Discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2010-2013
Signor Presidente, nel mio intervento mi concentrerò su quattro cose che il DPEF dice e su cinque cose che, invece, il DPEF non dice.
Comincio da quello che il DPEF dice. La prima cosa: dalla tabella a pagina 41 del documento si vede chiaramente che la politica economica in Italia è stata nel 2008 prociclica. Gli interventi discrezionali e aggiuntivi effettuati durante il 2008 hanno prodotto un avanzo di bilancio di mezzo punto di PIL. Questo è un aspetto importante perché aver avuto una politica economica prociclica, e che quindi ha aggravato la stretta finanziaria nel momento in cui arrivava la recessione, è la prima, e forse la principale, responsabilità del Governo e giustifica anche l´eccesso di recessione italiana al confronto con gli altri Paesi europei.
La seconda cosa che il DPEF dice è che la manovra anticrisi del 2009, ormai diventata anticiclica, è di 11,4 miliardi (pagina 20). In realtà le stime di analisti indipendenti sono più basse, per esempio il Centro di analisi delle politiche pubbliche dell´università di Modena e Reggio Emilia cifra l´effettiva manovra aggiuntiva anticrisi in 0,4 punti di PIL. Ma dando per buono il dato del Governo, siamo di fronte ad una manovra 2009 pari a 0,8 punti di PIL contro una media degli altri Paesi dell´1,6. Secondo le stime del Fondo monetario, infatti, è di 1,6 punti di PIL l´importo medio delle manovre nei principali Paesi OCSE per il solo 2009. In conclusione il Dpef ci dice che nel 2009 abbiamo un intervento anticongiunturale che è pari alla metà di quello messo in campo dagli altri Paesi e che arriva con un anno di ritardo.
La terza cosa che il DPEF dice è che il valore programmatico dell´indebitamento netto al 2010 viene mantenuto allo stesso livello del tendenziale. Quindi il DPEF ci dice che il Governo non intende nel corso del 2010 correggere un tendenziale di indebitamento del 5 per cento. Voglio dirle, Presidente, e mi rivolgo anche al relatore e al Governo per dimostrare che non diciamo sempre di «no», che ritengo questa una scelta giusta (mi riferisco alla tabella di pagina 33) perché il riaggiustamento dei conti pubblici, che dovrà esserci a medio termine, non può partire subito ma deve aspettare la fine della crisi. Anzi, vorrei che il Governo e la maggioranza ci garantissero che comunque ci sia un margine di flessibilità per l´azione eventualmente, e forse probabilmente, necessaria degli stabilizzatori automatici anche nel 2010, e penso soprattutto agli ammortizzatori sociali.
La quarta cosa: il DPEF ci dice che il Governo non ha una strategia a medio termine. I quadri tendenziali e programmatici 2011-2013 non differiscono molto. Questa scarsa differenza, quindi l´assenza di un programma a medio termine fra 2011 e 2013, è un´assenza voluta, lo sappiamo. Sappiamo quanto sia scettico il Ministro dell´economia rispetto alle previsioni a medio termine, ma ritengo che questo stia diventando un limite per l´azione del Governo. Infatti, quando poi il DPEF dice che l´obiettivo di crescita del PIL italiano è del 2 per cento nel 2011-2013, il Governo non affronta il tema di fondo: come raggiungeremo questo tasso di crescita? Con la domanda americana, con quella cinese, con la domanda interna europea, con le esportazioni, con una ricomposizione della spesa interna, con quali strategie per le tecnologie del futuro? Di questo bisogna parlare, altrimenti di cos´altro dovremmo parlare?
L´incertezza e la sfiducia si sconfiggono con l´intelligenza collettiva e il Paese chiede questo alla sua classe dirigente. Non consideriamo, quindi, le discussioni sulle strategie a medio termine una perdita di tempo, e invitiamo pressantemente il Ministro Tremonti a superare il suo scetticismo per tutto ciò che è previsione a medio termine: qui non si tratta di prevedere, ma di costruire con intelligenza una strategia di uscita dalla crisi.
Passo adesso alle cinque cose che il DPEF non dice. Primo: non ci dice perché le imposte indirette si siano ridotte così tanto. Nel 2008 sono scese da 227 miliardi di euro a 216 miliardi di euro; nel 2009 da 216 miliardi di euro sono previste scendere a 207 miliardi di euro. Quindi hanno perso 20 miliardi di euro in due anni, quasi il 10 per cento, soprattutto a carico dell´IVA. Probabilmente se il DPEF si facesse questa domanda dovrebbe rispondere che c´è un aumento di evasione ed elusione, perché si tratta di una discesa ampiamente superiore a quanto giustificabile in base all´andamento dei consumi.
In secondo luogo, il DPEF non ci dice perché le spese correnti continuano a crescere: 4 miliardi di euro in più per i redditi dei dipendenti pubblici; 4 miliardi di euro in più per i consumi intermedi; 4 miliardi di euro in più per la sanità; quasi 10 miliardi di euro in più per le pensioni. Ho valutato come gli uffici del MEF hanno fatto questa stima, ma vorrei essere sicuro, quindi domando al relatore per la maggioranza e al Governo se sono sicuri di questa stima. Non mi risulta, infatti, che esistano elementi strutturali che possano prevedere una crescita in questa così rilevante misura. Le altre spese correnti salgono di 4 miliardi di euro. Gli investimenti pubblici di 3 miliardi di euro nel 2009, ma sono previste riduzioni negli anni successivi. Anche i contributi in conto capitale salgono di 4 miliardi di euro, forse a causa di ciò che abbiamo dovuto sborsare per l´eccellente soluzione al caso Alitalia? Non vorrei che alcuni di questi impegni di spesa cifrati nel 2009 si spalmassero un po´ nei prossimi anni. Penso in particolare agli investimenti, ma anche sulle pensioni chiedo chiarimenti al relatore e al Governo. In ogni caso, l´andamento della spesa corrente è la dimostrazione lampante che non funzionano i tagli lineari, ma le spending review e i costi standard.
In terzo luogo, il DPEF non dice come intende applicare i costi standard. Leggiamo sui giornali che c´è una discussione in corso importante sulla sanità, ma attenzione: la vera questione della sanità sono i costi standard, non soltanto riallineare previsioni di spesa e stanziamenti anno per anno. Da questo punto di vista, gli studi esistenti ci dicono che il problema dei costi standard interessa tutto il Paese: tramite l´arrivo ai costi standard nella sanità pubblica ci sono consistenti margini di risparmio anche per la Lombardia, per il Veneto, per il Trentino-Alto Adige e non solo per le regioni del Sud. Ci sono solo due Regioni che allo stato delle conoscenze attuali sui costi standard stanno in equilibrio e le voglio ricordare - in quanto ricordiamo sempre le Regioni che fanno male ed è serio anche ricordare qualche volta quelle che fanno bene - e sono la Toscana e la Liguria. La seconda, tra l´altro, nonostante sia gravata da indici demografici negativi. Liguria e Toscana sono le uniche due Regioni in cui la sanità pubblica rispetta già da oggi i costi standard.
Quarto, il DPEF non dice nulla sulle riforme strutturali, soprattutto in ordine agli ammortizzatori sociali.
E infine, da questo DPEF è assente il Mezzogiorno, il grande assente dalle politiche economiche del Governo. Non penso soltanto ai tagli quantitativi apportati al FAS, ridotto da 64 miliardi e 400 milioni di euro a 52 miliardi e 800 milioni di euro e usato come bancomat per tanti interventi importanti e urgenti, ma che non hanno la territorialità tra i loro elementi.
Il vero punto è che al di là e oltre i tagli quantitativi la discussione pubblica concentra tantissima attenzione sulle risorse aggiuntive e straordinarie per le politiche di sviluppo, dimenticandosi che queste risorse (9-10 miliardi di euro l´anno) sono appena un decimo dell´insieme dell´intero intervento pubblico nel Sud. Mi riferisco all´intera spesa pubblica nel Sud: quella ordinaria è di 100 miliardi di euro e quella aggiuntiva è di meno di 10 miliardi di euro all´anno. Noi dobbiamo fare più attenzione a come si intrecciano le politiche ordinarie con quelle aggiuntive, in modo che entrambe lavorino per lo sviluppo territoriale delle aree svantaggiate.
Quello che il DPEF non dice sul Sud - e invece il Partito Democratico e le opposizioni vorrebbero che dicesse - sono cinque punti. Il primo è il ripristino del FAS e del metodo di una corretta programmazione pluriennale; il secondo è l´incentivo ai concessionari dei servizi pubblici per aumentare gli investimenti pubblici nel Sud (penso alle Ferrovie dello Stato, all´ANAS, a Telecom, a ENEL e alle grandi reti); il terzo punto è sbloccare gli interventi per le regioni (quindi per i piani di sviluppo regionali); il quarto è il ripristino degli incentivi alle attività produttive, a partire dal credito di imposta; il quinto è aiutare con assistenza tecnica e premialità le amministrazioni, statali, regionali e locali, che si impegnano nell´ordinario e nel quotidiano nei servizi pubblici essenziali per migliorare quantità e qualità dei servizi erogati a cittadini e imprese e per raggiungere i costi standard.