La legge comunitaria per il 2009 ha recepito le nuove direttive europee sui criteri per la determinazione dei compensi dei manager nelle società quotate in borsa. Si tratta di una voce politicamente sensibile del "pacchetto" di misure concordate in sede europea, dopo la grande crisi finanziaria, per riportare un po´ più di etica e di trasparenza nel funzionamento dei mercati. Ai componenti della Commissione Finanze del Partito Democratico l´occasione è sembrata importante per proporre qualcosa di davvero nuovo nel campo delle società pubbliche, e cioè delle quotate partecipate dallo Stato.
L´opinione pubblica è molto sensibile al tema dei sistemi retributivi dei manager, e questa sensibilità diventa massima quando le imprese sono pubbliche. L´opinione pubblica non ha torto: esistono nei nostri sistemi, e soprattutto in quelli europei, norme sociali implicite che rendono poco accettabili divari di remunerazione, fra individui appartenenti alla stessa collettività, di dimensione così siderale come quelli generati dalla sbornia del capitalismo finanziario durante gli ultimi quindici anni. Ancor meno differenze retributive di tali dimensioni sono accettate socialmente quando l´impresa è pubblica.
Più volte il Parlamento italiano ha cercato di rispondere a questa esigenza, anche durante la passata legislatura. Ma le soluzioni sono sempre state trovate attraverso norme pubblicistiche e autoritative (tetti ai compensi, ecc.), che per loro natura non sono applicabili alle società quotate in borsa. Con la proposta del Partito Democratico, invece, si possono introdurre importanti novità senza ricorrere a imposizioni amministrative, ma utilizzando gli strumenti del diritto societario, a loro volta innovati dalle nuove direttive europee. Gli strumenti, insomma, che il diritto civile stabilisce per qualsiasi azionista.
Nella nostra proposta si dettano le regole e i criteri che lo Stato deve seguire quando è egli stesso azionista. Regole e criteri particolari, perché lo Stato è a sua volta un azionista particolare, e deve stare molto attento, nell´esercizio del controllo societario, alla dimensione etica dei comportamenti manageriali, in modo da garantire ai cittadini trasparenza ed equità nei sistemi di remunerazione.
Le regole proposte sono quattro. In primo luogo, la fissazione di limiti quantitativi ai trattamenti di fine rapporto di lavoro. In secondo luogo, un equilibrio tra componente fissa e componente variabile della retribuzione, e il collegamento della componente variabile anche a indicatori di natura non finanziaria: le imprese pubbliche producono servizi, e quindi i loro manager vanno valutati in relazione alla qualità dei servizi che le imprese offrono e non soltanto in base a dati finanziari.
In terzo luogo, le componenti retributive sotto forma di azioni e stock options devono essere legate al conseguimento di risultati di lungo periodo. E infine devono essere costituiti Comitati per le remunerazioni all´interno dei Consigli di amministrazione, costituiti da consiglieri non esecutivi (indipendenti), per riferire all´assemblea dei soci e per vigilare sull´osservanza delle regole.
Si tratta di una proposta che si muove pienamente nell´alveo del diritto civile, che è quindi facilmente applicabile alle società pubbliche quotate, e che rafforza gli orientamenti comunitari. Il Governo e la maggioranza di centrodestra si sono presi la responsabilità di non accogliere questa proposta e di votarle contro. La proposta non è passata alla Camera per soli quindici voti. Ma noi siamo cocciuti e ci riproveremo, presentando un apposito disegno di legge. Riteniamo indispensabile fornire un segnale da parte della politica a un´opinione pubblica che proprio su temi come questi, che hanno a che fare con l´etica pubblica, ha bisogno di rinsaldare la sua fiducia nelle istituzioni.