Stefano Fassina afferma che "le distanze programmatiche con il PD sono
enormi" e "non ci sono le condizioni per una convergenza programmatica" con
Giachetti al secondo turno delle elezioni romane. Non è una posizione
credibile, e lo dimostrerò nelle prossime righe. O Fassina aspetta un accordo
sugli assetti di potere − nulla di male, anche se sa un po´ di "vecchia
politica". Oppure Fassina usa le elezioni romane per un regolamento dei conti
fra le "due sinistre": di Roma non gli importa niente, ed è smanioso di
aggiungere il suo nome alla lunga lista di eroi del tafazzismo di sinistra. Come
la sinistra dell´SPD che, uscendo dal partito, consegnò nel 2006 la Germania
alla Merkel e alle grandi coalizioni, facendo cadere un governo rosso-verde che
aveva realizzato le riforme grazie a cui, negli anni successivi, la Germania
cessò di essere il malato d´Europa e ne divenne la macchina meglio funzionante.
Gli elettori e le elettrici di sinistra a Roma faranno bene a ricordarsene,
soprattutto al secondo turno.
Non è credibile infatti che siano le distanze programmatiche a
impedire un accordo fra centrosinistra e sinistra per il governo del
Campidoglio. Accordo che c´è stato per quasi tutti i quindici anni di governi
Rutelli e Veltroni, e di nuovo per 26 dei 29 mesi della passata
consiliatura. Accordo che c´è − e funziona bene − nella Regione Lazio guidata
da Nicola Zingaretti.
Basta dare un´occhiata ai programmi. C´è convergenza sulla "cura del
ferro" e sulla mobilità sostenibile (preferenziale, ciclabili, ecc.). Non
potrebbe essere altrimenti: la "cura del ferro" è nel DNA di tutte le
componenti della sinistra romana da trent´anni, ed è la vera leva per cambiare
volto alla città e alla qualità della vita dei cittadini. Sull´urbanistica
Giachetti dice: "non consumare più suolo nell´Agro Romano, stabilizzare la
superficie urbanizzata, sostenere ristrutturazioni, ricostruzioni,
densificazioni e riuso dell´esistente, incentivare la riqualificazione
energetica degli edifici e promuovere la bioedilizia". Parole simili le scrive
anche Fassina. Il quale, nei giudizi un po´ sprezzanti e liquidatori sul passato
dimentica il peso dell´enorme contenzioso urbanistico − una delle componenti,
tra l´altro, delle difficoltà del bilancio capitolino.
C´è convergenza sul potenziamento del ruolo dei Municipi, sugli
obiettivi di aumento della differenziata, sulle strategie per la
ricontrattazione del debito storico, sulla strategia anticorruzione.
Francamente, si fatica a vedere da dove nascano queste insanabili divergenze.
Forse l´unica distanza è sul progetto olimpico: ma si tratta di un progetto che
va ancora costruito, e che può con tutta serenità trovare punti di caduta
sostenibili, anche con il contributo della sinistra-sinistra. La quale, se
davvero vuole avere efficacia nella città e per la città, lo può fare molto di
più e meglio da postazioni di governo che non dall´Aventino.
E allora ecco il dubbio che sorge prepotente: non si vuole l´accordo
perché Fassina carica la competizione capitolina di significati politici
nazionali. Preferisce consegnare Roma all´inettitudine populistica dei 5S o alla
destra (visti i numeri, a quella più estrema), piuttosto che rimboccarsi le
maniche per il bene della città. In questo ribalta un´impostazione storica,
prima di Rifondazione e poi di SEL, a livello locale, di cui è testimonianza il
governo regionale. Penso che SEL-SI debba cambiare idea. E spero che siano i
suoi elettori a fargliela cambiare, e comunque, in assenza di ripensamento, a
non rispettare le indicazioni tafazziste e autolesioniste del loro candidato.
L´Unità, 24 maggio 2016