La lettura della Relazione sul federalismo fiscale che il Governo ha presentato alle Camere ai sensi di quanto disposto dalla legge 42 del 2009 è motivo di forte insoddisfazione. Sul piano formale, la Relazione non adempie agli obblighi di legge: il "quadro generale di finanziamento degli enti territoriali" contenuto nella Relazione è incompleto, limitandosi alla sola descrizione e quantificazione − peraltro ancora non definitiva - dei trasferimenti; mancano del tutto le "ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni, le province autonome e gli enti locali", limitandosi la Relazione a identificare alcune proposte a diverso livello di istruttoria e di maturazione, e comunque in assenza di quantificazioni; non c´è alcuna "indicazione delle possibili distribuzione delle risorse".
Ma al di là del dato formale di inadempienza, è sul piano sostanziale e politico-istituzionale che la Relazione rischia di diventare una grande occasione perduta nel cammino del nostro paese verso riforme modernizzatici del funzionamento degli apparati pubblici e della governance multilivello. Non solo, infatti, la ricostruzione storica delle vicende della finanza locale italiana è viziata, nella Relazione, da distorsioni e inesattezze, ma soprattutto le affermazioni apodittiche e di principio prevalgono ampiamente su quelle ben fondate sul piano analitico, trasformando la Relazione da strumento conoscitivo propedeutico a un´approfondita e consapevole discussione pubblica a mero strumento propagandistico a supporto di scelte da parte del Governo in materia non tanto di attuazione della legge 42, quanto di politica finanziaria congiunturale, in particolare di stretta sulla finanza regionale e locale. Non a caso, alcuni dati enfatizzati nella Relazione sono stati utilizzati nelle ultime due settimane in tante sedi, politiche e giornalistiche, con l´obiettivo più che evidente di dimostrare che le Regioni e gli enti locali (ma soprattutto le Regioni) sono "spendaccione".
Tre tesi pervadono l´intera relazione: (a) la spesa pubblica "discrezionale" è ormai prevalentemente gestita dalle amministrazioni locali e non da quelle centrali (vedi pag. 2-3); (b) le amministrazioni locali sono fiscalmente irresponsabili poiché non hanno il dovere di "presa fiscale" e si reggono soprattutto sulla finanza derivata (pag. 4 e pag. 11); (c) da ciò ha origine la dinamica esponenziale del debito pubblico (pag. 5). Accanto a queste tre tesi, due altri concetti sono spesso utilizzati: (a) la contrapposizione fra "decentramento" e "federalismo", con una chiara critica al secondo piuttosto che al primo, e alla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001; (b) una forte critica al funzionamento degli enti regionali e locali, concentrata in particolare sulle Regioni, sulla scorta di esempi che vanno dalla sanità alle sedi di rappresentanza all´estero, dalla gestione degli assegni di invalidità alla lentezza di spesa delle risorse destinate agli interventi "speciali" per il Mezzogiorno. Questi due elementi sono, peraltro, coerenti fra loro, poiché la riforma del 2001 ha come elemento rilevante il rafforzamento del potere legislativo delle Regioni, ed è quindi logico che il Ministro presentatore della Relazione, nel criticare il "federalismo", usi argomenti mirati in senso anti-regionalista.
Partiamo dalle tre tesi: non solo esse non sono nella Relazione sufficientemente argomentate, ma si tratta comunque di tesi discutibili e sotto molti aspetti palesemente errate. Per arrivare ad una spesa discrezionale dello Stato pari a 84 miliardi, come sostenuto dalla Relazione, occorre infatti non soltanto escludere, oltre alla spesa per personale e alla spesa per interessi, i trasferimenti agli enti locali, ma anche i trasferimenti agli enti previdenziali. Insomma, la spesa discrezionale dello Stato è inferiore a quella regionale e locale solo se ci si dimentica di previdenza e assistenza, e cioè di comparti assolutamente centrali e "pesanti" delle politiche pubbliche.
Non è corretto sul piano analitico, e non lo è tantomeno sul piano politico-istituzionale, disegnare i contorni di una spesa locale "fuori controllo". In realtà, se si calcola l´incidenza della spesa pubblica locale sul totale della spesa della amministrazioni pubbliche in Italia ci si trova di fronte i dati riassunti nella seguente tabella (fonte: Istat, Conti amministrazioni pubbliche per sottosettore).