Alcuni rimproverano il PD e il centrosinistra di condurre su Acea una battaglia strumentale, con il solo obiettivo di mettere in difficoltà il Sindaco (vedi ad esempio Sergio Rizzo sul Corriere della Sera dell´8 giugno). Vorrei provare a convincerli che così non è, e che non si tratta neppure di una battaglia estremistica, ma molto pragmatica e preoccupata per le sorti di un importante "bene comune" della città.
Sgombriamo il campo dal fatto che sia obbligatorio vendere le azioni Acea: non lo è, e avere battuto il tasto del "vincolo normativo" per tante settimane da parte del Sindaco ha avvelenato il clima, perché la prima cosa che ci si aspetta da rappresentanti delle istituzioni è che dicano la verità e non si nascondano dietro bugie, destinate peraltro a cadere quando il Governo risponde ad una semplice interrogazione parlamentare.
Che non sia conveniente vendere oggi lo capiscono tutti. Con i valori depressi dalla crisi il Comune incasserebbe meno di 180 milioni una tantum, compiendo una scelta irreversibile. Negli ultimi sette anni Acea ha distribuito dividendi per circa 722 milioni, di cui la metà al Comune, e cioè più di 50 milioni l´anno. Monti ha espresso questo concetto con riferimento a tutti gli "asset" pubblici.
Per di più, il progetto di bilancio di Alemanno destina 35 milioni della vendita di Acea alle manutenzioni ordinarie: come se una famiglia vendesse casa per riparare l´automobile. E´ o non è una scelta dal sapore pre-elettorale?
Molto discutibile è il meccanismo di legge utilizzato, contenuto in uno dei due decreti estivi di Berlusconi e Tremonti (e non votato dal PD e dalle altre opposizioni: anche su questo il Sindaco e il centrodestra hanno distorto l´informazione): se scendi sotto il 51 per cento sei libero di non fare le gare. Così si protegge il monopolio a scapito della concorrenza. Si mantengono cioè i contratti in essere, senza sottoporli a prove competitive, nella pancia di imprese che per di più potrebbero diventare a controllo privato. Il PD pensa che sia preferibile la liberalizzazione (e cioè una gara per il servizio di illuminazione pubblica di Roma) alla privatizzazione. Non si capisce perché Acea possa andare in giro per l´Italia a fare gare − anche vincendole − e debba invece godere di un monopolio intoccabile a Roma.
Non si vende una proprietà così importante con sei righe di delibera: non è questione di opportunità, ma di legge, la quale assegna precise competenze al Consiglio comunale sulle dismissioni e sui patti parasociali, non delegabili a Sindaco e Giunta. Così com´è scritta la famigerata delibera 32 non legittima a procedere alla vendita, se non dopo una serie di altri passi, alcuni dei quali da portare nuovamente in Consiglio comunale. Il gruppo consiliare capitolino del PD ha depositato, in merito, un documentato parere pro veritate, che sarà alla base di un eventuale (e facile) ricorso in sede di giustizia amministrativa.
E comunque, qualsiasi patto parasociale non elimina il rischio di perdita di controllo da parte del Comune, una volta sceso sotto il 51 per cento, visto che l´azionariato privato è molto concentrato e potrebbe acquisire la maggioranza con semplici acquisti sul mercato.
E poi l´argomento più importante: Acea è il più grande gestore idrico d´Italia. Che futuro avrebbe se fosse privatizzato? Quale collettività locale italiana si fiderebbe, dopo che il referendum ha fatto emergere con chiarezza la preferenza per gestori solidamente ancorati alla storia e alla cultura del pubblico servizio? Lo stesso servizio idrico nell´ambito romano sarebbe a rischio, come ha puntualizzato il Presidente Zingaretti, raccogliendo la preoccupazione di numerosi Sindaci della provincia di Roma.
Acea e il suo socio di maggioranza, il Comune di Roma capitale, sono privi di una visione industriale, e la delibera 32 fa emergere questa debolezza con grande evidenza. Mentre in tutta Italia è ripartito il processo delle aggregazioni fra le società locali dei servizi pubblici, e così Iren parla con A2A e Hera parla con Acegas, nessuno parla con Acea − in chiaro difetto di progetto e di un management credibile − la quale rischia di restare zitella, oppure di essere scalata e successivamente smembrata dai soci privati già insediatisi nel suo azionariato.
Viene criticata la condotta d´aula delle opposizioni capitoline. Da ex assessore al bilancio del Comune posso assicurare che tante volte il centrodestra all´opposizione, prima del 2008, ha usato gli stessi marchingegni procedurali, con decine di migliaia di ordini del giorno e di emendamenti: praticamente ad ogni sessione di bilancio.
Le gazzarre in aula Giulio Cesare sono da deplorare, e ancora di più è censurabile che vi prendano parte dipendenti dello staff del Sindaco. E´ auspicabile che lo scontro possa lasciare il passo a una seria discussione sul futuro di Acea, anche in relazione alle nuove norme del "Decreto sviluppo" del Governo Monti, che attivano un ruolo della Cassa Depositi e Prestiti nei processi di aggregazione e rilancio industriale delle "utilities" pubbliche locali.
Ormai però il modo è solo uno: accantonare e riscrivere la delibera 32, sbagliata nei presupposti e nel merito, oltre che priva di qualunque progetto industriale per una delle più importanti aziende romane.
Marco Causi