La riforma del fisco comunale si intreccia con le sorti della legislatura, e ciò rischia di spostare l´attenzione dal merito dei problemi a pure esigenze di tattica politica, noncuranti della stabilità e della sostenibilità dell´assetto della finanza comunale che si andrebbe a ridisegnare con il decreto in discussione in Parlamento.
Le preoccupazioni dei Comuni sono reali. Non si tratta soltanto (e già basterebbe) dell´aleatorietà che circonda l´impegno normativo a ripristinare i tagli del decreto 78 in occasione dell´attuazione del federalismo. Se è vero che il federalismo si attuerà solo quando saranno trovate le coperture finanziare per onorare questo impegno, molti Ministri e dirigenti politici della Lega dovrebbero smetterla di sbandierare la bugia che il federalismo è "cosa fatta"!
Si tratta anche del nuovo disegno strutturale che il decreto imposta per la finanza comunale. Un disegno che zoppica alquanto.
Che le basi imponibili collegate agli immobili a livello comunale siano molto difformi fra territori, con notevoli differenze non solo fra Nord e Sud ma anche all´interno di Nord e Sud, è noto da sempre. Il punto è che la proposta del Governo contenuta nel famigerato decreto rende questa difformità ancora più accentuata, poiché la lega alle sole seconde case e ai trasferimenti immobiliari. Gli effetti sono stati analizzati da un dettagliato dossier del Servizio studi della Camera dei Deputati: per la metà dei Comuni le nuove entrate sono meno del 90% delle attuali (calcolate escludendo compartecipazione Irpef e Tarsu) e addirittura per il 10% dei Comuni ne sono meno del 57%; al contrario, per il 40% dei Comuni le nuove entrate sopravanzano le attuali e per l´8% dei Comuni ne rappresentano più del 150%. Non casualmente, fra questi ultimi spiccano i Comuni a forte vocazione turistica e/o quelli con vivace mercato immobiliare.
Ma che senso ha ancorare il finanziamento di funzioni fondamentali e servizi essenziali come quelli erogati dai Comuni alle sole seconde case e ai trasferimenti immobiliari? Che fine fa, in questo modo, il circuito autonomia-responsabilità, in base al quale il cittadino-contribuente ha il dovere di finanziare i servizi di prossimità di cui gode e ha il diritto di valutare se quanto gli viene chiesto è il "prezzo giusto" e se i suoi soldi sono ben spesi dai responsabili politico-amministrativi? Alla fine, la nuova finanza comunale proposta dal Governo continua a basarsi su trasferimenti compensativi e perequativi, la cui dimensione quasi certamente aumenterà e che seguiranno una logica ben più contorta e oscura rispetto al passato: i Comuni più "ricchi" dovranno cedere qualcosa ai fondi perequativi, lo Stato dovrà compartecipare alle imposte erariali devolute, i criteri da utilizzare per definire anno dopo anno le quote di compartecipazione e i riparti sono demandati ad atti amministrativi e alla concertazione "neo-corporativa" con l´Anci, è indeterminata la relazione fra fondo sperimentale di riequilibrio e fondo perequativo a regime.
Insomma, l´impressione è che i contenuti del decreto privilegino un "effetto annuncio" da utilizzare a puri fini propagandistici (l´Imu, la devoluzione dei tributi sugli immobili) rispetto a un serio approccio che punti a definire un "tax design" razionale, anche in relazione agli altri pezzi della riforma federale e alla più generale vicenda della riforma fiscale. La debolezza, se non l´assenza, di un "disegno" complessivo emerge in particolare su tre punti, su nessuno dei quali il Ministro Calderoli si è espresso nei suoi frequenti interventi pubblici.
Primo, il Governo ha qualche idea sulle relazioni fra riforma del fisco comunale e riforma del fisco regionale? Sembra di no, e infatti l´addizionale comunale Irpef sopravvive alla riforma, e continua a sovrapporsi a quella regionale (che verrà notevolmente rafforzata). Sarebbe molto più sensato abolire l´addizionale comunale e fornire ai Comuni una compartecipazione Irpef, anche per rendere meno contorto il funzionamento dei fondi perequativi.
Secondo, come si può giustificare il Governo per essersi (clamorosamente) dimenticato di trattare nel decreto la seconda fra le esistenti imposte municipali, e cioè la Tarsu? Tra l´altro, in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale sulla tariffa rifiuti, la Tarsu ha estrema urgenza di una stabilizzazione normativa, per la quale il veicolo principe apparirebbe proprio il decreto sulla finanza comunale. Introdurre una "service tax" comprensiva della Tarsu sarebbe una soluzione appropriata, che potrebbe tenere conto con appositi coefficienti o quozienti dell´ampiezza dei nuclei familiari.
Terzo, perché anticipare l´imposta sostitutiva sui canoni d´affitto (la cosiddetta "cedolare secca") rispetto alla riforma della fiscalità sui redditi finanziari? Forse perché, anche qui, si punta a un mero effetto di propaganda, lasciando in mano ai Comuni il cerino delle perdite di gettito, che verrebbero a sommarsi a quelle già inferte con la manovra triennale del decreto 78?
Il Presidente Napolitano ha ricordato l´importanza della riforma federale, ma per seguire l´indirizzo riformatore, dentro la cornice fornita dalla legge 42 del 2009, c´è bisogno di un lavoro solido, di un "tax design" razionale, di idee che poggino su numeri certi. E´ quello che ha fatto il PD, presentando in Parlamento e all´opinione pubblica le sue proposte. Mentre al contrario il Governo appare confinato su posizioni meramente tattiche e politicistiche. Con il rischio che la Lega, tradendo sé stessa per un piatto di lenticchie dal sapore preelettorale, si assuma una grave responsabilità: ci siano o no le elezioni, i problemi dei Comuni non vengono né affrontati né risolti dalla proposta di decreto del Governo, e semplicemente rimandati al futuro, trasformando così l´attuazione del federalismo da potenziale riforma a nuova opportunità mancata per il paese.
Marco Causi