L´opinione pubblica ha il diritto di essere informata sulla questione della manutenzione delle strade di Roma meglio di quanto possano fare i giudici e la stampa a partire da brandelli indistinti di intercettazioni telefoniche. Se una questione come questa assume, come sta assumendo, un valore politico così elevato (forse un po´ esagerato, ma si sa come funziona il sistema politico-mediatico), allora l´opinione pubblica deve poterne conoscere tutti gli aspetti. E chi ha avuto responsabilità amministrative, come il sosttoscritto, ha il dovere di fornire in sede pubblica il suo personale contributo di informazioni e di valutazioni.
La decisione di passare dal vecchio sistema di tanti appaltini di manutenzione delle strade ad un unico appalto per un "general contractor" fu una decisione giusta e solidamente motivata. Lo sostenni allora e continuo a sostenerlo, sulla base di dati e di analisi di fattibilità ampiamente documentate negli atti amministrativi del Comune.
Infatti, nel vecchio sistema (che sarà quello che tornerà in vigore dopo la revoca del servizio da parte della giunta Alemanno) la manutenzione ordinaria delle strade era separata da quella straordinaria. La prima avveniva con appalti centrali del Campidoglio e con tanti altri appalti decentrati ai Municipi. Su ciascuno di questi appalti gravano una serie di costi fissi (a partire dai costi assicurativi) che si riducono, in quota delle risorse stanziate, all´aumentare della dimensione dei lavori.
La manutenzione straordinaria avveniva con singoli appalti di lavori pubblici. Mi ricordo bene che, già durante il 2002 e poi nell´inverno 2002-2003, l´"emergenza buche" portò il Comune ad aumentare in modo considerevole i fondi destinati a questi lavori. Ciò nonostante, l´emergenza buche continuava, e anche su strade recentemente "rifatte", alla prima pioggia torrenziale si riaprivano buche. Gli ingegneri spiegarono al Sindaco e alla giunta gli aspetti tecnici del problema − che risalgono al modo in cui tanta viabilità romana fu originariamente costruita, nel corso di tutto il secolo precedente.
Io mi occupai invece degli aspetti finanziari e di "disegno" contrattuale. E mi convinsi − anche sulla base dell´esperienza di Bologna − che unificare i lavori di manutenzione straordinaria con quelli di manutenzione ordinaria forniva un sistema di incentivi assolutamente migliore. Infatti, se la ditta che fa la manutenzione straordinaria di una strada ne ha anche in carico, negli anni successivi, quella ordinaria, allora avrà il massimo incentivo a fare bene il lavoro iniziale di risistemazione, per ridurre i costi dei lavori ordinari che essa stessa sarà chiamata ad affrontare nel futuro.
Nel modello tradizionale, poi, le singole gare di appalto avevano al centro della competizione il prezzo. Per strappare il lavoro le ditte ricorrevano a ingenti ribassi d´asta, e dovevano poi lesinare sulla qualità dei lavori. Che infatti non riuscivano a raggiungere la qualità desiderata. Con la ridefinizione del servizio in termini di servizio "integrato" di manutenzione ordinaria e straordinaria, invece, al centro dell´attenzione non c´è soltanto il prezzo (per avere poi una strada in cui si riaprono le buche a pochi mesi di distanza) ma la qualità dell´intero servizio, compresa una cabina di regia di monitoraggio generale della viabilità.
E´ così che nasce il famigerato "maxi-appalto" sulla manutenzione delle strade. Tutto quello che ho riassunto è documentato con approfondite valutazioni tecniche, finanziarie e amministrative negli studi di fattibilità su cui si basò la deliberazione della giunta comunale. La quale tra l´altro fu passata ad un attento vaglio da parte della Corte di giustizia europea, in seguito ad un esposto delle associazioni delle piccole imprese delle costruzioni, le quali la attaccavano perché avrebbe instaurato un regime anti-concorrenziale. La giustizia europea, però, diede ragione al Comune. E´ chiaro che nella nuova logica contrattuale il Comune cercava operatori di dimensione grande e di solida capacità finanziaria − ai quali fra l´altro veniva chiesto di anticipare nel primo triennio a loro carico un ingente quantità di investimenti per gli interventi straordinari. Ma la motivazione tecnica e organizzativa era inoppugnabile. Tant´è che nei primi, e pochi, mesi in cui il "general contractor" ha cominciato a lavorare abbiamo cominciato a sentire proteste crescenti per i "troppi" e ingombranti cantieri che rendevano, ovviamente, meno fluida la già difficile viabilità romana.
Nulla da rimproverarsi, allora? Ebbene, no. Col senno di poi, penso che avremmo fatto meglio a dividere la città di Roma in due o tre porzioni, e a cercare non uno ma due o tre "general contractors". La riunificazione in un unico appalto dell´intera grande viabilità di Roma, infatti, genera un volume complessivo molto elevato: attenzione, per la manutenziaone straordinaria non molto più di quanto il Comune spendesse già prima, anzi con qualche risparmio in termini di costi fissi. Ma visto che parliamo di una somma che, moltiplicata per nove anni, diventa molto ingente, la dimensione dell´appalto divenne tale da attirare un´attenzione politica e mediatica eccessiva, oltre che le solite catene di contenzioso che tanto affliggono il comparto delle opere pubbliche in Italia… per non parlare di ciò che sta succedendo in questi giorni. Ma c´è di più: per lo stesso conseguimento degli obiettivi che ci proponevamo (un diverso modello "integrato" di intervento), avere almeno due applicazioni avrebbe stimolato i vincitori all´emulazione e all´innovazione.
Non credo però che ritornare agli appaltini spezzettati e scollegati da una programmazione generale pluriennale migliorerà la situazione. Anzi, si tornerà ai problemi che volevamo risolvere con il "maxi-appalto": le piccole imprese saranno più contente, ma il controllo della qualità dei lavori, il volume degli stessi, il raccordo fra manutenzione straordinaria e ordinaria tornerà ad essere insufficiente e inefficiente. Con buona pace della sicurezza e della serenità degli automobilisti e, soprattutto, dei motociclisti romani.