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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



23/07/2012 M:CAUSI
Le soddisfazioni di un referendario pragmatico
La sentenza della Corte Costituzionale che boccia la riforma dei servizi pubblici locali, introdotta dal governo Berlusconi in uno dei decreti anti-crisi, dice una cosa molto semplice: che non si possono emanare leggi contenenti norme uguali a quelle abrogate da un referendum. Una questione, insomma, di elementare democrazia.
In quella legge (articolo 4 del decreto 138 del 2011, approvato con il voto contrario del PD e delle altre forze di opposizione al governo Berlusconi) veniva riproposto un dispositivo, originariamente introdotto nel decreto cosiddetto Ronchi, la cui aberrazione è stata uno degli elementi che hanno portato il PD ad appoggiare i referendum: una sorta di corsia preferenziale per le privatizzazioni in alternativa alle liberalizzazioni. Diceva la norma (che bello usare l´imperfetto e non il presente!) che se gli enti pubblici proprietari delle azioni fossero scesi fino al 30 per cento, questo avrebbe garantito i contratti e le concessioni in essere, eliminando l´obbligo di sottoporli al vaglio della concorrenza attraverso gare a evidenza pubblica. E´ quello che abbiamo chiamato, in occasione della discussione referendaria, il "peggiore dei mondi possibili": un mondo in cui il monopolio pubblico diventa monopolio privato e, mentre tutto il resto va a gara, dalle gare sono preservate le sole aziende che intraprendono un percorso di privatizzazione.
Proprio da qui partiva il ragionamento (fallace) di Alemanno sulla vendita delle azioni Acea, e anzi la vicenda Acea mostra plasticamente il pericolo nascosto in quella norma. Il Sindaco di Roma si è detto "obbligato" alla vendita e quando è stato fatto notare che l´alternativa alla vendita sarebbe stata la liberalizzazione, e cioè la messa a gara del servizio di illuminazione pubblica della capitale, gli azionisti privati di Acea sono insorti dichiarando che avrebbero preteso i danni dal Comune per l´eventuale decisione di chiudere il contratto e indire una gara. Così il Sindaco ha potuto argomentare che era necessario privatizzare Acea per non dovere pagare danni agli azionisti privati… quegli stessi azionisti che, al di là delle dichiarazioni ufficiali, hanno interesse e concrete possibilità di assumere il controllo della società romana non più presidiata da una maggioranza pubblica.
Due conclusioni, una romana e una nazionale. A Roma è possibile adesso imboccare la strada maestra: mettere a gara l´illuminazione pubblica (come si sarebbe potuto e dovuto fare in passato) e mantenere pubblica la maggioranza azionaria del maggiore gestore di servizi idrici del paese. In Italia si potranno finalmente riscrivere le norme sui servizi pubblici locali ripartendo, com´è giusto che sia, dal referendum.
Unica condizione: superare l´approccio ideologico che contrappone una visione "iper-pubblicistica" a una "iper-liberistica" e sposare un sano pragmatismo. Bisogna tenere conto non solo della concorrenza, ma anche delle condizioni tecniche e industriali dei diversi settori e incentivare un processo di aggregazione delle gestioni, come ha mostrato di voler fare il governo Monti con le norme del Salva Italia. Bisogna far funzionare le nuove autorità su trasporti e acqua. Bisogna coprire i costi, compresi quelli finanziari, con le tariffe, senza aggravare una finanza pubblica già in forte difficoltà. Bisogna garantire a famiglie e imprese che le tariffe siano eque ed efficienti, senza rendite ed extra costi. E se i danni di alcune gestioni pubbliche dipendono da difetti di "governance" e dall´invadenza della politica bisogna dare la risposta giusta: non privatizzare ad ogni costo, ma fare allontanare la politica dalle aziende (amministratori unici, selezioni pubbliche del personale, trasparenza degli appalti, stringenti vincoli di carattere finanziario e regolamentare sulle società "in house").
Marco Causi
 

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