C´è una fretta indiavolata. Di chiudere la partita. A ogni costo. Di piantare la bandiera.
Quale che sia. Di uscire dall´apnea propagandistica che, neanche la conferenza stampa di ieri (la seconda in pochi giorni) del premier e del ministro Tremonti per sventolare i pochi successi e i tanti obiettivi del suo governo, riesce a interrompere.
Non si è ancora spenta l´eco del braccio di ferro sulla fiscalità comunale, in vista dell´approdo la prossima settimana nell´aula del senato, che già il processo attuativo del federalismo si arricchisce di nuovi interessanti capitoli.
Tanto più che non c´è niente di nuovo nella vulgata berlusconiana asserragliata intorno alla resistenza su tutto, mentre qualcosa in più trapela invece dalla Lega, dalle sue anime, dai suoi tatticismi. Si va infatti dall´espressione lapalissiana di Bossi secondo cui «se ha i numeri il governo va avanti, se non ci fossero allora cadrebbe» fino al "vorrei ma non posso" di Maroni, che ricorda come il confronto con il Pd e Bersani non sia di oggi, che «i rapporti con la sinistra sono da sempre ottimi. Bè magari ottimi no, diciamo corretti». Insomma, magari Berlusconi e il berlusconismo sono sulla via del tramonto, ma la Lega in un crescente nervosismo non è ancora disposta a staccare la spina. Per ora.
Prima punta ad approvare in fretta il federalismo, quale che sia. Poi si vedrà. Lasciando aperta la porta a spiragli, a frasi non dette ma ammiccate, a un dialogo a corrente alternata.
Che ieri in bicameralina qualcosa è cambiato, però, lo si è capito subito con la retromarcia innescata dal presidente La Loggia che ha parlato di commissione nella sua piena operatività.
Altro che bicamerale delegittimata da una composizione tradita come esponenti della maggioranza (tra cui lo stesso La Loggia e i leghisti) hanno raccontato in queste settimane. «Quanto è accaduto ieri − spiega il vicepresidente della bicameralina Marco Causi − dimostra come fosse pretestuosa la polemica sulla composizione bicamerale».
Una bicamerale che resta immutata nella sua composizione − senatore Baldassarri compreso − e che ieri ha ascoltato i rappresentanti della ragioneria generale dello stato bacchettare il decreto sulla fiscalità regionale. Se per oggi sono attese sia la conferenza delle regioni che l´audizione delle autonomie territoriali in bicameralina, Calderoli nicchia sulla possibilità di mettere la questione di fiducia sul federalismo municipale: «Si vedrà!».
A fronte del più dialogante La Loggia che ieri ha rassicurato più volte che il decreto recepirà le richieste delle regioni e quelle dell´Api e dell´Udc, dal capogruppo della Lega alla camera Marco Reguzzoni arriva una sbattuta di porte alle aperture del Pd: «Dice di essere federalista, ma quando arrivano i provvedimenti vota contro». Propaganda in salsa leghista che non convince nemmeno la stessa base verde consapevole che una Lega presciolosa fa decreti attuativi fumosi. Ne è convinto del deputato del Pd Francesco Boccia: «Dobbiamo fare una riforma non giocare alla lotteria: prendere o lasciare senza condizioni è fuori luogo».
Il senatore del Pd Marco Stradiotto invita Calderoli a cambiare il testo: il via libera dei democratici ci può essere, dice, «basta approvare gli emendamenti correttivi proposti dal Pd».
E se per Causi la struttura finanziaria del decreto sulla fiscalità regionale è più solida perché conferma l´assetto finanziario del governo Prodi, sono numerosi i problemi da risolvere.
Ieri il capogruppo del Pd alla camera Franceschini ha insistito che «in un quadro politico diverso, senza l´anomalia di Berlusconi, con un parlamento che torna a funzionare, si può tornare a un normale confronto tra maggioranza e opposizione». Un confronto messo nell´angolo da una Lega che per Boccia «sbaglia a rinchiudersi nel fortino con quel che resta del Pdl». E la Lega, si sa, oggi è sull´orlo di una crisi di nervi.