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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



13/08/2009 Il Sole 24 Ore
IL DIBATTITO SUL MEZZOGIORNO / Quei fondi al Sud che fanno gola
di Marco Causi
commenti - | | 13 agosto 2009
Il braccio di ferro sui fondi per la Sicilia ha avuto almeno un merito: si torna a parlare del Mezzogiorno. Ma i meriti si fermano qui, perché la discussione è ancora di scarsa qualità (un po´ come la spesa pubblica, verrebbe da dire).
Partiamo da un dato. Le politiche per lo sviluppo territoriale sono solo una parte delle politiche pubbliche, e neppure la più grande. Nel Sud si tratta di meno di 10 miliardi all´anno su una spesa pubblica complessiva di circa 200 miliardi. Ci si potrebbe lamentare dell´insufficienza degli interventi di riequilibrio messi in campo in Italia, al confronto con Germania o Spagna. Ma non è questo il punto più importante, piuttosto il fatto che le condizioni socio-economiche del Sud dipendano non solo dalle politiche "aggiuntive" ma anche, e molto, dal buon funzionamento di quelle "ordinarie".
Dentro i 200 miliardi ci stanno la sicurezza, la giustizia, l´istruzione, la ricerca, la sanità, l´assistenza, i servizi di prossimità, i servizi pubblici locali, e tanto altro, con azioni ed entità che fanno capo sia allo stato centrale che alle regioni e agli enti locali. È soltanto incidendo su questo più ampio perimetro che, alla lunga, si migliorano le condizioni del Sud, e non concentrando spasmodicamente l´attenzione sui soli fondi "aggiuntivi". I quali possono essere "tanti" o "pochi", ma non funzionano - diventano appannaggio della "coalizione della rendita", come dice bene Ivan Lo Bello sul Sole 24 Ore del 6 agosto - se non riescono a intrecciarsi con le politiche ordinarie e a diventare la sponda per una presenza moderna ed efficiente dello stato, in tutte le sue articolazioni. È questo il vero insegnamento storico della crisi del vecchio intervento straordinario nel Mezzogiorno, una volta esaurita la fase eroica delle infrastrutture di base negli anni 50 e 60.
Fin dalla "nuova programmazione" di Ciampi e poi con la creazione del Fas, era chiaro che le politiche di sviluppo territoriale dovessero avere due linee d´azione: una di livello regionale e una di livello nazionale. Ad esempio il ministero dell´Istruzione ha gestito e gestisce risorse per il sistema dell´istruzione, il ministero dell´Interno per il sistema della sicurezza, e via continuando con il ministero delle Infrastrutture e trasporti e quindi Ferrovie dello Stato, Anas, eccetera. Coordina il tutto il Dipartimento per le politiche di sviluppo, in origine presso il ministero dell´Economia e poi spostato al ministero dello Sviluppo economico. Tutti questi programmi sono monitorati e valutati, se ne conoscono in dettaglio le realizzazioni, grazie a un imponente lavoro tecnico che permette fra l´altro di distribuire una parte dei fondi a vantaggio delle amministrazioni più virtuose nel raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Ora, è sulle azioni di livello nazionale che si scaricano i tagli apportati al Fas negli ultimi 14 mesi. Quelli regionali, infatti, non si sono finora toccati per non pregiudicare l´effetto moltiplicatore dei finanziamenti comunitari. C´è una contraddizione fra la volontà di rilanciare le politiche per il Sud, dichiarata dal ministro dell´Economia, e il fatto di ridurre al lumicino le risorse dedicate proprio alle azioni di rango nazionale. Nella comunicazione quotidiana si sbandierano le cifre dei programmi regionali, ma prima o poi il governo dovrà decidere cosa fare di tutto il resto, se vorrà rispondere con credibilità all´accusa di voler smantellare, piuttosto che rafforzare, le politiche per il Sud.
Per ciò che riguarda la qualità degli interventi, regioni ed enti locali hanno tante responsabilità, ma i ministeri romani non c´entrano nulla? E i concessionari di pubblico servizio, quasi sempre imprese statali, che prendono risorse che dovrebbero essere aggiuntive e poi lesinano negli ordinari piani di investimento, mostrano attenzione alle aree svantaggiate del paese? Perché il ministro per lo Sviluppo economico non convoca i soggetti centrali e non utilizza i poteri che ha? Ad esempio, per fare una ricognizione delle opere di livello nazionale (nel trasporto ferroviario e stradale, nelle reti energetiche e di comunicazione, nei beni culturali) immediatamente cantierabili, ovvero per verificare il possibile ampliamento degli interventi sui sistemi dell´istruzione di base e della sicurezza?
Ben venga un maggiore coordinamento fra le regioni, ma all´interno dello stato c´è davvero bisogno di una nuova agenzia per coordinare? E siamo proprio sicuri che i tanti sindaci del Sud che usano i fondi "aggiuntivi" per scuole, asili nido, manutenzione dei centri storici, azioni di sostegno allo sviluppo locale stiano "disperdendo a pioggia"? Non è forse vero che i beni pubblici locali sono importanti per lo sviluppo quanto, e talvolta anche più, delle grandi opere? Le regioni, in fondo, non hanno tutti i torti a preoccuparsi: in futuro, per ripristinare alcuni interventi nazionali, i fondi destinati alle azioni di rango locale potrebbero essere messi in discussione.
13 agosto 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
 



 
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