La domanda di consumi sta calando vertiginosamente in tutto il mondo. E questa non è la sola notizia. Quella ancora più importante è che essa non tornerà mai più in futuro ad avere le stesse caratteristiche che abbiamo conosciuto negli ultimi venticinque anni. Il circuito Stati Uniti che si indebitano per comprare qualsiasi cosa (dalle case agli armamenti) e Cina che produce e incassa dollari (e, nel nostro piccolo, Italia che viene trainata, laddove può, dalla domanda internazionale dei beni in cui è specializzata) è finito. Ci sarà tempo per ragionare di quale nuovo modello di consumo e di investimento potrà reggere in futuro un nuovo equilibrio sostenibile dell´economia mondiale.
Per adesso dobbiamo preoccuparci di un´emergenza ancora più grave: quella della liquidità delle nostre imprese. Perché molte imprese sono già in difficoltà, o potrebbero esserlo in poche settimane, non tanto perché registrano una riduzione dei loro ordinativi, quanto perché non hanno più un sufficiente accesso al credito. E quindi molte imprese, soprattutto piccole e medie, potrebbero entrare in crisi, e i loro i dipendenti e fornitori perdere il lavoro, ben prima dell´impatto della recessione internazionale sulla riduzione dei consumi, ma per il solo effetto della restrizione del credito. Anche qui molti si interrogano sullo strano stallo italiano nella partita che si gioca sulla ricapitalizzazione delle banche: un gioco di nervi fra Ministro dell´economia, Governatore della Banca d´Italia e sistema bancario che finora si è risolto in un nulla di fatto, con la conseguenza che le banche italiane sembrano avviate più delle loro consorelle europee a trasmettere all´economia reale la stretta creditizia.
Per mettere un argine a questa deriva un emendamento del Partito Democratico propone di aggredire il problema a partire dai crediti che le imprese fornitrici vantano dalla Pubblica Amministrazione. Si tratta di circa 50 miliardi di euro. Se almeno una quota di questi crediti fosse liquidabile velocemente, le imprese, e i loro lavoratori, potrebbero guadagnare qualche mese di respiro. Ma non sempre le banche sono disponibili a scontare, e quindi anticipare, alle imprese i crediti vantati verso Stato, Regioni e altri enti pubblici. I motivi sono due, ma per ciascuno di questi c´è un rimedio, proposto nel nostro emendamento:
a) non sempre i crediti sono ritenuti certi ed esigibili. Rimedio: l´amministrazione, a richiesta dell´impresa, è tenuta a "certificare" la validità della fattura emessa, una volta eseguiti tutti i controlli di legge (sul rispetto del contratto di servizio o di fornitura, piuttosto che sul collaudo dell´opera pubblica);
b) non sempre la banca ha sufficiente liquidità. Rimedio: si metta in campo un "anticipatore" dei fondi di ultima istanza. Nella nostra proposta abbiamo individuato per questo ruolo la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), che viene autorizzata a scontare le fatture "certificate" a prezzi di mercato fino a un ammontare massimo di 30 miliardi di euro.
Trenta miliardi di ossigeno per le imprese, ma anche di ossigeno per gli amministratori pubblici (statali, regionali, comunali, delle ASL, ecc.) che sono oggi assediati dai fornitori e che non possono pagare per effetto dei limiti imposti alle loro erogazioni di cassa. Ossigeno per il sistema: certo, temporaneo e di emergenza. Ma, per chi ancora non lo avesse capito, siamo in un´emergenza mai vista negli ultimi ottanta anni.
La CDP detiene circa 103 miliardi di euro, che le provengono dal risparmio postale, presso la tesoreria dello Stato. Viene remunerata dallo Stato a un tasso superiore a quello dei BTP. Quindi, con l´operazione proposta si avrebbero i seguenti effetti: lo Stato risparmia sul costo del suo finanziamento, perché dovrebbe emettere BTP a un tasso inferiore a quello oggi pagato a CDP: il deficit dello Stato migliora; poiché i depositi CDP presso la tesoreria dello Stato fanno già parte del debito pubblico nazionale, l´ammontare di questo non aumenterebbe: se ne modifica solo la fonte di finanziamento; la remunerazione del risparmio postale non subirebbe alcuna modifica, perché è in linea con il tasso di sconto di mercato che la CDP guadagnerebbe dalle imprese che cedono i loro crediti verso la Pubblica Amministrazione. L´unico effetto è che si ridurrebbe la rendita che oggi la CDP lucra sui conti versati alla tesoreria dello Stato: una rendita che, si badi bene, non viene trasferita ai risparmiatori postali, ma diventa profitto della CDP da girare ai suoi azionisti: lo Stato stesso e le Fondazioni bancarie. Questo, mi sembra, è un sacrificio che si può chiedere alla CDP e ai suoi azionisti.
Marco Causi