Norberto Benemeglio
27-06-2010
Nell´invito al convegno-dibattito "Incontro con i giovani, problemi e soluzioni" promosso dalla associazione culturale "Amici di Ponte di ferro", alcuni termini stimolano la fantasia.
Da una parte, il ponte di ferro richiama un´immagine "futurista" di prodotto lavorato, in cui alla forza della lega ferrosa si abbina sia un´idea di giunzione tra sponde diverse che di velocità, date dal ponte come arteria di passaggio. Tutto, poi, è attualizzato dalla parola "amici" che mitiga le influenze corrosive del futurismo, dei primi anni del secolo passato.
Dall´altra, il luogo in cui si svolge l´incontro si chiama "Planetarietà", e richiama un concetto di cultura basato su alcuni princìpi di cui oggi abbiamo perso le tracce. La cultura della planetarietà è la coscienza di essere individui e gruppo di persone internazionali e transnazionali, dal punto di vista della rivendicazione dei diritti diffusi. E´ momento di convivialità tra tutti i membri di una comunità per riconoscere e ricostruire i diritti umani essenziali, mirando alla coesione sociale.
A presiedere l´iniziativa sono l´on. Cesare Damiano, Capogruppo Pd Commissione Lavoro Camera dei Deputati, e l´on. Marco Causi, docente di Economia all´Università Roma Tre, entrambi in sciopero della fame in solidarietà con i dipendenti dell´Eutelia. A loro il compito di riportarci alla realtà con l´esperienza propria di chi nell´amministrazione pubblica opera e agisce.
Ai Giovani Democratici dei Circoli Pd Marconi, Portuense e Donna Olimpia il compito di uscire dal timore reverenziale, e chiedere confrontandosi. Allora le premesse ci sono tutte per un richiamo forte e coesivo sui temi del lavoro e dei giovani.
La realtà di Pomigliano è presente e aleggia nelle domande. S´intuisce che nello stabilimento FIAT campano si gioca una partita importante, inerente i diritti sul lavoro presenti ma soprattutto i diritti futuri. Sempre con uno sguardo al futuro, poi, le preoccupazioni sono rivolte alla strutturazione della riforma pensionistica.
Allora quale linee emergono?
In Italia lo sviluppo della precarietà è dato dal cattivo uso delle forme di lavoro flessibile. Il loro abuso serve all´abbassamento del costo del lavoro, in quanto richiedono meno retribuzione e contribuzione al datore di lavoro rispetto al lavoro dipendente.
Sappiamo che la forma contrattuale normale del lavoro, secondo la definizione UE, è quella indeterminata. Come incentivarla? Attraverso un costo minore del lavoro stabile rispetto a quello precario, restringendo i motivi di ricorso ai contratti a tempo determinato ed introducendo delle percentuali di lavoratori a tempo oltre le quali un´azienda non può andare.
Riduzione delle tipologie contrattuali a non più di cinque, in linea con altri paesi europei. Particolare cura alla riforma del contratto di apprendistato, anche instaurando una filiera virtuosa tra università e aziende: qualche cosa nel Lazio è stata fatta.
Infine l´esclusione dal prezzo degli appalti, in particolare quelli al massimo ribasso, dei costi riguardanti il lavoro e gli investimenti inerenti le misure di sicurezza nei luoghi in cui si svolgono attività lavorative.
Si capisce che dal concetto di flessibilità non possiamo discostarci, ma da quello della precarietà sicuramente sì. Allora emerge l´importanza di una solida politica sugli incentivi familiari, così come un ampliamento della edilizia pubblica e un conseguente calmieramento degli affitti. Insomma la flessibilità non può che essere coniugata con lo sviluppo del Welfare, ripetendo sempre nella memoria il paradigma del contratto di lavoro indeterminato.
Con questo dibattito siamo tornati alla politica che si mette in discussione affrontando il dialogo senza parlarsi addosso. E´ un tentativo, ma dobbiamo capire che siamo quasi al punto zero da cui muoversi per colmare una distanza che si è frapposta tra politica e territorio.
Siamo tornati alla politica che non si preoccupa di confrontarsi con uno, dieci, centomila, e volutamente il "dieci" sostituisce il "nessuno" di pirandelliana memoria, poiché da questo piccolo numero dobbiamo ripartire per invertire il disinteresse della gente per la società, quindi il disinteresse per se stessa.