La riforma delle grandi Banche Popolari: spunti per
riflettere e valutare
La riforma delle grandi Banche
Popolari, contenuta nel decreto 3/2015 "banche e investimenti", ha suscitato
una discussione pubblica su cui mi sembra utile fornire qualche elemento di
valutazione. Premetto che, essendo relatore del provvedimento per conto della
Commissione Finanze di Montecitorio, ho volutamente assunto, nei giorni in cui
la discussione si è sviluppata, un atteggiamento riservato, non volendomi
esporre alla critica di essere aprioristicamente a favore di una delle tesi
estreme che si contrappongono. Al tempo stesso, ho approfondito la questione e
l´ho studiata, sia nella letteratura scientifica che nella discussione politica
degli ultimi anni, e ho raggiunto alcune conclusioni, che riporto in sintesi in
questa nota a beneficio di chi sia interessato a qualche spunto di riflessone. Consiglio
poi la lettura dell´audizione del Direttore Generale della Banca d´Italia, Salvatore
Rossi, del 17 febbraio: un testo facile da leggere anche per i non addetti ai
lavori e ricco di dati e valutazioni di fonte ufficiale. La si trova
agevolmente:https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-direttorio/int-dir-2015/Rossi-170215.pdf.
Le questioni sono riassumibili in
tre grandi temi: il primo riguarda l´effettiva
natura delle Banche Popolari, e soprattutto di quelle di grandi dimensioni,
in relazione al modello storico della banca cooperativa; il secondo riguarda il nuovo contesto dell´Unione bancaria
europea e della Vigilanza unica in relazione alla dinamica di
deterioramento dei crediti bancari causato dalla perdurante crisi economica e
in relazione poi alle possibili opzioni di consolidamento industriale del
sistema bancario italiano; il terzo riguarda le modalità della riforma contenuta nel decreto proposto dal Governo
Renzi.
La natura ibrida delle grandi Banche Popolari
Sul primo tema bisogna partire
dalla consapevolezza che le grandi Banche Popolari (BPop) italiane, cresciute
ampiamente al di fuori dei loro territori di origine e identificate in base
alle norme del decreto con quelle (dieci) che hanno attivi superiori a otto
miliardi di euro, presentano peculiarità rilevanti e non sono paragonabili alle
banche cooperative, diffuse in tutto il mondo e rappresentate in Italia dalle
Banche di Credito Cooperativo (BCC). Infatti:
1) distribuiscono dividendi con
regole analoghe a quelle delle banche SpA, essendo vincolate dalla legge a
destinare a riserva un minimo del 10 per cento degli utili. Per le BCC questo
limite è del 70 per cento. Inoltre, le BCC sono obbligate a devolvere una parte
degli utili ai fondi mutualistici di comparto, obbligo che non esiste per le
BPop. Non esiste poi alcun obbligo normativo, per le BPop, a destinare parte
degli utili a beneficenza o assistenza: la norma dice soltanto che va a
beneficenza la quota di utile non altrimenti distribuita, come avviene per
qualsiasi SpA. Insomma, le BPop − a differenza delle BCC - hanno una
finalità lucrativa in tutto e per tutto analoga a quella delle Banche SpA.
2) possono quotarsi in borsa,
diversamente dalle BCC, perchè possono assicurare agli investitori un flusso di
rendimenti coerente con quelli attesi dai mercati dei capitali per investimenti
di questa tipologia. Fra le prime 10 BPop italiane, quelle interessate alla
riforma, sette sono quotate. Insomma, le BPop, perlomeno quelle di grande
dimensione, sono sostanzialmente capitalistiche.
3) si estendono su territori ben più vasti di quelli da cui hanno origine,
con una presenza media di sportelli in 60 province per le prime dieci BPop contro
circa 70 per le prime undici banche italiane. Le due BPop più grandi sono
presenti in 83 province. Le BCC invece hanno mantenuto la dimensione locale. Le
esperienze di altri paesi − spesso citate − in cui esistono "grandissimi"
gruppi di banche cooperative (come Rabobank o Crèdit Agricole) non sono
paragonabili alle nostre BPop, ma piuttosto a veri e propri gruppi in cui alla
base della piramide stanno centinaia di piccole banche locali e all´apice una
società capogruppo, quasi sempre in forma di SpA e spesso quotata, che accentra
una lunga serie di servizi per le banche del gruppo, e principalmente l´accesso
ai mercati dei capitali e la risoluzione delle situazioni di crisi interne al
gruppo. In questa direzione si muove il processo di "autoriforma" delle BCC
italiane in corso di elaborazione con la partecipazione attiva e consensuale
del comparto (come testimoniato da quanto Federcasse ha riferito nel corso
della sua audizione in Parlamento). Il decreto 3, di conseguenza, non
interviene sulle BCC, così come non obbliga alla trasformazione in SpA le BPop
di piccole dimensioni.
4) la natura "ibrida" delle grandi Banche Popolari genera in
conclusione un rapporto molto controverso tra forma cooperativa, scopo di lucro
e mutualità. Questa natura "ibrida" è ben conosciuta in letteratura, e
molto discussa da tanto tempo. Anche il vigente apparato legislativo italiano
ne tiene conto, e infatti alle BPop non è estesa la tutela dell´art. 45 della
Costituzione, con i connessi benefici di tipo fiscale accordati alle
organizzazioni cooperative di tipo propriamente mutualistico e/o solidaristico.
Poiché sono organizzazioni lucrative e non rispondono a criteri mutualistici,
in fin dei conti del "modello cooperativo" storico − diciamo di quello radicato
nelle tradizioni di origine socialista o cattolico-sociale del XIX secolo −
alle BPop resta soltanto uno e un solo elemento: il voto capitario, con tutto
ciò che ne consegue in termini di "governance".
Lo scenario
europeo, il deterioramento dei crediti e l´allarme delle autorità di vigilanza
Passando al secondo tema, le nuove istituzioni dell´Unione bancaria
europea hanno cambiato radicalmente il quadro di riferimento regolatorio dei
sistemi bancari nazionali. La vigilanza bancaria si esercita direttamente
da parte della BCE per le banche "sistemiche", e sette delle prime dieci BPop
italiane lo sono. Il nuovo meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie si
esercita direttamente da parte della BCE non solo per le banche sistemiche ma
anche per le altre (la BCE può, in caso di crisi di una banca non sistemica,
delegarne la risoluzione all´autorità nazionale, ma può anche decidere di
avocarla a sé).
Il nuovo "mantra" − può piacere o
non piacere, ma è così, e non è possibile discuterne pregi e difetti in questa
sede − è che gli istituti bancari abilitati alla concessione di crediti devono
avere dotazioni patrimoniali adeguate ai rischi che si prendono, ed essere in
grado di aumentare velocemente il patrimonio quando si verifica un aumento
della rischiosità.
Di fronte a questo quadro, le
autorità di vigilanza preposte − per vari tipi di competenza − a monitorare
l´industria bancaria italiana hanno tutte, e da tempo, lanciato l´allarme sul
settore delle BPop. Oltre alla Banca d´Italia, che propone questa riforma da
molti anni, un parere ampiamente favorevole alla riforma è stato espresso dalla
Consob e dall´Antitrust.
E qui si pone, a mio modo di vedere,
un importante punto politico: a fronte
dei ripetuti allarmi di tutte le autorità di vigilanza, Governo e Parlamento
non possono non fare il loro dovere e ottemperare alle riforme richieste, pena
il rischio politico di potere essere accusati, in futuro e di fronte a eventi
critici, di essere rimasti inadempienti pur essendo stati ampiamente allertati.
L´allarme − ben descritto
nell´audizione di Salvatore Rossi − poggia sui seguenti dati di fatto:
1) La dinamica di deterioramento dei crediti è
stata, a partire dall´inizio della crisi, più veloce nel settore delle BPop che
negli altri settori dell´industria bancaria. Fra il 2008 e il 2013 la
percentuale dei crediti deteriorati sul totale dei crediti è salita dal 3,3 per
cento al 9,5 per cento nel settore delle Banche SpA, dal 3,5 al 12,7 per cento
nel settore delle BPop (dati Mediobanca).
2) Di
conseguenza, le esigenze di
ricapitalizzazione sono più rilevanti per le BPop, e lo saranno presumibilmente
anche nel prossimo futuro. Ma i meccanismi di "governance" di questi
istituti rendono più lenta e faticosa la provvista di nuovi capitali freschi,
generando preoccupazione nelle autorità nazionali ed europee.
3) E´
vero che la maggior parte delle BPop è finora riuscita a corrispondere alle
nuove regole di vigilanza, ed è vero che non ci sono solo alcune BPop in
difficoltà, ma anche alcune Banche in forma di SpA, ma resta valida la
questione che le autorità di vigilanza pongono da anni alla politica: dato che le grandi BPop di cooperativo
hanno solo la "governance", rimuovendo questo aspetto e facendole transitare
pienamente nel modello SpA sarà più facile farle dotare della necessaria
quantità di capitale, affinchè possano continuare a erogare credito e mantenere
la loro storica caratteristica di banche vocate al finanziamento delle imprese,
soprattutto nelle aree più avanzate del paese.
4) Non va escluso, poi, un processo di consolidamento che, attraverso alleanze fra le BPop,
possa contribuire alla costruzione di gruppi bancari di dimensione
medio-grande, con un complessivo contributo positivo alla stabilità del sistema
bancario nazionale. Il recente Report della Commissione Europea che
"promuove" la finanza pubblica italiana enuncia chiaramente che lo scambio flessibilità versus riforme è in
corso in Italia e cita la riforma delle grandi BPop come una delle più
importanti, allo stesso livello di attenzione politica del Job´s Act.
Flessibilità vs riforme: il Country Report 2015 della Commissione Europea
sull´Italia e il giudizio sulla riforma delle BPop
Ecco cosa dice la Commissione Europea
nel Country Report 2015 dedicato all´Italia (http://ec.europa.eu/europe2020/pdf/csr2015/cr2015_italy_en.pdf):
"The reform of the governance
of Italy´s largest cooperative banks (banche popolari), recently adopted by the
government, may kick-start a process of consolidation which could strengthen
the banking sector´s capacity to work out non-performing loans. In
January 2015, the Italian government adopted a decree law requiring Italy´s 10
largest cooperative banks (banche popolari)
to abolish the so-called ´one-head-one-vote´ principle and the 1 % ceiling on
the stake of individual shareholders and to transform themselves into
joint-stock companies. Furthermore, the decree law relaxes the voting rules
applicable to mergers and acquisitions and decisions
on a change of legal form, while also relaxing rules on proxy votes. As such,
the decree law addresses long-standing concerns regarding the vulnerability of
Italy´s largest banche popolari.
In addition to improving effective
oversight and shareholder control over the banks´ management and making the
banks more attractive to new investors, the reform — if not watered down in
parliament — is expected to trigger consolidation within the market segment. This
may in turn strengthen banks´ impaired-loan work-out capacities, apart from
creating scope for cost synergies." (pag. 43)
E´ chiarissimo dalla lettura di
queste righe che la riforma delle grandi BPop è considerata uno strumento importante
per contribuire alla soluzione del problema determinato dall´aumento dei
crediti deteriorati ("non-performing loans") e per innestare dinamiche di
"consolidamento" del settore. I critici italiani della riforma hanno diffuso la
paura che le BPop possano diventare "prede", in realtà leggendo con attenzione
le considerazioni della Commissione si capisce bene che alcune BPop, liberate
dai vincoli del voto capitario, potrebbero invece essere "predatori", nel senso
di volano di attrazione di processi di aggregazione. Si noti l´inciso: la
riforma può avere effetti importanti "if
not watered down in parliament", se non annacquata in parlamento.
Le critiche alla riforma e qualche considerazione personal-politica
Ai rilievi posti dalle autorità
di vigilanza e all´opinione della Commissione Europea il fronte anti-riforma
non ha finora replicato, a mio giudizio, con argomenti convincenti.
L´associazione di categoria rappresentante le BPop, Assopopolari, al contrario,
ha reso in Parlamento un´audizione insoddisfacente e inadeguata (giudizio
subito esternato durante l´audizione da me e dall´altro relatore, Luigi
Taranto). I rappresentanti delle BPop si sono limitati a esporre questioni e
temi di tipo giuridico − in sostanza, elementi di diritto alla base di possibili
futuri contenziosi nelle sedi giurisdizionali − ma si sono sostanzialmente
sottratti al confronto di merito. In alcuni passaggi, anzi, hanno messo in
dubbio in modo "globale" gli argomenti delle autorità di vigilanza, e la stessa
competenza di Banca d´Italia.
In sostanza, Assopopolari si è
messa in una posizione che non può non creare imbarazzo e fastidio a chi, come chi
scrive questa nota, si era reso disponibile fin dall´inizio per una possibile
mediazione, dichiarando pubblicamente, nel momento dell´incardinamento
dell´esame parlamentare del decreto, la necessità di riflettere su elementi
correttivi, soprattutto per limitare il rischio di una facile scalabilità delle
nuove SpA. Ma soprattutto, la posizione di Assopopolari, e di molti critici
della riforma, strizza l´occhio a una cultura localistica, refrattaria alla
regolazione, anti-europea la quale, sempre a parere di chi scrive questa nota,
non è accettabile neppure come terreno di discussione: l´idea insomma che
saremmo di fronte a una sorta di congiura giudaico-massonica del capitalismo
internazionale guidato da FMI, BCE e governo Merkel contro l´Italia, che la
Banca d´Italia accetta supinamente e/o per inettitudine e che il Governo
italiano subisce perché non vuole o non è in grado di "battere i pugni" sui
tavoli europei e internazionali.
Con questi argomenti e questi
toni Assopopolari ha generato giubilo nel M5S e nella Lega. Per quanto mi
riguarda, se sono questi gli alleati che vogliono se li tengano pure.
In questi giorni, seguendo
quotidianamente il dibattito e facendone parte, sia pur riservatamente, per il
mio ruolo di relatore sul decreto, ho maturato l´impressione che questo mondo è
stato per troppo tempo in grado di esercitare influenze, sulla politica e sulla
stessa gestione delle banche (si vedano in proposito su Repubblica del 4 marzo a
pag. 30 le notizie dell´inchiesta in corso su UBI in riferimento alle modalità
con cui vengono gestite e distorte le assemblee dei soci di queste supposte
"cooperative"), le quali nella sostanza confermano il ragionamento della Banca
d´Italia su una "governance" non solo
inefficiente ma soprattutto non più adeguata al nuovo mondo dell´Unione
bancaria europea. Direi di più: al nuovo mondo in cui l´Italia esce dalla crisi
e si confronta a testa alta con le sfide del XXI secolo.
La riforma
Le valutazioni del Country Report
2015 della Commissione Europea sull´Italia poco sopra riportate fanno
chiaramente comprendere dove poggiano le motivazioni di necessità e di urgenza
che hanno fatto scegliere al Governo la strada del decreto legge: si tratta di una delle riforme di sistema in cambio
della quale otteniamo flessibilità e, soprattutto, recupero di credibilità
nelle capacità riformiste dell´esecutivo e della maggioranza che lo sostiene. Si
tratta di una riforma ci cui si discute da decenni, fin dagli anni ´80, quando
le BPop iniziarono a promettere un´"autoriforma" mai realizzata.
Il percorso scelto, peraltro, è abbastanza "soft": saranno le
stesse assemblee delle grandi BPop a deliberare la trasformazione, con un
periodo di 18 mesi di tempo per l´attuazione. Per le BPop che non sono
obbligate a trasformarsi in SpA i nuovi statuti potranno contenere norme − oggi
non applicabili − che rendono più facile, anche in quel caso, la ricerca di
nuovi capitali. Le BCC invece restano fuori dal provvedimento, in attesa che −
in modo sperabilmente condiviso − sia completato un processo di valutazione
interna al comparto su un´"autoriforma" che porti alla costituzione di gruppi e
aggregazioni sul modello francese o tedesco.
Il dibattito di merito si è concentrato su tre temi: (a) la soglia
di 8 miliardi di attivo che individua gli istituti a cui si applica l´obbligo
della trasformazione, che alcuni ritengono − al traino dei pareri dei
consulenti legali di Assopopolari − viziata da possibile incostituzionalità;
(b) la possibile "scalabilità" delle nuove SpA da parte di grandi gruppi
bancari europei; (c) il paventato "abbandono dei territori", soprattutto per
quanto riguarda il flusso di erogazioni liberali che storicamente il sistema
delle BPop ha fatto affluire a vantaggio dei territori di origine (con risorse
pari in media al 5 per cento degli utili).
In realtà, questi punti non individuano problemi che hanno uguale criticità:
1) è altamente improbabile che
la soglia di 8 miliardi possa portare all´incostituzionalità, e questo è un parere
che abbiamo raccolto da numerose fonti, anche di grande autorevolezza. Anche
l´Unione Europea, per definire quali banche sono sistemiche e quali no, ha
adottato una soglia sul totale degli attivi. Soglie quantitative sono
ampiamente usate nella legislazione nazionale ed europea per graduare e
proporzionare alla dimensione gli interventi di regolazione:
2) la trasformazione in SpA
incentiverà un processo di aggregazione che diventerà di per sé la migliore
difesa da possibili scalate ostili, mentre se le scalate non dovessero essere
ostili, e cioè portare a piani industriali di rafforzamento e di consolidamento
condivisi, comunque soggetti alla valutazione della Banca d´Italia, non sarebbero
certo un elemento di preoccupazione;
3) in ogni caso, una volta diventate
SpA le nuove banche, per ridurre la loro potenziale contendibilità e/o per
"premiare" l´azionariato diffuso (e cioè per preservare un modello di "public
company"), avranno a disposizione gli strumenti dell´art. 2351 del codice
civile da attivare negli statuti, sempre previa autorizzazione della Banca
d´Italia (limite all´esercizio del diritto di voto, loyalty share, voto plurimo, ecc.);
4) alle SpA non è impedito fare
erogazioni liberali, e le banche trasformate potranno provvedere a questo
obiettivo anche in assenza di una specifica previsione di legge, così come
fanno tantissime SpA nel settore bancario e al di fuori di esso.
A ben pensarci, l´unico punto che ha una significativa
criticità è quello riguardante il processo di transizione: da un lato, chi
e quando delibererà sui nuovi statuti delle nuove SpA; dall´altro, come evitare
scalate ostili nella fase in cui i processi di aggregazione industriale siano
ancora in divenire. Su questi due punti sono intervenute le modifiche apportate
in Parlamento al decreto:
1) la
prima stabilisce che i nuovi statuti potranno essere deliberati dalla stessa
assemblea dei soci che delibera la trasformazione. Questo accelera il processo
di attuazione della riforma, e allo stesso tempo permette ai soci storici (con
voto capitario) di incidere in via diretta sulle caratteristiche della nuova
SpA, entro ovviamente i termini di legge;
2) la
seconda consente di introdurre negli statuti una clausola "anti-scalata" che
limita al 5 per cento l´esercizio del diritto di voto per 24 mesi.
In nessun modo si possono considerare queste modifiche come
"annacquamento" della riforma: la trasformazione in SpA delle dieci grandi
BPop e l´abbandono del voto capitario, da fare entro 18 mesi, restano intatti
come obiettivo.
Il limite all´esercizio dei
diritti di voto serve a disincentivare scalate ostili alle nuove SpA, almeno
nel periodo transitorio del loro "consolidamento" in seguito alla
trasformazione. In Unicredit un limite siffatto esiste ed è pari al 5 per
cento. Poiché gli statuti delle banche sono soggetti ad autorizzazione della
Banca d´Italia, nel corso del tempo, quando scadranno i 24 mesi previsti dalla
legge, sarà cura della stessa Banca d´Italia valutare, insieme al management
delle imprese bancarie coinvolte, se adottare o meno, o in quale misura
adottare e con quale cadenza temporale, i diversi meccanismi previsti dall´art.
2351 del codice civile.
Marco Causi. 7 marzo 2015