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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



05/03/2015 M.Causi
La riforma delle grandi Banche Popolari: spunti per riflettere e valutare

La riforma delle grandi Banche Popolari: spunti per riflettere e valutare

La riforma delle grandi Banche Popolari, contenuta nel decreto 3/2015 "banche e investimenti", ha suscitato una discussione pubblica su cui mi sembra utile fornire qualche elemento di valutazione. Premetto che, essendo relatore del provvedimento per conto della Commissione Finanze di Montecitorio, ho volutamente assunto, nei giorni in cui la discussione si è sviluppata, un atteggiamento riservato, non volendomi esporre alla critica di essere aprioristicamente a favore di una delle tesi estreme che si contrappongono. Al tempo stesso, ho approfondito la questione e l´ho studiata, sia nella letteratura scientifica che nella discussione politica degli ultimi anni, e ho raggiunto alcune conclusioni, che riporto in sintesi in questa nota a beneficio di chi sia interessato a qualche spunto di riflessone. Consiglio poi la lettura dell´audizione del Direttore Generale della Banca d´Italia, Salvatore Rossi, del 17 febbraio: un testo facile da leggere anche per i non addetti ai lavori e ricco di dati e valutazioni di fonte ufficiale. La si trova agevolmente:https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-direttorio/int-dir-2015/Rossi-170215.pdf.

Le questioni sono riassumibili in tre grandi temi: il primo riguarda l´effettiva natura delle Banche Popolari, e soprattutto di quelle di grandi dimensioni, in relazione al modello storico della banca cooperativa; il secondo riguarda il nuovo contesto dell´Unione bancaria europea e della Vigilanza unica in relazione alla dinamica di deterioramento dei crediti bancari causato dalla perdurante crisi economica e in relazione poi alle possibili opzioni di consolidamento industriale del sistema bancario italiano; il terzo riguarda le modalità della riforma contenuta nel decreto proposto dal Governo Renzi.

La natura ibrida delle grandi Banche Popolari

Sul primo tema bisogna partire dalla consapevolezza che le grandi Banche Popolari (BPop) italiane, cresciute ampiamente al di fuori dei loro territori di origine e identificate in base alle norme del decreto con quelle (dieci) che hanno attivi superiori a otto miliardi di euro, presentano peculiarità rilevanti e non sono paragonabili alle banche cooperative, diffuse in tutto il mondo e rappresentate in Italia dalle Banche di Credito Cooperativo (BCC). Infatti:

1) distribuiscono dividendi con regole analoghe a quelle delle banche SpA, essendo vincolate dalla legge a destinare a riserva un minimo del 10 per cento degli utili. Per le BCC questo limite è del 70 per cento. Inoltre, le BCC sono obbligate a devolvere una parte degli utili ai fondi mutualistici di comparto, obbligo che non esiste per le BPop. Non esiste poi alcun obbligo normativo, per le BPop, a destinare parte degli utili a beneficenza o assistenza: la norma dice soltanto che va a beneficenza la quota di utile non altrimenti distribuita, come avviene per qualsiasi SpA. Insomma, le BPop − a differenza delle BCC - hanno una finalità lucrativa in tutto e per tutto analoga a quella delle Banche SpA.

2) possono quotarsi in borsa, diversamente dalle BCC, perchè possono assicurare agli investitori un flusso di rendimenti coerente con quelli attesi dai mercati dei capitali per investimenti di questa tipologia. Fra le prime 10 BPop italiane, quelle interessate alla riforma, sette sono quotate. Insomma, le BPop, perlomeno quelle di grande dimensione, sono sostanzialmente capitalistiche.

3) si estendono su territori ben più vasti di quelli da cui hanno origine, con una presenza media di sportelli in 60 province per le prime dieci BPop contro circa 70 per le prime undici banche italiane. Le due BPop più grandi sono presenti in 83 province. Le BCC invece hanno mantenuto la dimensione locale. Le esperienze di altri paesi − spesso citate − in cui esistono "grandissimi" gruppi di banche cooperative (come Rabobank o Crèdit Agricole) non sono paragonabili alle nostre BPop, ma piuttosto a veri e propri gruppi in cui alla base della piramide stanno centinaia di piccole banche locali e all´apice una società capogruppo, quasi sempre in forma di SpA e spesso quotata, che accentra una lunga serie di servizi per le banche del gruppo, e principalmente l´accesso ai mercati dei capitali e la risoluzione delle situazioni di crisi interne al gruppo. In questa direzione si muove il processo di "autoriforma" delle BCC italiane in corso di elaborazione con la partecipazione attiva e consensuale del comparto (come testimoniato da quanto Federcasse ha riferito nel corso della sua audizione in Parlamento). Il decreto 3, di conseguenza, non interviene sulle BCC, così come non obbliga alla trasformazione in SpA le BPop di piccole dimensioni.

4) la natura "ibrida" delle grandi Banche Popolari genera in conclusione un rapporto molto controverso tra forma cooperativa, scopo di lucro e mutualità. Questa natura "ibrida" è ben conosciuta in letteratura, e molto discussa da tanto tempo. Anche il vigente apparato legislativo italiano ne tiene conto, e infatti alle BPop non è estesa la tutela dell´art. 45 della Costituzione, con i connessi benefici di tipo fiscale accordati alle organizzazioni cooperative di tipo propriamente mutualistico e/o solidaristico. Poiché sono organizzazioni lucrative e non rispondono a criteri mutualistici, in fin dei conti del "modello cooperativo" storico − diciamo di quello radicato nelle tradizioni di origine socialista o cattolico-sociale del XIX secolo − alle BPop resta soltanto uno e un solo elemento: il voto capitario, con tutto ciò che ne consegue in termini di "governance".

Lo scenario europeo, il deterioramento dei crediti e l´allarme delle autorità di vigilanza

Passando al secondo tema, le nuove istituzioni dell´Unione bancaria europea hanno cambiato radicalmente il quadro di riferimento regolatorio dei sistemi bancari nazionali. La vigilanza bancaria si esercita direttamente da parte della BCE per le banche "sistemiche", e sette delle prime dieci BPop italiane lo sono. Il nuovo meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie si esercita direttamente da parte della BCE non solo per le banche sistemiche ma anche per le altre (la BCE può, in caso di crisi di una banca non sistemica, delegarne la risoluzione all´autorità nazionale, ma può anche decidere di avocarla a sé).

Il nuovo "mantra" − può piacere o non piacere, ma è così, e non è possibile discuterne pregi e difetti in questa sede − è che gli istituti bancari abilitati alla concessione di crediti devono avere dotazioni patrimoniali adeguate ai rischi che si prendono, ed essere in grado di aumentare velocemente il patrimonio quando si verifica un aumento della rischiosità.

Di fronte a questo quadro, le autorità di vigilanza preposte − per vari tipi di competenza − a monitorare l´industria bancaria italiana hanno tutte, e da tempo, lanciato l´allarme sul settore delle BPop. Oltre alla Banca d´Italia, che propone questa riforma da molti anni, un parere ampiamente favorevole alla riforma è stato espresso dalla Consob e dall´Antitrust.

E qui si pone, a mio modo di vedere, un importante punto politico: a fronte dei ripetuti allarmi di tutte le autorità di vigilanza, Governo e Parlamento non possono non fare il loro dovere e ottemperare alle riforme richieste, pena il rischio politico di potere essere accusati, in futuro e di fronte a eventi critici, di essere rimasti inadempienti pur essendo stati ampiamente allertati.

L´allarme − ben descritto nell´audizione di Salvatore Rossi − poggia sui seguenti dati di fatto:

1)  La dinamica di deterioramento dei crediti è stata, a partire dall´inizio della crisi, più veloce nel settore delle BPop che negli altri settori dell´industria bancaria. Fra il 2008 e il 2013 la percentuale dei crediti deteriorati sul totale dei crediti è salita dal 3,3 per cento al 9,5 per cento nel settore delle Banche SpA, dal 3,5 al 12,7 per cento nel settore delle BPop (dati Mediobanca).

2)  Di conseguenza, le esigenze di ricapitalizzazione sono più rilevanti per le BPop, e lo saranno presumibilmente anche nel prossimo futuro. Ma i meccanismi di "governance" di questi istituti rendono più lenta e faticosa la provvista di nuovi capitali freschi, generando preoccupazione nelle autorità nazionali ed europee.

3)     E´ vero che la maggior parte delle BPop è finora riuscita a corrispondere alle nuove regole di vigilanza, ed è vero che non ci sono solo alcune BPop in difficoltà, ma anche alcune Banche in forma di SpA, ma resta valida la questione che le autorità di vigilanza pongono da anni alla politica: dato che le grandi BPop di cooperativo hanno solo la "governance", rimuovendo questo aspetto e facendole transitare pienamente nel modello SpA sarà più facile farle dotare della necessaria quantità di capitale, affinchè possano continuare a erogare credito e mantenere la loro storica caratteristica di banche vocate al finanziamento delle imprese, soprattutto nelle aree più avanzate del paese.

4)   Non va escluso, poi, un processo di consolidamento che, attraverso alleanze fra le BPop, possa contribuire alla costruzione di gruppi bancari di dimensione medio-grande, con un complessivo contributo positivo alla stabilità del sistema bancario nazionale. Il recente Report della Commissione Europea che "promuove" la finanza pubblica italiana enuncia chiaramente che lo scambio flessibilità versus riforme è in corso in Italia e cita la riforma delle grandi BPop come una delle più importanti, allo stesso livello di attenzione politica del Job´s Act.

Flessibilità vs riforme: il Country Report 2015 della Commissione Europea sull´Italia e il giudizio sulla riforma delle BPop

Ecco cosa dice la Commissione Europea nel Country Report 2015 dedicato all´Italia (http://ec.europa.eu/europe2020/pdf/csr2015/cr2015_italy_en.pdf):

"The reform of the governance of Italy´s largest cooperative banks (banche popolari), recently adopted by the government, may kick-start a process of consolidation which could strengthen the banking sector´s capacity to work out non-performing loans. In January 2015, the Italian government adopted a decree law requiring Italy´s 10 largest cooperative banks (banche popolari) to abolish the so-called ´one-head-one-vote´ principle and the 1 % ceiling on the stake of individual shareholders and to transform themselves into joint-stock companies. Furthermore, the decree law relaxes the voting rules applicable to mergers and acquisitions and decisions on a change of legal form, while also relaxing rules on proxy votes. As such, the decree law addresses long-standing concerns regarding the vulnerability of Italy´s largest banche popolari. In addition to improving effective oversight and shareholder control over the banks´ management and making the banks more attractive to new investors, the reform — if not watered down in parliament — is expected to trigger consolidation within the market segment. This may in turn strengthen banks´ impaired-loan work-out capacities, apart from creating scope for cost synergies." (pag. 43)

E´ chiarissimo dalla lettura di queste righe che la riforma delle grandi BPop è considerata uno strumento importante per contribuire alla soluzione del problema determinato dall´aumento dei crediti deteriorati ("non-performing loans") e per innestare dinamiche di "consolidamento" del settore. I critici italiani della riforma hanno diffuso la paura che le BPop possano diventare "prede", in realtà leggendo con attenzione le considerazioni della Commissione si capisce bene che alcune BPop, liberate dai vincoli del voto capitario, potrebbero invece essere "predatori", nel senso di volano di attrazione di processi di aggregazione. Si noti l´inciso: la riforma può avere effetti importanti "if not watered down in parliament", se non annacquata in parlamento.

Le critiche alla riforma e qualche considerazione personal-politica

Ai rilievi posti dalle autorità di vigilanza e all´opinione della Commissione Europea il fronte anti-riforma non ha finora replicato, a mio giudizio, con argomenti convincenti. L´associazione di categoria rappresentante le BPop, Assopopolari, al contrario, ha reso in Parlamento un´audizione insoddisfacente e inadeguata (giudizio subito esternato durante l´audizione da me e dall´altro relatore, Luigi Taranto). I rappresentanti delle BPop si sono limitati a esporre questioni e temi di tipo giuridico − in sostanza, elementi di diritto alla base di possibili futuri contenziosi nelle sedi giurisdizionali − ma si sono sostanzialmente sottratti al confronto di merito. In alcuni passaggi, anzi, hanno messo in dubbio in modo "globale" gli argomenti delle autorità di vigilanza, e la stessa competenza di Banca d´Italia.

In sostanza, Assopopolari si è messa in una posizione che non può non creare imbarazzo e fastidio a chi, come chi scrive questa nota, si era reso disponibile fin dall´inizio per una possibile mediazione, dichiarando pubblicamente, nel momento dell´incardinamento dell´esame parlamentare del decreto, la necessità di riflettere su elementi correttivi, soprattutto per limitare il rischio di una facile scalabilità delle nuove SpA. Ma soprattutto, la posizione di Assopopolari, e di molti critici della riforma, strizza l´occhio a una cultura localistica, refrattaria alla regolazione, anti-europea la quale, sempre a parere di chi scrive questa nota, non è accettabile neppure come terreno di discussione: l´idea insomma che saremmo di fronte a una sorta di congiura giudaico-massonica del capitalismo internazionale guidato da FMI, BCE e governo Merkel contro l´Italia, che la Banca d´Italia accetta supinamente e/o per inettitudine e che il Governo italiano subisce perché non vuole o non è in grado di "battere i pugni" sui tavoli europei e internazionali.

Con questi argomenti e questi toni Assopopolari ha generato giubilo nel M5S e nella Lega. Per quanto mi riguarda, se sono questi gli alleati che vogliono se li tengano pure.

In questi giorni, seguendo quotidianamente il dibattito e facendone parte, sia pur riservatamente, per il mio ruolo di relatore sul decreto, ho maturato l´impressione che questo mondo è stato per troppo tempo in grado di esercitare influenze, sulla politica e sulla stessa gestione delle banche (si vedano in proposito su Repubblica del 4 marzo a pag. 30 le notizie dell´inchiesta in corso su UBI in riferimento alle modalità con cui vengono gestite e distorte le assemblee dei soci di queste supposte "cooperative"), le quali nella sostanza confermano il ragionamento della Banca d´Italia su una "governance" non solo inefficiente ma soprattutto non più adeguata al nuovo mondo dell´Unione bancaria europea. Direi di più: al nuovo mondo in cui l´Italia esce dalla crisi e si confronta a testa alta con le sfide del XXI secolo.

La riforma

Le valutazioni del Country Report 2015 della Commissione Europea sull´Italia poco sopra riportate fanno chiaramente comprendere dove poggiano le motivazioni di necessità e di urgenza che hanno fatto scegliere al Governo la strada del decreto legge: si tratta di una delle riforme di sistema in cambio della quale otteniamo flessibilità e, soprattutto, recupero di credibilità nelle capacità riformiste dell´esecutivo e della maggioranza che lo sostiene. Si tratta di una riforma ci cui si discute da decenni, fin dagli anni ´80, quando le BPop iniziarono a promettere un´"autoriforma" mai realizzata.

Il percorso scelto, peraltro, è abbastanza "soft": saranno le stesse assemblee delle grandi BPop a deliberare la trasformazione, con un periodo di 18 mesi di tempo per l´attuazione. Per le BPop che non sono obbligate a trasformarsi in SpA i nuovi statuti potranno contenere norme − oggi non applicabili − che rendono più facile, anche in quel caso, la ricerca di nuovi capitali. Le BCC invece restano fuori dal provvedimento, in attesa che − in modo sperabilmente condiviso − sia completato un processo di valutazione interna al comparto su un´"autoriforma" che porti alla costituzione di gruppi e aggregazioni sul modello francese o tedesco.

Il dibattito di merito si è concentrato su tre temi: (a) la soglia di 8 miliardi di attivo che individua gli istituti a cui si applica l´obbligo della trasformazione, che alcuni ritengono − al traino dei pareri dei consulenti legali di Assopopolari − viziata da possibile incostituzionalità; (b) la possibile "scalabilità" delle nuove SpA da parte di grandi gruppi bancari europei; (c) il paventato "abbandono dei territori", soprattutto per quanto riguarda il flusso di erogazioni liberali che storicamente il sistema delle BPop ha fatto affluire a vantaggio dei territori di origine (con risorse pari in media al 5 per cento degli utili).

In realtà, questi punti non individuano problemi che hanno uguale criticità:

1) è altamente improbabile che la soglia di 8 miliardi possa portare all´incostituzionalità, e questo è un parere che abbiamo raccolto da numerose fonti, anche di grande autorevolezza. Anche l´Unione Europea, per definire quali banche sono sistemiche e quali no, ha adottato una soglia sul totale degli attivi. Soglie quantitative sono ampiamente usate nella legislazione nazionale ed europea per graduare e proporzionare alla dimensione gli interventi di regolazione:

2) la trasformazione in SpA incentiverà un processo di aggregazione che diventerà di per sé la migliore difesa da possibili scalate ostili, mentre se le scalate non dovessero essere ostili, e cioè portare a piani industriali di rafforzamento e di consolidamento condivisi, comunque soggetti alla valutazione della Banca d´Italia, non sarebbero certo un elemento di preoccupazione;

3) in ogni caso, una volta diventate SpA le nuove banche, per ridurre la loro potenziale contendibilità e/o per "premiare" l´azionariato diffuso (e cioè per preservare un modello di "public company"), avranno a disposizione gli strumenti dell´art. 2351 del codice civile da attivare negli statuti, sempre previa autorizzazione della Banca d´Italia (limite all´esercizio del diritto di voto, loyalty share, voto plurimo, ecc.);

4) alle SpA non è impedito fare erogazioni liberali, e le banche trasformate potranno provvedere a questo obiettivo anche in assenza di una specifica previsione di legge, così come fanno tantissime SpA nel settore bancario e al di fuori di esso.

A ben pensarci, l´unico punto che ha una significativa criticità è quello riguardante il processo di transizione: da un lato, chi e quando delibererà sui nuovi statuti delle nuove SpA; dall´altro, come evitare scalate ostili nella fase in cui i processi di aggregazione industriale siano ancora in divenire. Su questi due punti sono intervenute le modifiche apportate in Parlamento al decreto:

1) la prima stabilisce che i nuovi statuti potranno essere deliberati dalla stessa assemblea dei soci che delibera la trasformazione. Questo accelera il processo di attuazione della riforma, e allo stesso tempo permette ai soci storici (con voto capitario) di incidere in via diretta sulle caratteristiche della nuova SpA, entro ovviamente i termini di legge;

2) la seconda consente di introdurre negli statuti una clausola "anti-scalata" che limita al 5 per cento l´esercizio del diritto di voto per 24 mesi.

In nessun modo si possono considerare queste modifiche come "annacquamento" della riforma: la trasformazione in SpA delle dieci grandi BPop e l´abbandono del voto capitario, da fare entro 18 mesi, restano intatti come obiettivo.

Il limite all´esercizio dei diritti di voto serve a disincentivare scalate ostili alle nuove SpA, almeno nel periodo transitorio del loro "consolidamento" in seguito alla trasformazione. In Unicredit un limite siffatto esiste ed è pari al 5 per cento. Poiché gli statuti delle banche sono soggetti ad autorizzazione della Banca d´Italia, nel corso del tempo, quando scadranno i 24 mesi previsti dalla legge, sarà cura della stessa Banca d´Italia valutare, insieme al management delle imprese bancarie coinvolte, se adottare o meno, o in quale misura adottare e con quale cadenza temporale, i diversi meccanismi previsti dall´art. 2351 del codice civile. 

Marco Causi. 7 marzo 2015

 

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