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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



25/07/2012 M.Causi
Decreto sulle misure urgenti per la crescita del paese
 
Dichiarazione di voto per la fiducia al Governo
Marco Causi, Montecitorio, 25 luglio 2012
Nel dichiarare il voto di fiducia del gruppo del Partito Democratico sul "decreto sviluppo", il pensiero non può che andare alle condizioni di instabilità macro-finanziaria che attraversano l´Europa.
Si capisce bene che l´Europa è a un bivio storico. O prevale al suo interno un gioco a somma positiva, con l´applicazione delle misure stabilite nei vertici del 28 e 29 giugno, l´avvio dei cantieri dell´unione bancaria, di quella fiscale e, in prospettiva, dell´unione politica, la messa in campo, se necessario, di strumenti temporanei ed eccezionali per ripristinare il normale funzionamento della politica monetaria. Oppure c´è il rischio per tutti di perdere qualcosa.
Un rischio non limitato ai soli paesi ad alto indebitamento bancario, come la Spagna, oppure pubblico, come l´Italia. Tutti perderebbero se dovessero prevalere soluzioni non cooperative, non solidali, di ripiegamento nazionalistico.
Il contributo che le proposte e l´azione quotidiana del Governo italiano stanno fornendo per la soluzione della crisi è prezioso, come riconosciuto da tutti gli interlocutori europei e internazionali. A maggior ragione, il sostegno interno al Governo di emergenza nazionale non è stato mai così importante come in queste settimane.
Non tanto perché dobbiamo convincere qualcuno che stiamo facendo bene i compiti a casa. L´Italia ha oggi un deficit pubblico in rapporto al Pil, e ne soffre in termini di recessione interna, inferiore a quasi tutti i paesi europei, che nonostante ciò si finanziano a tassi più vantaggiosi; e al tempo stesso mostra una bilancia commerciale che nel mese di giugno è tornata in ampio attivo, con un avanzo nell´interscambio di prodotti non energetici extra Unione Europea di ben 27 miliardi nel primo semestre dell´anno.
Il punto è che dobbiamo ancora convincere, prima di tutto noi stessi, che l´Italia resterà solida sulla strada del risanamento del debito pubblico. E convincere l´Europa a compiere, in questo drammatico tornante della storia, le scelte giuste.
E tuttavia, la questione dell´instabilità macro-finanziaria non deve farci dimenticare l´importanza di un lavoro parallelo sulle riforme per la crescita e l´equità. Non c´è un prima e un dopo. Dobbiamo colmare un ritardo di almeno dodici anni. Anni durante i quali, prima, si è colpevolmente trascurata l´opportunità che nasceva dalla conquista di una moneta stabile e di bassi tassi d´interesse; e dopo, a crisi mondiale scoppiata, si è ancor più colpevolmente cercato di illudere il paese di essere al riparo dalle turbolenze e ci si è limitati al galleggiamento.
Va dato atto al Governo Monti di essere consapevole di questo percorso parallelo. Il decreto su cui oggi è posta la fiducia comprende, misurandoli con il numero degli articoli, ben 103 interventi: erano 70 all´inizio, 33 sono stati aggiunti in Commissione. Sono numeri che dicono qualcosa circa la quantità di problemi che, restati troppo tempo sotto il tappeto, oggi chiedono attenzione. Bene ha fatto il Governo ad aprirsi ai contributi delle forze politiche in Parlamento, in molti casi su base unitaria. Bene hanno lavorato i relatori.
Provo a riassumere in sette punti. In primo luogo, misure per le piccole e medie imprese, il cardine del nostro apparato produttivo, grazie alle quali si raggiungono i numeri sopra citati della bilancia commerciale: nel decreto si introducono strumenti di finanziamento innovativi (nuova disciplina delle cambiali finanziarie e delle obbligazioni partecipative), si amplia in misura rilevante l´opportunità di optare per una gestione di cassa dell´IVA, si rafforzano gli strumenti per l´internazionalizzazione; si potenziano i contratti di rete − strumento preferito dalle piccole imprese subfornitrici, che vanno aiutate a collocarsi in posizioni più vantaggiose all´interno delle catene globali del valore − dando loro una più netta configurazione giuridica e patrimoniale.
Secondo, "green economy", con l´aumento al 55 per cento degli incentivi per l´efficienza energetica, l´inserimento dell´energia geotermica tra le fonti strategiche, una nuova e organica normativa per i veicoli a bassa emissione.
Terzo, apertura dei mercati, con passi avanti nel gas naturale, a seguito dell´importante decisione di separare Snam da Eni, presa nel decreto liberalizzazioni.
Quarto, miglioramento della regolamentazione, con la semplificazione delle procedure per la realizzazione di infrastrutture energetiche e di quelle per le attività edili, con il nuovo sportello unico per l´edilizia, e con la riforma delle concessioni idroelettriche, per dare più attenzione agli investimenti.
Quinto, il nodo dei rapporti fra sistema della giustizia ed economia, con l´introduzione di un filtro di ammissibilità agli appelli nelle cause civili, al pari di quanto previsto negli altri ordinamenti europei, e con una riforma del diritto fallimentare, che dovrebbe migliorare la gestione delle crisi aziendali salvaguardando il patrimonio produttivo.
Sesto, innovazioni sul "project finance" per le infrastrutture, una seconda gamba essenziale per limitare i danni che sta producendo sugli investimenti la contrazione della spesa pubblica. I "project bond", introdotti nel decreto liberalizzazioni, acquisiscono un trattamento fiscale uguale a quello dei titoli pubblici − come fu proposto sul decreto Salva Italia da un emendamento del PD, in quella fase stralciato dal Governo. Viene migliorata la disciplina del contratto di disponibilità che lega la società di progetto alla gestione dell´infrastruttura. Di più si potrà fare riconoscendo un particolare regime di defiscalizzazione ai piani finanziari delle opere che dovessero consentire una sorta di sostituzione fra contributo pubblico diretto e contributo indiretto via leva fiscale, punto che non ha trovato soluzione nel presente decreto ma su cui il Governo si è impegnato a lavorare fin dai prossimi giorni.
Infine, settimo, interventi a più marcato carattere congiunturale. Con poche risorse, purtroppo, ma con buona efficacia potenziale. Per il settore dell´edilizia, con la detrazione del 50 per cento sugli interventi di ristrutturazione, l´aumento delle percentuali minime di affidamento dei lavori a terzi nelle concessioni, un regime Iva più favorevole per l´invenduto. Per le infrastrutture, con il piano nazionale per le città, l´aumento dell´autonomia finanziaria delle autorità portuali e lo sblocco di programmi di spesa destinati alle infrastrutture portuali; con l´uscita dall´emergenza per il terremoto d´Abruzzo e la definizione delle modalità d´intervento ordinario, attraverso cui transiterà una cifra oscillante fra uno e due miliardi all´anno per la ricostruzione; con alcuni interventi aggiuntivi per i territori colpiti dal terremoto dell´Emilia, su cui sarà inevitabile lavorare ancora.
L´istituzione del Fondo per la crescita sostenibile rende spendibili circa 600 milioni per il rafforzamento della struttura produttiva, il rilancio delle aree di crisi, la ricerca e l´internazionalizzazione, fermi restando i riparti territoriali a cui le risorse erano legate per legge. Si introduce una normativa più flessibile sulla deducibilità delle perdite sui crediti. E infine un credito d´imposta per le assunzioni a elevata qualificazione e l´intervento su alcune aree problematiche della recente riforma del mercato del lavoro, in particolare per le organizzazioni produttive stagionali, l´apprendistato, le partite Iva in monocommittenza, la gestione delle crisi aziendali.
Qualcuno dirà: si tratta di manutenzione straordinaria. E allora? Non andava forse fatta, dopo anni di distrazione? Qualcun altro dirà: la crescita non si fa per decreto. E allora? Cominciare a rimuovere quei fattori strutturali della bassa crescita della produttività italiana che derivano da normative inadatte o sorpassate è forse lavoro inutile, anche se i suoi frutti potranno essere valutati solo nel medio termine, e al netto della crisi macro-economica e macro-finanziaria? Non dimentichiamo poi che questo insieme di misure si innesta su importanti scelte di politica fiscale compiute fin dal Salva Italia: l´incentivo alla patrimonializzazione delle imprese tramite l´ACE; l´abbattimento del costo del lavoro ai fini Irap; lo spostamento del sistema fiscale da lavoro e impresa verso rendite e patrimoni e il rafforzamento degli strumenti di lotta all´evasione.
E ancora qualcun altro dirà: non basta, ci vuole ben altro.
Certo, anche noi del Partito Democratico avremmo voluto e vorremmo di più; non smetteremo di incalzare il Governo a fare di meglio, soprattutto sul fronte dell´occupazione e della tutela delle fasce più deboli; non smetteremo di avanzare dubbi sulla conduzione di alcune partite di politica industriale che coinvolgono grandi gruppi, a partire da Fiat e Finmeccanica; non smetteremo di criticare il Governo se le direzioni di marcia che intraprende non ci convincono, come accade per alcune norme del decreto sulla revisione della spesa pubblica, che ci sembra troppo penalizzante per gli enti locali, pericoloso per l´impatto sui servizi pubblici essenziali e in alcune parti inefficace e inutilmente punitivo. Invitiamo anzi il Governo a lavorare in Parlamento sulla revisione della spesa con la stessa apertura e disponibilità alle proposte emendative che ha manifestato in occasione di questo decreto sulla crescita.
Ma rigettiamo con forza il "benaltrismo". Semmai, la consapevolezza che abbiamo è che il lavoro per le riforme e per l´equità è appena cominciato e dovrà durare ancora a lungo, certamente al di là della presente legislatura.
 

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