovazione tecnologica).

Sulle proposte di profonda innovazione della governance europea io auspico il massimo di convergenza fra le forze politiche italiane. Si tratta di dare forza a un´azione cruciale per gli interessi del paese, un obiettivo che deve portarci tutti a non indulgere né su posizioni puramente accademicistiche o ideologiche, né su posizioni di mero opportunismo protestatario.

Le proposte italiane saranno tanto più forti nella trattativa dei prossimi mesi quanto più compatto l´intero paese sarà percepito intorno ad esse.

 

 

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