Dalla golden share al golden power. Una nuova modalità d´intervento pubblico in economia, più leggera ma potenzialmente più estesa
Il decreto relativo ai "poteri speciali" dello Stato sugli assetti societari delle imprese operanti in settori strategici e d´interesse nazionale contiene una riforma del DL n. 332/1994. Era stata lì definita − nel momento in cui si dava inizio al processo delle privatizzazioni − la golden share che lo Stato manteneva a sè stesso nelle imprese pubbliche collocate sul mercato. La filosofia sottesa all´esercizio di quei poteri − di tipo autorizzatorio e discrezionale e con un ambito di tipo soggettivo (le imprese ex pubbliche) − si è scontrata con la giurisprudenza comunitaria e ha attivato procedure di infrazione non solo per l´Italia ma anche per altri paesi, come la Francia e la Germania. Lo spirito schiettamente comunitario del governo Monti, e la presenza alle politiche comunitarie di Enzo Moavero, non poteva non esprimersi nel tentativo di chiudere quel procedimento di infrazione e di proporre alla Commissione Europea un approccio innovativo, il quale aspira a diventare benchmark all´interno dell´Unione.
Il potere speciale, il golden power che lo Stato mantiene a sé stesso, nasce da una nuova filosofia: sarà di tipo oppositivo e prescrittivo, e solo in ultima istanza interdittivo, e avrà un ambito di applicazione di tipo oggettivo. Si applicherà cioè a tutte le società − e non soltanto a quelle partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici − operanti nei settori strategici della difesa e sicurezza nazionale nonché a quelle che possiedono attività (asset) di rilevanza strategica nei settori dell´energia, dei trasporti, delle comunicazioni. Le attività di rilevanza strategica sono definite come "le reti e gli impianti, ivi compresi quelli necessari ad assicurare l´approvvigionamento minimo e l´operatività dei servizi pubblici essenziali, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l´interesse nazionale". Il riferimento alla categoria dei "servizi pubblici essenziali" è una delle più significative modifiche introdotte durante i lavori in Commissione.
Il golden power, quindi, è più soft della golden share, ma ha un ambito applicativo potenzialmente più vasto. I perimetri degli oggetti di rilevanza strategica verranno definiti da appositi DPCM per il settore difesa e sicurezza e regolamenti per gli altri settori. Gli atti societari che hanno una potenziale incidenza sulle attività strategiche andranno notificati al governo. Il governo dovrà valutare la sussistenza di "minaccia di grave pregiudizio" per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale ovvero, negli altri settori, per gli interessi pubblici relativi al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti.
Nel valutare le potenziali minacce il governo dovrà rispettare i principi di proporzionalità e ragionevolezza e potrà intervenire con tre armi di crescente potenza: condizioni prescrittive all´acquisto di partecipazioni, veto all´adozione di delibere da parte degli organi societari, opposizione all´acquisto di partecipazioni. La terza arma, l´opposizione all´acquisto, si può innescare contro qualsiasi soggetto nel settore della difesa e sicurezza nazionale, mentre negli altri settori è applicabile solo a soggetti esterni all´Unione Europea, nel rispetto degli accordi internazionali vigenti. Contro l´esercizio del potere speciale del governo è possibile opporsi, e il decreto dispone che i processi di merito si svolgano con rito abbreviato nella giurisdizione esclusiva del TAR Lazio. Vengono, infine, stabilite sanzioni di tipo pecuniario e di nullità degli atti per i soggetti che non dovessero ottemperare alle decisioni governative.
Per dare una valutazione politica del percorso che il decreto apre, è bene ricordare che l´Unione Europea non vieta l´esistenza di imprese pubbliche. Chiede però che il mercato dei capitali sia libero, e quindi che imprese a parziale partecipazione pubblica collocate sul mercato dei capitali non siano soggette a poteri di tipo discrezionale e imprevedibile. Lo Stato può mantenere un golden power, ma lo deve fare in relazione a interessi nazionali e con forme "adeguate e proporzionali" alle minacce. Nel corso delle audizioni presso le Commissioni bilancio e finanze della Camera, le principali imprese a controllo pubblico coinvolte dalla riforma (Eni, Enel, Terna e Finmeccanica, oltre a Telecom, la quale non è a controllo pubblico ma possiede importanti asset strategici) hanno manifestato adesione e condivisione del nuovo modello di poteri speciali, esprimendo semmai qualche preoccupazione per la complessa gestione degli adempimenti che la riforma impone: la perimetrazione delle attività strategiche dovrà adottare metodologie che tengano conto delle specificità tecnologiche dei diversi settori; il governo dovrà bene organizzarsi al suo interno per gestire un´ingente mole di informazioni di cui, tramite le notifiche, verrà a disporre. Queste preoccupazioni sono state condivise dalle Commissioni referenti e dal governo, sono alla base di alcuni ordini del giorno che dettano indirizzi per i futuri decreti e regolamenti attuativi e hanno dato spunto a modifiche del testo iniziale. In particolare, si è stabilito che le disposizioni attuative comprendano, attraverso i previsti regolamenti e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, anche la definizione delle modalità organizzative per lo svolgimento delle attività propedeutiche all´esercizio dei poteri speciali, e altresì definiscano le tipologie di atti o operazioni infragruppo ai quali non si dovrà applicare l´obbligo di notifica.
I Trattati europei, in ogni caso, non si oppongono alla discesa in campo dello Stato tramite strumenti di diretta proprietà. Resta possibile, ad esempio, utilizzare la Cassa Depositi e Prestiti e i suoi Fondi per interventi nell´economia, anche attraverso la partecipazione al capitale d´impresa. Per un´eventuale difesa di un´impresa pubblica da una scalata ostile resta ferma la disciplina della poison pill, introdotta nel 2006. Restano altresì ferme le disposizioni del 1994 che permettono di introdurre limiti statutari all´esercizio del diritto di voto, ovvero al possesso azionario, per le società operanti nei settori strategici e negli "altri pubblici servizi" (una categoria non menzionata nelle norme del 1994 e introdotta con modifica intervenuta in sede referente). Resta infine allo Stato l´azione di moral suasion e di indirizzo.
Con i nuovi poteri speciali, allora, non si sta smantellando l´intervento pubblico nell´economia. Lo si sta riscrivendo dentro regole, compatibili con l´Europa, che ne cambiano la natura: l´esercizio del golden power, e quindi la possibilità di limitare la libera circolazione dei capitali, deve essere ben motivato, opponibile in sede giurisdizionale, limitato ai settori dove esistano interessi strategici di rilevanza nazionale. Se un´infrastruttura giuridica che riduce la discrezionalità degli interventi dei governi pro tempore è in grado di aumentare il grado di certezza da parte degli investitori, si può anche lanciare il cuore oltre l´ansia della presente fase critica e sperare che questa riforma, insieme alle altre che il governo Monti sta portando avanti, consenta al nostro paese di recuperare fiducia e attrattività nei confronti degli investitori internazionali. Di cui abbiamo, in verità, tanto bisogno, alla luce della strutturale debolezza patrimoniale delle nostre imprese, comprese quelle di più grande dimensione.
Se altri paesi in Europa ci sembrano più capaci del nostro nella difesa delle attività strategiche, questo è meno il risultato delle norme vigenti in tema di poteri speciali e più, invece, un risultato di sistema, a cui concorrono la struttura finanziaria, quella patrimoniale, quella tecnologica di un capitalismo italiano che non ha superato alcune storiche fragilità. E non è certo il nazionalismo economico la ricetta adeguata a riportare l´Italia sul sentiero della crescita, visto che restiamo la seconda economia europea per volume di export manifatturiero, e visto che non ci mancano, per fortuna, importanti esempi di successo nel campo dell´internazionalizzazione di medie e grandi imprese. Uno Stato più forte non è necessariamente uno Stato più invasivo − e anzi, alcune esperienze recenti di Stato invasivo nelle decisioni sulla struttura proprietaria delle imprese non sono da tutti considerate un buon esempio, vedi il caso Alitalia. Uno Stato più forte è uno Stato in grado di gestire informazioni, decisioni e potere per le questioni di rilevanza strategica per il futuro del paese, mettendo in azione un´ampia gamma di strumenti, e restando dentro le regole della democrazia, della trasparenza, dell´assenza del conflitto d´interessi.