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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



13/11/2008 M.Causi
Persone e imprese di fronte alla crisi
Crisi finanziaria, economia reale e nuove politiche economiche
 
La crisi ha  origini in fattori reali dell´economia, come peraltro è tipico di tutte le crisi dei sistemi capitalistici, che dietro le "bolle" finanziarie nascondono sempre qualche motivazione di fondo di tipo reale.
Penso a tre elementi. In primo luogo, da più di venti anni gli Stati Uniti generano al loro interno un rilevante squilibrio fra domanda e produzione, che si riflette in ampi e crescenti disavanzi di bilancia dei pagamenti. Il finanziamento di questi deficit è a carico del resto del mondo, e in particolare dei paesi che esportano negli Stati Uniti, accumulano riserve in dollari e reinvestono non solo al loro interno, ma anche nel resto del mondo. Questo squilibrio − la principale economia mondiale in deficit e bisognosa di finanziamenti − è stato peraltro uno dei motori, forse il principale, della crescita mondiale che ha beneficiato i paesi asiatici e tutti gli altri sistemi emergenti, molti dei quali ormai più che emersi.
Nel corso degli anni di Bush junior al deficit di bilancia dei pagamenti si è aggiunto negli USA un secondo crescente deficit, quello pubblico, generato da un secondo elemento reale e niente affatto finanziario: la guerra. E´ vero infatti che le autorità monetarie statunitensi hanno fatto politiche accomodanti, è vero che per questo sono oggi sotto accusa, ed è vero che addirittura si sono esse stesse autocriticate ex post. Ma qualcuno conosce un qualsiasi caso storico del passato in cui si sia vista una banca centrale fare politiche non accomodanti mentre il suo paese era in guerra?
A ben vedere, allora, è l´intero equilibrio macroeconomico e macrofinanziario su cui si è retto il mondo negli ultimi venti anni, dopo la caduta del muro di Berlino, ad essere messo in discussione dalla crisi. Un equilibrio in cui l´egemonia statunitense non si basava più, come nel dopoguerra, su una finanza forte e su una valuta centrale (sistema di Bretton Woods), ma su elementi più propriamente geopolitici e strategici, grazie ai quali da un lato il sistema statunitense ha trainato il mondo e dall´altro lato i paesi emergenti, ormai emersi, nonché quelli produttori di petrolio hanno continuato e continuano a detenere il dollaro come valuta di riserva.
Il terzo elemento reale è il peggioramento rilevante della distribuzione dei redditi negli Stati Uniti, che si è verificato soprattutto negli ultimi otto anni, che è stato generato da una forbice crescente fra dinamica della produttività e del reddito disponibile delle famiglie e che è stato accentuato da politiche fiscali regressive. E´ anche da questo peggioramento che è nata la spinta ad aumentare eccessivamente l´indebitamento da parte delle famiglie, all´interno di una sbornia ideologica che permetteva a tutti l´accesso al credito facile come sostituto di vere politiche per l´inclusione, per la coesione sociale, per l´accesso ai beni necessari come la casa, in un paese in cui peraltro la crescita demografica originata dall´immigrazione oltre che dal saldo naturale è sempre stata ben più accentuata rispetto all´Europa.
Insomma, il meccanismo di esplosione e trasmissione finanziaria della crisi, veicolato attraverso gli strumenti della finanza innovativa creati negli ultimi anni da un´industria della finanza bisognosa di inseguire ed attrarre gli enormi spostamenti di capitale necessari a governare il disequilibrio dell´economia, sia di quella internazionale sia di quella statunitense, non deve far da velo alla comprensione dei fattori fondamentali della crisi, che erano e restano reali. Così come torneranno ad essere reali gli effetti recessivi con cui per alcuni anni dovremo fare i conti, e non soltanto negli Stati Uniti, e rispetto ai quali dovremo predisporre adeguati provvedimenti di politica economica.
Provvedimenti che dovranno avere un respiro di brevissimo, di breve e di medio termine. Nel brevissimo termine l´obiettivo è la stabilizzazione dei mercati finanziari e la tutela del risparmio da potenziali e pericolose ondate di panico. Nel breve termine, si tratta di rivedere regole che non hanno funzionato oppure che non sono mai esistite, oltre ad implementare efficaci istituzioni di vigilanza, a livello internazionale ed europeo. Per quanto riguarda la vigilanza bancaria torna di piena attualità la proposta che il governo italiano, attraverso il Ministro Padoa Schioppa, aveva avanzato un anno fa, con l´introduzione in Europa di una regola simile a quella dell´anti-trust: al di sotto di una certa soglia interviene la vigilanza nazionale, al di sopra di una certa soglia interviene invece una vigilanza europea in grado di incrociare le informazioni transfrontaliere e transnazionali. In questo orizzonte di breve termine vanno poi collocate le iniziative di livello internazionale relative ai principi contabili e al rafforzamento (e riforma) delle istituzioni di monitoraggio e vigilanza multilaterali, a partire dal Fondo Monetario Internazionale.
Nel medio termine, c´è un solo modo per ridurre l´impatto e la pervasività che la nuova crisi economica rischia di avere: quello di affiancare alle politiche monetarie un intervento attivo e reflattivo delle politiche fiscali. Solo così, infatti, si potrà sostenere la domanda, sia di consumi che di investimenti; contrastare l´aumento delle diseguaglianze; proteggere dal rischio di disoccupazione; condurre le economie del mondo fuori da una secca che rischia di essere lunga e pericolosa.
A livello nazionale, la nostra proposta è per un intervento di espansione fiscale pari a mezzo punto di Pil, quasi otto miliardi di euro, rivolto al potere d´acquisto delle famiglie di lavoratori e pensionati con redditi medi e bassi; al potenziamento degli ammortizzatori sociali e alla loro estensione a vantaggio di settori e categorie oggi esclusi; al rilancio degli investimenti pubblici, anche attraverso la mobilitazione delle risorse derivanti dal risparmio postale.
Ma è chiaro che tutti gli interventi, quelli fiscali, quelli monetari e quelli di salvataggio delle banche, acquistano una marcia in più se si inseriscono dentro un quadro di iniziativa europea. Un quadro di coordinamento, che per fortuna si è cominciato a delineare, e possibilmente un quadro di nuove iniziative di diretta emanazione dell´Unione.
Se qualcosa ci dice questa crisi è che abbiamo bisogno di più Europa. Tre soli esempi: primo, politiche fiscali espansive avrebbero effetti moltiplicati se attuate in modo coordinato da tutti i paesi dell´Unione; secondo, gli strumenti del bilancio comunitario e la Banca Europea degli Investimenti possono dare una spinta importante sul versante delle infrastrutture europee; terzo, l´Unione Europea potrebbe (finalmente) darsi una politica autonoma di finanziamento tramite l´emissione di titoli dell´Unione con cui sostenere non solo la domanda interna di investimenti, ma anche gli stessi salvataggi bancari. Si vede bene oggi quanta responsabilità di sono assunti i conservatori e il centro-destra in Europa nel bocciare l´antica proposta di Delors sugli Eurobond!
C´è bisogno di più Europa anche perchè una delle cose più evidenti  della nuova fase storica in cui stiamo entrando è il declino dell´unilateralismo. Se infatti gli Stati Uniti e l´Occidente in genere dovranno chiedere, e hanno chiesto, ai paesi asiatici e a quelli arabi di dare una mano per la stabilizzazione macrofinanziaria del sistema mondiale; se ulteriori salvataggi andranno organizzati a sostegno di piccole o medie economie in difficoltà (penso all´est Europa, ma anche all´Africa e al Sudamerica); se la governance mondiale andrà rivista, a partire dal funzionamento del Fondo Monetario, dal ruolo del Financial Stability Forum, dallo stesso significato dell´esclusivo club del G8, non a caso ampliato a G20 nell´iniziativa meritoriamente assunta da Sarkozy; in questo nuovo scenario è cruciale che l´Europa abbia una sola voce ed esprima una forza politica ben più coesa di quella di oggi.
E possa così aiutare l´attuazione di una vera e propria svolta delle politiche degli Stati Uniti, una svolta indotta dall´elezione di Obama. Una svolta, però, che si dovrà confrontare con  uno scenario molto difficile e del tutto inedito, un vero e proprio cambiamento di rotta culturale e politico di quel grande paese sia sul piano estero che su quello interno.
Vorrei adesso affrontare un ultimo punto. Il contrasto della crisi, sia nel breve che nel medio periodo, chiama in causa un nuovo intervento pubblico a sostegno dell´economia. Non si tratta di una scelta ideologica, ma di una necessità storica. Certo, occorrerà, fra le altre cose, riequilibrare l´asse culturale in modo da abbandonare gli eccessi delle ideologie iperliberiste che sono state dominanti negli ultimi venti anni. A dispetto di chi ritiene che lo stato sia un´entità equivalente al mercato, e che si tratti quindi di trovare soltanto un equilibrio fra ciò che fa l´uno e ciò che fa l´altro, le vicende degli ultimi mesi si sono incaricate di ricordare a tutti che lo stato ha responsabilità (e poteri) di ultima istanza che ne fanno un´entità super-ordinata rispetto al mercato. Lo stato non può permettere, ad esempio, che le banche falliscano a catena perché dietro al risparmio c´è un bene pubblico essenziale per la vita della collettività. Il problema, ovviamente, è che lo stato non usi il suo ruolo di ultima istanza diventando stato etico o autoritario, ma che ne sia garantita la natura democratica, e cioè il corretto rapporto fra stato e collettività rappresentata, così come l´equilibrio fra i poteri che costituiscono lo stesso stato.
Insomma, al di là delle diatribe ideologiche fra stato e mercato, a me pare che un importante tema politico stia emergendo, anche rispetto al decreto recante i provvedimenti di salvataggio delle banche e di stabilizzazione del sistema finanziario: il disegno degli strumenti e delle procedure per quella che promette di essere una stagione di "nuovo " intervento pubblico nell´economia.
Questo tema non è più al centro della riflessione, non solo politica ma anche scientifica e culturale, dal 1993, e cioè da quando sono stati aboliti il Ministero delle partecipazioni statali e l´intervento straordinario nel Mezzogiorno. Da allora si è pensato, ed elaborato, più nella direzione degli strumenti che hanno sostituito il vecchio intervento pubblico (privatizzazioni, liberalizzazioni, sussidiarietà) e molto meno invece in quella della manutenzione e dell´innovazione degli strumenti che vanno utilizzati per gli interventi che lo stato è comunque chiamato a fare in economia. Strumenti che, si badi bene, sono sempre rimasti in vita negli ultimi quindici anni, come ad esempio tante imprese di proprietà pubblica operanti in molti settori dell´economia dove il mercato non può sostituirsi allo stato.
Oggi l´intervento dello stato potrebbe aumentare, anzi quasi sicuramente aumenterà. Ma allora una priorità politica assoluta è di ragionare sulle modalità dell´intevento pubblico, sugli strumenti utilizzati, sulle procedure, sulla trasparenza, sui meccanismi di monitoraggio e di valutazione, e sulle modalità di indirizzo e di controllo del Parlamento nei confronti del Governo.
Le attività possedute dallo stato, sotto forma di azioni o di obbligazioni, teoricamente potrebbero aumentare in futuro per effetto del decreto 155. Non possiamo non occuparci di come verranno gestite queste attività, di come lo stato eserciterà i poteri che spettano all´azionista o all´obbligazionista, di quali regole di governance dovranno essere garantite affinchè non si ripetano gli errori passati del "vecchio" intervento pubblico in economia, di quali garanzie vanno chieste alle imprese che verranno ammesse agli schemi di aiuto dello stato, ad esempio in termini di codici etici e di comportamento degli amministratori, nonché di schemi di retribuzione del top management.
Dobbiamo evitare, io credo, che il "nuovo" intervento pubblico sia totalmente lasciato alla discrezionalità dell´esecutivo. Alcuni temi che abbiamo cancellato dall´agenda politica a partire dal 1993 tornano oggi di attualità. Attenzione, non sono appassionato agli aspetti di ingegneria societaria che l´argomento porta con sé: ad esempio, se le azioni o le obbligazioni dello stato vadano raggruppate in una gestione separata nel conto del patrimonio dello stato, oppure presso un veicolo esterno come la Cassa Depositi e Prestiti. Sono interessato, invece, al circuito della responsabilità e della trasparenza del "nuovo" intervento pubblico. Ad esempio, al fatto che il Governo presenti al Parlamento i piani di stabilizzzione degli istituti bancari che saranno beneficiati dall´aiuto dello stato, che venga specificato in questi piani qual´è il periodo temporale prevedibile di durata dell´intervento, che il Governo rendiconti l´attuazione dei piani, anche con cadenze temporali ravvicinate.
Vi devo poi confessare che, personalmente, non vedo nulla di male che lo stato segua in modo diretto e attento le sue partecipazioni azionarie, così come le sue obbligazioni. Dovrebbe già oggi farlo, per tutte quelle che ha, dentro regole di trasparenza e di rendicontazione che purtroppo in un passato molto lontano non hanno funzionato, ma che ormai non esistono da anni. Se l´unica vera paura è quella di aumentare il numero di "posti" destinati al circuito della lottizzazione dei partiti, allora lo stato mandi nei consigli di amministrazione o nei consigli di sorveglianza soltanto dirigenti tecnici del Ministero dell´economia e finanze, riprendendo una sana abitudine introdotta da Carlo Azeglio Ciampi.
La vicenda bancaria ci deve portare, oggi, a ricordare che partecipazioni azionarie dello stato, dirette o indirette, ne esistono ben numerose e che, mentre nei casi di società quotate è il mercato che esercita una insostituibile funzione di controllo, nei casi di società non quotate, e sono tantissime, viviamo in un regime di forte carenza di regole, di criteri omogenei e trasparenti, di informazioni e di rendicontazione. In conclusione, si apre l´opportunità di lavorare affinché i vecchi ed il nuovo intervento dello Stato siano assoggettati a procedure ed a meccanismi moderni, avanzati, trasparenti e soggetti al controllo del Parlamento e dell´opinione pubblica.
 
 

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