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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



29/05/2011 M.Causi
Sei mesi in più per attuare la legge sul federalismo fiscale:
Sei mesi in più per l´attuazione della legge 42 sul federalismo fiscale: il termine per l´approvazione dei decreti legislativi è stato spostato dal 21 maggio al 21 novembre con una legge approvata dalla Camera il 18 maggio con il voto favorevole del PD e di tutte le opposizioni. E´ stato anche aumentato il termine per l´emanazione di successivi decreti integrativi e correttivi, portandolo da due a tre anni.
In questa decisione, chiesta nei mesi scorsi a gran voce dal PD e da tutte le opposizioni, si riflette la consapevolezza della complessità e della difficoltà del cammino attuativo della legge delega. Non solo, infatti, mancano ancora all´appello numerosi decreti attuativi (armonizzazione dei bilanci, premi e sanzioni, fondi perequativi per i Comuni, Roma Capitale, interventi speciali diversi dalle politiche strutturali, spese in conto capitale). Ma anche la concreta attuazione dei decreti già approvati si è rivelata irta di complessità. Basti pensare che dai soli primi cinque decreti emanati (trasferimento patrimonio, fabbisogni standard di Comuni e Province, ordinamento di Roma capitale, finanza comunale, finanza di Regioni, Province e Sanità) dovranno derivare, ai fini della loro piena operatività, ben altri 67 atti normativi, sotto forma di ulteriori regolamenti e decreti (del Governo, della Presidenza del Consiglio ovvero di singoli Ministeri).
E tuttavia, i sei mesi di tempo aggiuntivo vanno anche utilizzati per ritornare sui decreti già approvati e apportare numerose modifiche, correzioni e integrazioni. Il Governo ha privilegiato nel corso degli ultimi dodici mesi un metodo parziale per la redazione dei decreti, affrontando i singoli problemi con approccio settoriale e disinteressandosi degli aspetti di coordinamento e di valutazione complessiva dell´impatto. E così i Comuni sono stati affrontati separatamente dalle Regioni e dalle Province. I fabbisogni standard sono stati affrontati senza riferimenti chiari ai Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e agli obiettivi di servizio. Gli interventi speciali per la rimozione degli squilibri territoriali di tipo strutturale sono stati affrontati senza avere prima chiarito il funzionamento della spesa ordinaria in conto capitale.
I decreti già approvati, guardati singolarmente, possono essere valutati in modo variegato: ce ne sono alcuni migliori e alcuni decisamente peggiori, ed è noto che il PD si è sempre confrontato nel merito, ha avanzato le sue proposte e ha diversificato di volta in volta il suo voto a seconda del loro accoglimento. E´ arrivato però il momento di guardare all´insieme dei decreti già approvati e di dare una valutazione complessiva. E, allo stato degli atti, tale valutazione sintetica non può che essere negativa: oltre alle criticità presenti in alcuni decreti, e soprattutto in quelli relativi alla finanza comunale, emergono seri problemi di coordinamento, oltre che perduranti problemi di quantificazione e di informazione statistica.
Il PD ritiene allora necessario aprire immediatamente un processo di verifica e correzione dei decreti già approvati. E ritiene che questo processo debba dare i suoi frutti fin da subito, e cioè prima della nuova data di scadenza del 21 novembre 2011, non rimandando tutto ai futuri decreti integrativi e correttivi. Abbiamo apprezzato la risposta positiva che a questa richiesta è venuta dal Governo, ma non possiamo sottacere che alle parole, finora, non sono ancora seguiti fatti concreti (ad esempio, sulla questione sollevata da tutte le autonomie regionali e locali relativa alla "irricevibilità" degli elenchi predisposti dallo Stato per il trasferimento dei beni patrimoniali).
Le riforme sono una cosa seria, non si fanno con la propaganda
Insomma, con i sei mesi di tempo aggiuntivi si è messo sotto "protezione" il processo di attuazione della legge 42. Non sfugge a nessuno, però, che avere agitato il federalismo fiscale come pura bandiera di propaganda, senza guardare ai contenuti e all´impatto sui territori, incuranti del contemporaneo processo di centralizzazione di tante politiche pubbliche, e soprattutto di quelle finanziarie, mettendo insomma solo la fretta come bussola di azione da parte del Governo, non abbia certo giovato elettoralmente al centro-destra e, soprattutto, alla Lega Nord.
Come ha giustamente scritto Gilberto Muraro, dell´Università di Padova, commentando il decreto sulle Regioni: "sarà davvero federalismo ad alta solidarietà … ma allora bisogna affrettarsi a sgonfiare le attese miracolistiche che la Lega ha irresponsabilmente alimentato di una rivoluzione rapida e forte nei rapporti Nord-Sud. Il cambiamento sarà lento e non vistoso sia per la gradualità prevista sia perché il nuovo sistema, una volta arrivato a regime, non introduce grandi spazi di autonomia né consente forti differenze territoriali".
I cittadini, e soprattutto quelli del Centro-Nord, hanno ben capito che alla propaganda leghista non corrispondono i fatti. Hanno capito che le riforme sono una cosa seria, e che si fanno con fatica, con lavoro, con condivisione e con vero spirito di innovazione, e non brandendole come randelli nel gioco della comunicazione politica. Hanno apprezzato le parole del Presidente Napolitano, che ha sempre stimolato il processo riformatore, ma ha anche più volte ribadito l´intangibilità dell´unità nazionale e dei principi di coesione e solidarietà.
La riforma del federalismo fiscale ha ancora un impatto incerto, indecifrabile, in qualche caso (i Comuni) certamente negativo. E non va dimenticato che, in una vera stagione di riforme − una stagione che l´Italia attende ormai da troppi anni − questa riforma che si limita ai soli principi finanziari e fiscali della Costituzione rinnovata nel 2001 non può camminare da sola. Va affiancata almeno da altre due gambe: la riforma dell´ordinamento degli enti locali (per migliorarne l´organizzazione e superarne sovrapposizioni e barocchismi) e la riforma costituzionale per il superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione del numero di parlamentari e la specializzazione di una delle due Camere elettive alla cura quotidiana dei rapporti fra Stato, Regioni ed enti locali territoriali.
La proroga quindi mette in protezione il cammino dell´attuazione della legge 42, ancora a metà del guado. Ma il PD non farà alcuno sconto nel denunciare sul piano politico le inadempienze del Governo Berlusconi, pur su uno dei punti programmatici che il centro-destra ha messo fra le priorità della legislatura. E non smetterà di dire ciò che ormai è chiaro alla maggioranza degli italiani: che per aprire una vera e nuova stagione di riforme è necessaria una fase politica completamente nuova.
Verifica, correzioni, coordinamento: sei aree di criticità
La nostra valutazione è che la fase di verifica si debba concentrare su sei grandi aree di criticità.
Partendo dal decreto sulle Regioni, va eliminata un´ambiguità sulle modalità con cui distinguere i trasferimenti e le spese storiche delle Regioni fra ciò che è relativo ai servizi essenziali e alle funzioni fondamentali e ciò che non lo è. La legge indica chiaramente che la perequazione sulla prima categoria avviene tramite il fondo perequativo a compartecipazione Iva, mentre la perequazione via addizionale Irpef vale solo per la seconda categoria. Restano aperte poi, a nostro giudizio, alcune questioni in materia di sanità, le quali peraltro derivano dal parere emanato con larga maggioranza dalla Commissione sanità del Senato: introdurre fra i parametri di riferimento dei costi standard indicatori di tipo socioeconomico, con la prioritaria finalità di contribuire alla razionalizzazione e alla modernizzazione delle reti di offerta tramite adeguati investimenti; sciogliere l´ipocrisia di definire il fabbisogno standard con lo stesso termine con cui si definisce la quota di riparto; arricchire il sistema informativo della sanità (NSIS) dei dati relativi ai percorsi di cura individuali, con procedure che garantiscano la privacy, come primo passo per una più efficace valutazione dell´efficienza e dell´efficacia dei servizi sanitari.
Il decreto che attende urgentemente modifiche sostanziali è quello sui Comuni, i quali peraltro stanno sempre più sprofondando nell´incertezza di una fase provvisoria teoricamente già cominciata: va estesa anche ai Comuni la "clausola di salvaguardia" relativa alle programmazioni finanziarie contenute nel Dl 78 che è stata adottata per le Regioni nel decreto a loro dedicato; va verificato sul piano quantitativo il funzionamento dei fondi di riequilibrio provvisori, soprattutto in vista della nuova compartecipazione all´Iva; vanno introdotte norme di indirizzo per il coordinamento fra i Fondi di riequilibrio destinati agli enti territoriali da parte di Stato e Regioni. E infine va definita la nuova Tarsu-Tia, colmando una delle più clamorose dimenticanze del Governo, che finora non ha saputo dire nulla sulla seconda più importante fonte di entrata dei Comuni, per la quale peraltro è improcrastinabile un intervento normativo, alla luce degli indirizzi interpretativi della Corte Costituzionale (la Tia è una prestazione patrimoniale, e non una tariffa) e dell´incertezza giuridica che ciò ha determinato per i Comuni e per gli enti gestori dei servizi ambientali.
Una terza area di criticità è quella delle vere e proprie omissioni. I decreti legislativi approvati non affrontano alcuni punti rilevanti della riforma, come ad esempio: sistema della perequazione dei Comuni "a regime"; relazioni finanziarie Regioni-Comuni e possibilità da parte delle Regioni di stabilire criteri di riparto del fondo perequativo tra i Comuni e Province inclusi nel proprio territorio integrativi di quelli fissati dallo Stato; collegamento fra fabbisogni standard di Comuni e Province e Lep, sia nei settori finanziati da interventi multilivello (come ad esempio assistenza e istruzione) sia nei settori dove prevalgono le funzioni fondamentali degli enti territoriali, anche finanziate via tariffe (acqua, rifiuti, trasporto pubblico locale, viabilità, illuminazione pubblica); definizione dei livelli "adeguati" del servizio di trasporto pubblico locale (parte corrente); trattamento delle spese ordinarie in conto capitale; trattamento delle fonti di finanziamento della spesa in conto capitale diverse da quelle ordinarie (emissione di debito, proventi straordinari); costruzione delle regole per il funzionamento dei "piani per il conseguimento degli obiettivi di convergenza", ad esempio integrando opportunamente il decreto "premi e sanzioni".
Una lettura trasversale dei decreti finora approvati o in via di approvazione fa emergere poi una serie di incoerenze nel disegno generale e di carenze di coordinamento tra le varie componenti della riforma. Si tratta di contraddizioni che derivano dall´approccio "di breve respiro" seguito dalla riforma. Un approccio inadeguato perché: a) ha avuto come obiettivo centrale soltanto la fiscalizzazione dei trasferimenti statali; b) è condizionato da una malintesa applicazione della clausola di invarianza finanziaria, secondo cui ogni nuova risorsa deve trovare esatta corrispondenza in una risorsa abolita; c) ha lavorato per livelli di governo senza tener conto delle esistenti interrelazioni/sovrapposizioni; d) ha fatto riferimento soltanto ad uno scenario statico di devoluzione delle funzioni di spesa. Cinque esempi: la fissazione dei Lep nei settori diversi dalla sanità; il finanziamento della spesa in conto capitale e, in particolare, della spesa infrastrutturale, che chiama in causa a sua volta il coordinamento fra la perequazione infrastrutturale e la definizione dei fabbisogni standard e il coordinamento (almeno programmatico) fra spese in conto capitale ordinarie e interventi speciali; le nuove modalità di finanziamento delle funzioni di spesa Lep "multilivello", come l´assistenza e l´istruzione; il coordinamento tra componente statale e componente regionale dei fondi perequativi a regime per Comuni e Province; il legame fra Lep, loro ricognizione e fissazione di obiettivi e livelli di servizio, anche con riferimento al ciclo della decisione di finanza pubblica.
Appare prioritaria, soprattutto, la riforma della struttura finanziaria dei servizi oggi erogati in una situazione "multi-livello". Ad esempio, nel caso dell´assistenza è necessario ricostruire un vero quadro della situazione esistente, oggi non conosciuta, e passare per la determinazione dei Lep e dei fabbisogni standard tenendo conto delle prestazioni erogate, separatamente, da Stato, Regioni, Province e Comuni. A questo fine i procedimenti di valutazione analitica dei fabbisogni standard varati con i decreti per i Comuni e le Province e con quello per le Regioni devono potersi integrare.
L´intreccio fra evoluzione della finanza pubblica e attuazione del federalismo fiscale non va sottovalutato. E´ chiaro che la crisi economica scoppiata nel 2008 ha reso doppiamente difficile la riforma dei rapporti finanziari fra Stato, Regioni e autonomie locali, ed è chiaro che nessuno può muoversi, su questo terreno, in modo demagogico. D´altra parte, dietro l´attuazione della legge 42 c´è la riscrittura di un patto nazionale per il finanziamento di importanti servizi di welfare, e su questo non ci possono essere ipocrisie. Non possono gli enti locali e le Regioni addossarsi la responsabilità per aumenti di imposte e riduzioni di servizi che dovessero, se necessario, derivare da più generali decisioni sulle condizioni della finanza pubblica e sulle scelte di politica economica del paese, dentro i vincoli europei.
E´ da questa ipocrisia che il Governo deve uscire, accettando un vero confronto inter-istituzionale Stato-Regioni-autonomie dentro il processo di coordinamento dinamico della finanza pubblica. Fissare obiettivi di servizio e fabbisogni standard deve diventare un compito ordinario, annuale, del processo di decisione di finanza pubblica, in modo che ci sia coerenza fra risorse disponibili e servizi che si possono con quelle risorse erogare, senza determinare aumenti della pressione fiscale né dislivelli insopportabili fra territori ad ampia e meno ampia capacità fiscale.
La sesta area di criticità è quella delle informazioni ancora mancanti. L´esempio principale è quello della compartecipazione Iva, che dovrebbe essere calcolata sulla base dell´Iva collegata agli scambi effettivamente registrati nei diversi territori. Lo stato di questa base informativa, però, non è noto ed anzi il Governo è gravemente inadempiente su questo punto, non avendo ancora ottemperato all´impegno assunto di rendere pubblici i dati territoriali (regionali) dell´Iva, al fine di verificarne l´affidabilità (in merito alla quale da più parti, a livello scientifico, sono stati avanzati dubbi consistenti).
Infine, è necessario fare il punto sullo stato di avanzamento dell´attuazione dei decreti, verificando i ritardi nei tempi di adozione dei provvedimenti e le eventuali distorsioni. E´ urgente, in particolare, una verifica sul trasferimento del patrimonio demaniale e sul calcolo dei fabbisogni standard di Comuni e Province. Va poi avviata una ricognizione sullo stato di attuazione della riforma nelle Regioni a Statuto Speciale, soprattutto con riferimento all´applicazione dei nuovi meccanismi di finanziamento agli enti territoriali ricompresi in quei territori. I Comuni delle Regioni Speciali del sud, infatti, stanno soffrendo il doppio: per l´incertezza sul nuovo quadro di livello nazionale, a cui si aggiunge l´incertezza sulle modalità con cui le loro Regioni recepiranno la riforma.
 

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