La legge di stabilità per il 2016 conclude il suo cammino
parlamentare con 999 misure, una per ciascun comma del suo articolo unico. Alcuni
critici storcono il naso: troppa carne al fuoco, una manovra che si disperde in
tanti rivoli. Mi permetto di suggerire un´altra chiave di lettura: nelle misure
messe in campo c´è il tentativo ambizioso di modificare la qualità delle
politiche pubbliche nel nostro paese.
La politica economica non è solo quantità, è anche qualità.
Nei terribili anni della crisi, 2011-2012, dovevamo occuparci solo delle
quantità: ridurre il deficit, stringere la domanda interna per riportare
equilibrio nei conti con l´estero. Poi ci siamo occupati del consolidamento
della ripresa economica, sostenuto e favorito dai famigerati 80 euro, come
hanno dimostrato scientificamente tutte le analisi effettuate da istituzioni,
ad esempio Banca d´Italia, e da accademici, ad esempio Luigi Guiso e Pietro
Reichlin. Adesso cominciamo ad entrare nella composizione qualitativa del
bilancio pubblico, provando − con quasi mille interventi − a modificarne la
struttura in funzione della crescita e dell´equità sociale.
Da un lato, 5,8 miliardi di tagli di spesa (spending review), dall´altro lato 1,4
miliardi nel 2016 e 1 miliardo strutturale a decorrere dal 2017 per un piano
nazionale di contrasto alla povertà e all´esclusione sociale, finalizzato all´introduzione di un´unica misura di contrasto alla povertà − correlata alla differenza tra reddito familiare del
beneficiario e soglia di povertà assoluta − e alla razionalizzazione degli strumenti e dei trattamenti esistenti. Qualcuno
urla sul reddito minimo garantito, noi lo stiamo facendo con le modalità
corrette. E poi 500 milioni per progetti di riqualificazione e ricucitura delle
periferie metropolitane; un miliardo per la difesa e la sicurezza, che nei
tempi di Daesh è un´assoluta priorità; 540 milioni per la cultura, in parte per
il sostegno alla domanda da parte dei giovani e in parte per il potenziamento
delle attività di tutela e valorizzazione dei beni culturali.
Insomma: si sta
provando a fare una riqualificazione della spesa pubblica. La nuova regola del
pareggio di bilancio per gli enti locali, che sostituisce il patto di stabilità
interno, è congegnata in modo da liberare risorse per gli investimenti. Alla
spesa sanitaria è concesso l´aumento di un miliardo (da 110 a 111), con 800
milioni dedicati esclusivamente ai livelli essenziali di assistenza (Lea), che
finalmente verranno definiti per l´intero territorio nazionale e aggiornati
ogni anno.
Sul versante
sviluppo vanno menzionati il super-ammortamento per gli investimenti delle
imprese in beni strumentali, l´eliminazione dell´Imu sui macchinari cosiddetti
"imbullonati" (non si è mai visto un paese che tassa con un´imposta
patrimoniale beni necessari alla produzione, e va ricordato che il superamento
di questa distorsione era già contenuto nella riforma del catasto, che si dovrà
in futuro realizzare in modo generale), gli sgravi contributivi per i nuovi
assunti a tempo indeterminato (con esonero parziale), 617 milioni di credito
d´imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, sgravi contributivi più elevati
(con esonero totale) nel Mezzogiorno.
La fine del segreto
bancario, a partire soprattutto dalla Svizzera, e l´inter-operabilità delle
banche dati disegna la nuova strada per il contrasto all´evasione fiscale:
trasparenza da parte dei contribuenti, approccio collaborativo da parte
dell´amministrazione finanziaria. Il gettito della voluntary disclosure darà soddisfazione al governo, che non l´ha
ancora impegnato nella sua interezza.
Insomma: abbiamo
cominciato a lavorare in profondità, qualcuno direbbe "con il cacciavite". Allo
stesso tempo abbiamo mantenuto il percorso di discesa del rapporto fra debito e
Pil e sfruttato i margini di flessibilità, posizionando al 2,4 per cento
l´indebitamento netto, che era programmato all´1,8 per cento. L´ottimismo del
governo non è di maniera, è solido.
I principali
fattori di rischio sono due: quello legato all´evoluzione geo-politica dei
conflitti nel Mediterraneo, nel Medio oriente e nella stessa Europa; e quello
legato al forte peso delle sofferenze nei bilanci delle banche italiane, la
coda velenosa di sette anni di profonda crisi. Per gestire questi rischi è necessaria
un´Europa proattiva e solidale, non un´Europa burocratica e ferma agli schemi
del XX secolo. Anche qui ci stiamo provando, e sarebbe necessaria una più ferma
coesione politica interna − invece dei consueti litigi da baraccone − a
sostegno degli interessi italiani.
Marco Causi
pubblicato da L´Unità, 23 dicembre 2015