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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



18/10/2010 M.Causi
Il primo decreto su Roma Capitale
Ovvero: i pasticci e le mediazioni al ribasso di un centrodestra romano debole e confuso
 
La riforma costituzionale del 2001, mentre disegnava i contorni di una Repubblica multilivello ancorata ai principi della sussidiarietà, del decentramento e dell´autonomia, affermava al tempo stesso che Roma è la Capitale della Repubblica e che una legge dello Stato ne avrebbe regolato il funzionamento. La nuova Repubblica multilivello deve avere un´ancora centrale forte e autorevole, una Capitale in grado di assolvere nel migliore dei modi ai compiti di rappresentanza della nazione, a quelli di accoglienza nel suo territorio della Città del Vaticano e di tante istituzioni internazionali. E inoltre ai compiti che nascono dalla nuova configurazione dei poteri dello Stato, sempre meno coinvolti nell´esercizio diretto delle funzioni amministrative, da demandare al territorio, e sempre più concentrati sulle funzioni "alte" di coordinamento, di indirizzo e di controllo, oltre che su quelle che restano di competenza delle amministrazioni centrali.
Roma è un simbolo. Concentra in sé valori fondamentali e non negoziabili dell´identità nazionale italiana: l´eredità classica, quella cristiana, le stagioni riformatrici del rinascimento e del barocco, il sacrificio dei patrioti della Repubblica del 1848, e tanto altro, con significati non solo nazionali ma anche europei e globali.
Ma la previsione di una legge per il funzionamento di Roma Capitale intende declinare queste valenze simboliche e valoriali in un modo molto concreto: l´Italia del nuovo millennio ha bisogno di una Capitale moderna ed efficiente, in cui sperimentare una coraggiosa innovazione amministrativa che consenta una "governance" della più grande area metropolitana italiana paragonabile a quelle delle grandi Capitali europee, con l´obiettivo di far funzionare nel miglior modo sul territorio i servizi pubblici, le infrastrutture, la capacità di accoglienza, la sicurezza, la qualità di uno spazio urbano il cui uso è destinato non solo alla popolazione residente ma anche a un ingente ammontare di popolazione fluttuante. In nessun paese del mondo, infatti, le Capitali e le grandi aree metropolitane (e Roma somma entrambe queste dimensioni) vengono gestite con gli stessi strumenti di amministrazione locale dei Comuni con cento abitanti, ciò che invece succede in Italia, visto che ancora dopo nove anni la riforma costituzionale del 2001 resta non attuata, sia per Roma Capitale che per le altre Città metropolitane del paese.
Il centrosinistra ha sempre compreso l´importanza della sfida, che non è solo romana ma ha rilievo nazionale: si tratta, facendo funzionare meglio la Capitale, di far funzionare meglio l´intera Italia. Nelle due proposte di legge per l´attuazione della riforma del titolo V della Costituzione scritte nel 2007 dal Governo Prodi, e concertate con il Sindaco dell´epoca, Veltroni, al nuovo Comune di Roma Capitale veniva conferito un ampio perimetro di funzioni, oltre a un potere regolamentare autorizzato ad agire in deroga a specifiche disposizioni legislative (regionali e nazionali). E si prevedeva esplicitamente l´assegnazione a Roma Capitale di quote di tributi erariali per il finanziamento dei servizi e degli investimenti. Le due proposte, purtroppo, caddero insieme alla passata legislatura.
Il centrodestra invece, frenato dall´alleanza con la Lega Nord, non ha mai dimostrato una capacità trainante e propositiva su una questione così importante per la città. Fra il 2001 e il 2006 non ha mosso un dito per attuare la riforma di Roma Capitale, fatto salvo un tentativo del Presidente della Regione dell´epoca, Storace, di ridimensionare Roma Capitale all´interno di una legge regionale. Nella legge 42 del 2009, di attuazione dell´articolo 119 della Costituzione sul cosiddetto federalismo fiscale, che la presente legislatura ha approvato nel maggio 2009 (mentre ancora si aspetta l´attuazione del resto della riforma del titolo V), è stato inserito un articolo su Roma Capitale che, nel complesso, è più arretrato di quelli in precedenza proposti dal Governo Prodi. I poteri e le funzioni della Capitale sono potenzialmente ampi, ma non possono derogare alle disposizioni legislative. E´ prevista l´assegnazione di ulteriori risorse che tengano conto delle esigenze di finanziamento derivanti dal ruolo di Capitale, ma tali risorse deriveranno non da autonome compartecipazioni bensì dai fondi destinati agli "interventi speciali", mantenendo così il rango (inferiore) di trasferimenti. Intanto, la vecchia legge speciale per Roma Capitale, che il governo Prodi aveva rifinanziato con 200 milioni all´anno nel triennio 2007-2009, è stata totalmente definanziata. Viene però previsto, e si tratta di un fatto positivo, che poteri e risorse stabilite per Roma Capitale transiteranno in via automatica alla Città metropolitana di Roma Capitale, ove questa fosse in futuro istituita.
In ogni caso, anche se l´autonomia della Capitale è inferiore a quella prospettata dalle proposte del governo Prodi, l´approvazione di questo articolo di legge è un passo avanti, e ciò è stato segnalato dal voto favorevole del Partito Democratico.
Le difficoltà del centrodestra sono però pienamente emerse in fase di attuazione della legge. E non vengono solo, come ovvio, dalla Lega, ma a sorpresa anche, e soprattutto, dalla nuova Presidente del Lazio, Polverini, la quale ha rispolverato la vecchia tesi storaciana secondo cui è solo la Regione a poter devolvere i poteri a Roma, e non lo Stato. La Regione Lazio ha indurito la posizione minacciando ricorsi costituzionali e ha di fatto portato allo stallo la trattativa fra Comune, Provincia e Regione per raggiungere un accordo sul decreto di attuazione della legge 42 relativo a Roma. In queste condizioni, il governo e la maggioranza di centrodestra hanno deciso di stralciare la parte relativa all´ordinamento del nuovo Comune "speciale" di Roma Capitale e di confezionare su questo solo, e minore, argomento un primo decreto attuativo, con l´obiettivo di approvarlo entro la data simbolica del 20 settembre e di ratificarlo, in quella data, alla presenza del Presidente della Repubblica. Insomma: la montagna ha partorito un topolino, con un decreto che contiene interventi di tipo meramente ordinamentale (denominazione del Consiglio Comunale trasformata in Assemblea Capitolina, status degli amministratori, procedura di adozione dei regolamenti) e rimanda a un incerto futuro le vere questioni relative a poteri e risorse della città Capitale.
Lo schema di decreto è arrivato in Parlamento durante il mese di agosto e il suo testo iniziale è stato profondamente modificato nella Commissione bicamerale che opera da "filtro" sui decreti attuativi del federalismo fiscale. Il nuovo status degli amministratori capitolini, che sarà deciso con decreto del Ministro degli Interni, scatterà solo dopo il completamento dell´attuazione della delega, e cioè solo con il conferimento dei nuovi poteri e risorse che avverrà con prossimo (o prossimi) decreti.
E´ stata mantenuta una previsione circa la numerosità degli amministratori (assessori e consiglieri comunali) conforme alle regole stabilite per tutti i Comuni dalle norme vigenti, diversamente da quanto proposto dall´intero Consiglio Comunale di Roma, per una volta unanime. Tuttavia, è stato raggiunto in bicamerale un accordo politico, contenuto in un´apposita raccomandazione, che suggerisce al governo di intervenire su questa materia nella nuova Carta delle autonomie (oggi in esame al Senato), per tenere conto delle dimensioni demografiche di Roma, che sono eccezionali anche al confronto con le altre grandi città del paese (più del doppio della popolazione rispetto a Milano, quasi il triplo rispetto a Torino e Napoli). In sostanza, la decisione sulla numerosità della nuova Assemblea Capitolina e della nuova Giunta va riportata ad una questione di rappresentanza in relazione alla dimensione demografica eccezionale della città, e non collegata ai poteri speciali della Capitale. E´ più che legittimo interrogarsi perché mai un consigliere comunale milanese dovrebbe rappresentare meno della metà dei cittadini rappresentati da un suo omologo romano (con tutto ciò che questo comporta in relazione ai costi delle campagne elettorali e alle modalità di espletamento del mandato elettivo) e su questa base ragionare sull´introduzione di una nuova soglia demografica (ad esempio, sopra due milioni di abitanti) per fare in modo che i parametri della rappresentanza (numero di eletti su numero di elettori) non vengano distorti nella città di Roma al confronto di quanto avviene nei Comuni di diversa fascia demografica. Ancora alla Carta delle autonomie deve essere affidato, secondo la raccomandazione del Parlamento, la soluzione di un problema generale, e non solo romano, e cioè quello di porre un limite monetario ai rimborsi effettuati per i permessi retribuiti dei consiglieri comunali.
La bicamerale ha inoltre portato da 12 a 15 il numero dei Municipi previsti per Roma Capitale, contro gli attuali 19. E´ stato respinto un emendamento presentato dal PD (a firma D´Ubaldo e Causi) che proponeva di demandare la decisione sul numero dei Municipi allo stesso Comune di Roma, per non lederne l´autonomia statutaria, costituzionalmente riconosciuta al pari di quella di tutti i Comuni. E´ stato specificato che l´organismo che dovrà effettuare il monitoraggio della qualità dei servizi nella Capitale dovrà essere posto in posizione autonoma rispetto alla Giunta, con ciò salvaguardando l´indipendenza dell´esistente Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici del Comune di Roma. Sono stati meglio delimitati i casi in cui la Giunta potrà ricorrere ad una "corsia preferenziale" per accelerare l´approvazione in Consiglio di delibere strategiche.
Alla luce delle rilevanti, e positive, modifiche introdotte in Parlamento sul testo iniziale del decreto, e alla luce della convinta adesione al valore simbolico della data del 20 settembre nell´anno in cui ricorre il 150° dell´Unità, il Partito Democratico ha votato favorevolmente al parere parlamentare che ha modificato il testo originario del decreto.
In conclusione: fa propaganda chi spaccia questo primo atto come una "grande" riforma. In realtà, la riforma di Roma Capitale è ancora tutta da realizzare e le stesse innovazioni contenute nel decreto entreranno in vigore solo quando arriverà il successivo decreto contenente poteri e risorse. Il centrodestra romano sembra in grande affanno nella conduzione di questo lavoro a causa della radicalizzazione imposta dalla Regione Lazio, la quale si basa su presupposti del tutto sbagliati e da respingere. L´attuale Sindaco pro tempore di Roma, che si è trovato (non per merito suo) a gestire questa importante fase potenzialmente innovativa per la vita della città dovrebbe fidarsi di meno dei suoi personali rapporti politici con il centrodestra regionale e nazionale e capire invece che Roma Capitale andrà in porto solo coinvolgendo tutte le forze vive della città, quelle politiche, quelle sociali, quelle culturali e imprenditoriali, e costruendo così un blocco ampio di consenso che sostenga le proposte che vanno nella direzione di una forte innovazione negli strumenti di "governance" locale e territoriale dell´area romana, assumendone anche l´inevitabile dimensione metropolitana.
Marco Causi
 
 

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